La coronatione di Poppea, SV 308
Opera regia in un prologo e tre atti
Musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643)
Testo: Gian Francesco Busenello
Ruoli:
- La Fortuna (soprano)
- La Virtù (soprano)
- Amore (soprano)
- Ottone, cavaliero principalissimo (contralto)
- Poppea, dama nobilissima favorita di Nerone, che da
lui viene assunta all'imperio (soprano)
- Nerone, imperator romano (soprano)
- Arnalta, vecchia nutrice e consigliera di Poppea
(contralto)
- Ottavia, imperatrice regnante, che viene ripudiata da
Nerone (soprano)
- Nutrice di Ottavia imperatrice (contralto)
- Seneca, filosofo, maestro di Nerone (basso)
- Valletto, paggio dell'imperatrice (soprano)
- Pallade (soprano)
- Drusilla, dama di corte innamorata d'Ottone (soprano)
- Mercurio (tenore)
- Liberto, capitano della guardia de' pretoriani (tenore)
- Damigella dell'imperatrice (soprano)
- Lucano, poeta famigliare di Nerone (tenore)
- Littore (basso)
- Venere (soprano
- Primo soldato pretoriano (tenore)
- Secondo soldato pretoriano (baritono)
- Coro
dei famigliari di Seneca (contralto/tenore/basso), due Consoli
(baritono/basso), due Tribuni (tenori), Coro di Amori
(contralti/soprani).
- Romani, Danzatrici.
Organico: orchestra
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo, Carnevale 1643
Edizione: Bureau d'Editions de la Schola Cantorum, Parigi, 1908
Chi ha scritto la musica dell'Incoronazione di Poppea?
Le due fonti che tramandano la partitura, molto diverse tra loro,
riflettono versioni lontane dall'originale: nella copia conservata a
Napoli è testimoniata la ripresa teatrale napoletana del 1651,
allestita dalla compagnia itinerante dei Febiarmonici, mentre la copia
veneziana è stata curata direttamente da Francesco Cavalli. Entrambe le
partiture sembrano opera collettiva e forse già all'origine il
settantacinquenne Monteverdi, al suo ultimo impegno teatrale, fu
aiutato da collaboratori più giovani. Nessun indizio della sua
paternità dell'opera proviene da fonti contemporanee: l'elogio funebre
steso da Caberloti non la nomina, ricordando invece Arianna e,
indirettamente, Orfeo.
Connessioni stilistiche con la partitura del Ritorno di Ulisse in patria,
insieme alla forza e alla sintesi drammatica di alcuni dialoghi (ad
esempio I,9), giustificano l'attribuzione monteverdiana di molte scene,
almeno nella loro prima redazione. D'altro canto l'intero finale e
quasi tutta la parte di Ottone sono stati composti da una mano diversa
rispetto al resto della partitura. Altri passi isolati (il prologo, le
scene seconda e quarta del secondo atto, la sinfonia finale) rivelano
tratti stilistici che fanno pensare a uno o più compositori della
generazione più giovane rispetto a quella di Monteverdi. Nomi dei
probabili collaboratori: Benedetto Ferrari e Francesco Sacrati, del
quale la recente scoperta della partitura de La finta pazza ha
permesso nuove e interessanti comparazioni stilistiche; a essi si
aggiungono Francesco Manelli e Filiberto Laurenzi, autore di molte
delle musiche de La
finta savia, su libretto di Giulio Strozzi, rappresentata
al Teatro SS. Giovanni e Paolo nella stagione in cui fu allestita
l'Incoronazione, con gli stessi interpreti. Questi furono Anna Renzi
come Ottavia e Anna di Valerio come probabile Poppea, insieme al
castrato Stefano Costa, possibile Nerone e 'Rabocchio' o 'Corbacchio',
forse nella parte del paggio.
Fonti di quello che è il primo libretto di argomento storico
per un melodramma (unici precedenti: le opere basate su leggende
agiografiche, come il romano Sant'Alessio)
sono alcuni passi degli Annali
di Tacito in primo luogo, integrati da Svetonio, Cassio Dione e dalla
tragedia Octavia,
un tempo attribuita a Seneca, seguita molto da vicino in almeno una
scena (I,9). Nel libretto compaiono anche temi comuni alla produzione
di romanzi contemporanei, presenti in particolare ne L'imperatrice ambiziosa
di Federico Malipiero, che narra le vicende di Agrippina e accenna
anche alla seduzione di Nerone da parte di Poppea. «Procuro applicar li
vizij, come fanno li speziali veleni nelle medicine per guarire, non
per gustare», scrive Malipiero per giustificare l'argomento amorale del
suo romanzo: che sia questa anche la prospettiva con la quale
interpretare l'atmosfera corrotta che avvolge le vicende del libretto
di Gian Francesco Busenello? Certo che il testo riflette il sentimento
antimonarchico e filo-repubblicano che legava gli intellettuali membri
dell'Accademia degli Incogniti, come Busenello e Badoaro, librettista
del Ritorno di Ulisse in
patria. Agli intrighi di palazzo e all'ambiguità morale
che caratterizza ogni personaggio (anche il tradito Ottone e la regina
ripudiata Ottavia), risalterebbe per contrasto la gloria della
repubblica veneziana, patria di libertà. Alla luce dell'anticonformismo
e del libertinismo professato nell'ambiente degli Incogniti
interpretiamo alcune situazioni irriverenti del libretto, come la
presentazione negativa del filosofo Seneca, i cui insegnamenti non
servono alla disperata Ottavia. Egli viene irriso spudoratamente dal
valletto (I,6), così come in precedenza era stato giudicato «vecchion
rapace», «volpon sagace», «reo cortigiano», «empio architetto, / che si
fa la casa sul sepolcro altrui», dagli assonnati soldati che piantonano
la casa di Poppea mentre Nerone amoreggia con lei (I,2). La professione
di fede marinista sostenuta calorosamente da Busenello (che intervenne
nella polemica fra Marino e Stigliani successiva alla pubblicazione
dell'Adone)
spiega il pluristilismo del libretto, nel quale si avvicendano sequenze
arditamente metaforiche e immaginose, espressioni umili, incursioni nei
linguaggi tecnici (giuridico, filosofico, scientifico), versi spigliati
'da canzonetta'.
Prologo.
Amore dichiara la propria sovranità sulla Fortuna e sulla Virtù
nell'influenzare le sorti dell'uomo: lo spettacolo che seguirà sarà la
dimostrazione di questa tesi.
Atto primo.
È l'alba: Ottone si aggira sotto i balconi dell'abitazione di Poppea
nella speranza di incontrarla, cantando con struggimento una dolce
aubade strofica
("Apri un balcon, Poppea"), ma scorge due soldati di Nerone
addormentati e fugge sconvolto per l'infedeltà dell'amante. Svegliatisi
di soprassalto, i soldati maledicono "Amor, Poppea, Nerone, e Roma, e
la Milizia" scambiandosi commenti sulla situazione precaria dell'impero
e sulle vicende private di corte. Tacciono all'apparire di Poppea, che
tenta di trattenere l'imperatore presso di lei ("Signor, deh non
partire"). È la prima delle tre scene che vedono protagonisti i due
amanti da soli. La parte di Poppea, qui come negli altri episodi di
seduzione, si muove per intervalli morbidamente congiunti,
sottolineando spesso gli accenti delle parole con intervalli di seconda
diminuita, traducendo con dissonanze l'amarezza della partenza di
Nerone e il suo (finto?) venir meno. Il compositore è abilissimo a
frammentare il testo fra i due interlocutori, nel momento in cui Nerone
si lascia strappare la promessa del ripudio di Ottavia: la disposizione
testuale chiarifica che la promessa viene proprio estratta dalla bocca
di Nerone da Poppea, che lo ha quasi ipnotizzato. Poppea, rimasta sola,
non nasconde a se stessa la speranza di diventare imperatrice, ma la
nutrice Arnalta, in una scena arricchita di sinfonie strumentali, la
mette in guardia poiché «la pratica coi Regi è perigliosa». Il primo
monologo dell'imperatrice Ottavia, "Disprezzata Regina" (I,5), segue
l'impostazione tradizionale della scena di lamento: desolazione, cinica
descrizione della sorte femminile, maledizioni contro l'uomo traditore,
accuse concitate nei confronti delle divinità, sùbiti pentimenti e
ricaduta nella depressione. A nulla vale la morale spicciola offerta
dalla nutrice di Ottavia, in sequenze cantabili e in tempo ternario.
Nessun giovamento trae Ottavia dal conforto filosofico propostole da
Seneca con una declamazione ben più aulica e fiorita. Stizzito, un
valletto si fa beffe del filosofo ("Queste del suo cervel mere
invenzioni/ le vende per misteri, e son canzoni"), imitando sbadigli e
starnuti. Seneca medita sull'infelicità nascosta sotto le «porpore
regali» e viene visitato da Pallade, che gli annuncia la prossima fine,
al che egli gioisce. Nerone comunica a Seneca la decisione di ripudiare
Ottavia (I,9): ne nasce uno scontro sempre più serrato, durante il
quale Nerone perde spesso la pazienza di fronte alle ferme risposte del
maestro, che lo accusa di «irragionevole comando». In quella che è una
delle scene più drammatiche dell'opera, importante anche per la sua
posizione centrale e per il contenuto (la sconfitta morale di quello
che, al termine dell'opera, sarà il vincitore Nerone, qui svelato nella
sua immaturità politica ed esistenziale), la fiducia di sé che Seneca
esprime si oppone alla crescente agitazione dell'imperatore, resa dagli
scarti stilistici dei suoi interventi rispetto a quelli del filosofo,
composti e nello stesso tempo veementi. Ripetizioni di parole,
cambiamenti improvvisi di metro, impennate melodiche all'acuto, impiego
del caratteristico 'stile concitato' (note ribattute velocemente)
dipingono la furia crescente di Nerone; invece Seneca raramente ricorre
a ripetizioni di parole e spesso chiude le frasi con cadenze perfette e
retoricamente disegnate (quasi uno stilema ricorrente per il
personaggio). Nerone è poi raggiunto da Poppea, la quale rinfresca
all'imperatore il ricordo della notte passata e, dopo averlo portato al
massimo dell'eccitazione, gli fa ordinare immediatamente la morte di
Seneca. Poppea si scontra con Ottone, che le rimprovera la sua
infedeltà e viene poi compatito da Arnalta: «Infelice garzone...
quand'ero in altra età / non volevo gli amanti / in lagrime distrutti,
/ per compassion li contentavo tutti». Ottone è raggiunto
dall'innamorata Drusilla, alla quale promette di dedicarsi, anche se
commenta ironicamente fra sé: «Drusilla ho in bocca, et ho Poppea nel
core».
Atto secondo.
La prima parte dell'atto è tutta dedicata a Seneca, che dopo un breve
monologo riceve il secondo annuncio della sua prossima morte, questa
volta da Mercurio, che gli infonde serenità prima di volare via
sull'onda del suo virtuosismo vocale. Un liberto comunica al filosofo
l'ordine di Nerone: Seneca avvisa serenamente i famigliari, che
prorompono in un'invocazione a tre voci ("Non morir Seneca, no"). Nella
prima sequenza del brano, le voci entrano in imitazione su un soggetto
e un basso cromatici, con un effetto di crescendo drammatico che sembra
sincero. Nella seconda, ogni voce replica diatonicamente, su note
ribattute, «io per me morir non vo'». Dopo un allegro ritornello, la
terza sezione ne segue il ritmo di danza: ritornello e sezione
'danzante' sono ripetuti (le parole cambiano), dopo di che si torna
indietro, con la seconda sezione e poi la prima, quella cromatica ed
espressiva. Lo scanzonato ritornello chiude l'episodio. La scena
successiva, come intermezzo di contrasto, presenta le schermaglie
amorose del valletto e della damigella, una ventata di freschezza e
distensione nell'atmosfera cupa della corte, un po' come avveniva per
gli interventi di Melanto ed Eurimaco nel
Ritorno di Ulisse.
«Hor che Seneca è morto,/ cantiam, cantiam, Lucano»: all'invito di
Nerone segue una lunga scena di canti in onore di Poppea. Nel libretto
era prevista la presenza di altri personaggi (Petronio, Tigellino), ma
il compositore sceglie di affidare solamente a Lucano la replica al
protagonista. Le due voci si annodano e rincorrono, per scindersi su un
ipnotico ostinato del basso: solo Lucano è in grado di continuare il
canto («Bocca, bocca, che se ragioni o ridi»), Nerone emette sillabe e
frasi spossate («Ahi, destin»). Ottavia ordina a uno sbigottito Ottone
di uccidere Poppea. Entra in scena Drusilla, che si conferma come
soprano-soubrette vagamente svampita. Essa è l'unica che osa sciogliere
una melodia spiegata ("Felice cor mio, / festeggiami in seno") nel
clima pieno di sospetto del palazzo reale, senza assolutamente capire
cosa le stia accadendo intorno. Trascinati dall'ottimismo di Drusilla,
anche la nutrice e il valletto danno vita a una scena distensiva e
comica. Ottone rinnova le sue promesse di fedeltà alla ragazza,
chiedendole però di prestarle i suoi vestiti per compiere l'assassinio
di Poppea. Drusilla sventatamente acconsente, non senza precisare con
slancio: «e le vesti e le vene io ti darò». Frattanto Poppea si affida
ad Amore per coronare i suoi sogni e si addormenta nel giardino di
casa. Arnalta le canta una dolcissima ninna-nanna in tre strofe
("Oblivion soave" II,12). L'attentato di Ottone, travestito da donna, è
impedito da Amore, che era sceso in terra per vegliare la sua protetta
e aveva cantato un'aria in quattro strofe ("O sciocchi, o frali / sensi
mortali").
Atto terzo.
Drusilla, sola in scena, canta un altro dei suoi motivetti cantabili,
ma viene sorpresa e imprigionata, in quanto presunta autrice
dell'attentato. Ottone confessa di essere il colpevole, su isitigazione
di Ottavia; Nerone capisce di avere finalmente il pretesto per
ripudiare l'imperatrice e spedisce Ottone e Drusilla in esilio.
Un'altra scena fra Poppea e Nerone contiene il duetto "Idolo del cor
mio, giunta è pur l'ora", ricco di slancio melodico soprattutto al
verso «Stringimi tra le braccia innamorate». Seguono un monologo di
Arnalta, felice per l'ascesa sociale di Poppea (e sua) e il lamento di
Ottavia ("A Dio Roma, a Dio Patria, amici a Dio"). Incapace di
pronunciare le parole, l'imperatrice ripudiata singhiozza su una nota
(la 'a' di "A Dio Roma"), esprime il dolore per il trionfo delle
«perverse genti», termina il suo asciutto monologo su un secco «A Dio».
La scena dell'incoronazione vede Poppea acclamata da un coro di consoli
e tribuni, e da un coro celeste, guidato da Venere in persona con
Amore. Gli amanti intrecciano l'ultimo duetto, il seducente "Pur ti
miro", in cui le voci si annodano su un ostinato tetracordo
discendente. Tale duetto probabilmente non era previsto nella prima
rappresentazione veneziana, della quale rimane traccia solamente per la
pubblicazione dello 'scenario'. Il testo compare nel libretto di una
ripresa bolognese (1641), e di altre successive, del
Pastor regio di
Benedetto Ferrari, ma anche nel
Trionfo
della fatica musicato da Filiberto Laurenzi (Roma 1647).
Al termine della vicenda dell'
Incoronazione,
però, esso assume un altro e più pregnante significato drammatico e
strutturale, rispetto a quelle occorrenze: sigla il trionfo degli
amanti, facendo convergere le premesse poste dal duetto di Fortuna e
Virtù nel prologo, e da quello di Lucano e Nerone (I,6), entrambi
costruiti su un basso ostinato formato da un tetracordo discendente.
Suggerimenti formali per sequenze di cantabilità più regolare
e arie vere e proprie non mancano nel libretto, metricamente e
stroficamente articolatissimo. Il compositore accetta e moltiplica le
occasioni per formare sequenze musicali unitarie, che si accompagnano a
passi meno estesi segnati dal lievitare del recitativo in moduli più
chiusi e melodici, spesso in corrispondenza delle ultime battute
dell'intervento di un personaggio, o di una sua impennata espressiva.
Il recitativo evidenzia concetti e parole-chiave secondo le più
consumate raffinatezze della tecnica madrigalistica, per cui ogni
'affetto' viene messo a fuoco con una impressionante varietà di
soluzioni musicali. È interessante notare la 'regìa' realizzata dal
manipolatore dei frammenti testuali di Busenello, realizzando un
'montaggio' drammatico dagli effetti incalzanti, ritmicamente
movimentati, quasi a costruire realisticamente i dialoghi cruciali: i
personaggi si interrompono a vicenda e si parlano addosso, cosa
raramente prevista dal libretto. Ad esempio, nella scena in cui Ottavia
impone a Ottone di uccidere Poppea, il recitativo è realizzato con una
serie di ripetizioni affannose («Vuò che l'uccida, vuò che l'uccida,
vuò che l'uccida - Che uccida chi? Che uccida chi? Chi? - Poppea - Che
uccida, che uccida, che uccida chi? - Poppea - Poppea? Poppea? Che
uccida Poppea? - Poppea, Poppea...»). Ripetizioni testuali, tagli,
illuminazioni melodiche di un frammento a scapito di un altro: tutto
questo permette al compositore di forgiare una propria dimensione
drammatica e di interpretare il testo, anche in senso opposto rispetto
a quanto suggerito da Busenello. Il personaggio di Seneca ne è un
esempio: l'ardore e lo slancio, poi la serena compostezza con cui
affronta la morte, inquadrano il filosofo in una prospettiva molto più
positiva rispetto a quello che si ricava dalla semplice lettura del
libretto. Il compositore innalza Seneca a una statura morale elevata,
ben al di sopra di tutti gli altri personaggi. Poppea è caratterizzata
da un'abilità retorica eccezionale, piega il recitativo alla sua
sensualità, 'influenza' le risposte che le dà Nerone e si abbandona con
lui alle estasi melodiche: raffigurazione completa, con luci e ombre
caravaggesche, della cortigiana aristocratica tra Cinquecento e
Seicento, che univa bellezza, abilità dialettica, arte e cultura.
Hugo Goldschmidt (1904), Vincent d'Indy (1908), Gian Francesco
Malipiero (1931) sono stati fra i primi a proporre edizioni moderne
della partitura, rielaborata anche da Benvenuti, Krenek e Ghedini
(l'edizione di Benvenuti, orchestrata con tinte wagneriane, è stata
utilizzata per la rappresentazione scaligera del 1967, diretta da Bruno
Maderna, nella quale cantavano Grace Bumbry, Giuseppe Di Stefano e
Leyla Gencer). Alan Curtis ha recentemente curato l'edizione critica
(1990): la sua interpretazione, ispirata ai criteri filologici del
rispetto della partitura originaria, più volte incisa
discograficamente, si aggiunge a quelle di Harnoncourt, Malgoire e
Jacobs. La prima rappresentazione italiana in epoca moderna ebbe luogo
al Liceo musicale di Torino, nel 1917, dodici anni dopo la ripresa
parigina (in forma di concerto). La prima riproposta scenica italiana
fu quella allestita al Giardino di Boboli per il Maggio musicale
fiorentino del 1937, diretta da Gino Marinuzzi, con Gina Cigna,
Giuseppina Cobelli, Tancredi Pasero e Magda Olivero. Fra le
rappresentazioni più recenti ricordiamo quelle del Festival della Valle
d'Itria (Martina Franca 1988, in versione integrale, con Daniela Dessì
e Josella Ligi, direttore Zedda), del Teatro Comunale di Bologna (1993,
con Anna Caterina Antonacci) e del Teatro alla Scala (1994).
Marco Emanuele
(1)
"Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini
Castoldi Dalai editore, Firenze
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Ultimo aggiornamento 31 dicembre 2015