Concerto per pianoforte n. 21 in do maggiore, K 467


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro maestoso (do maggiore)
  2. Andante (fa maggiore)
  3. Allegro vivace assai (do maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 9 Marzo 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 10 marzo 1785
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1800
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto in do maggiore K. 467 fu pubblicato da Mozart nel 1785 ma era stato presentato al pubblico durante la quaresima dell'anno precedente. Erano passati appena cinque anni dal soggiorno salisburghese di cui abbiamo parlato a proposito della Messa dell'Incoronazione ma la vita di Mozart era definitivamente e radicalmente mutata. Licenziato dal servizio dell'Arcivescovo Colloredo, aveva scelto la vita del libero artista a Vienna e l'anno della composizione del concerto lo trova sulla cresta dell'onda dopo il recente successo del Ratto al Serraglio, intimo dell'ambiente di corte, in relazioni di fraterna amicizia con il grande Joseph Haydn - cui aveva in quel periodo dedicato anche una serie di Quartetti - e felicemente sposato con la sorella di Aloysia, Costanza. Una lunga anche se rapida strada che lo aveva portato al centro della vita musicale viennese facendolo diventare - ma sarà per poco - un musicista alla moda. E' in questo contesto che egli decise allora di organizzare di propria iniziativa una serie di concerti per sottoscrizione che avrebbero dovuto insieme rafforzare la sua fama ed il suo benessere. Ma ecco come Mozart descrive il suo successo in quegli anni in una lettera al padre: « ... eccovi l'elenco di tutti i miei abbonati. Io da solo ne ho circa trenta di più che Richter e Fischer insieme. Il primo concerto il 17 scorso è andato benissimo. La sala era piena zeppa e il nuovo concerto da me eseguito è piaciuto straordinariamente. Ovunque si sente lodare questa accademia... ». E il padre Leopoldo, recatosi a Vienna proprio in occasione della prima esecuzione di questo Concerto in do maggiore che si esegue stasera scrive alla figlia Nannerl « ... tuo fratello ha incassato 559 fiorini e cioè assai di più di quanto immaginassimo poiché ha ancora 150 abbonati - ognuno dei quali paga una sterlina - per altri sei concerti alla «Mehlgrube». Ha poi suonato moltissime altre volte in teatro per pura cortesia. Finissero soltanto questi concerti! Non posso descriverti le seccature, le agitazioni... ».

E' in questo periodo che Mozart scrive una serie di quattordici Concerti per pianoforte e orchestra - dal 1783 al 1787 - che hanno in comune numerosi caratteri espressivi e formali così caratterizzati dallo stesso Mozart in una lettera di quegli anni: « ... sono esattamente una via di mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile; brillanti, gradevoli all'orecchio, naturali senza cadere nel vuoto. Qua e là potranno soddisfare gli intenditori ma sempre in modo tale che anche gli incompetenti ne provino piacere senza sapere perchè ». E il Paumgartener nota come questo gruppo di concerti «... pur senza scostarsi dall'antica struttura formale in tre tempi sostanzialmente evolvano i precedenti saggi del genere... Uno degli obiettivi principali quello di conseguire l'«effetto» - non si dimentichi che Mozart li scriveva per eseguirli personalmente in pubblico - risulta ingentilito dalla profondità e dalla nobiltà dell'invenzione e portato con sublime maestria al di sopra di ogni contingenza di tempo e di moda... ». E lo stesso Paumgartner così prosegue: « ... il concerto mozartiano si differenzia dagli antichi modelli essenzialmente per la concezione fonica e psicologica moderna della forma intesa come spigliata contrapposizione di due individualità - la massa orchestrale e il pianoforte a martelli dalle enormi risorse timbriche e dinamiche - e potenziata da un'inesauribile varietà di atteggiamenti... Pur essendo riservata al virtuosismo del pianista una parte preminente, protagonistica, anche l'orchestra si muove con indipendenza. Allo strumentatore geniale agguerrito alle scuole di Vienna e di Mannheim... queste partiture furono magnifiche occasioni di mettere in luce così ricche esperienze. Nelle parti pianistiche profuse i tesori della propria originalissima tecnica, le magistrali figurazioni fiorite di interessanti abbellimenti, gli squisiti levissimi passaggi, i cambiamenti di posizione timbricamente così suggestivi, la dolce cantabilità della mano destra sui canovacci trasparenti e morbidi degli accompagnamenti; ma non meno si preoccupò di dare all'orchestra lo stesso grado di interesse timbrico e musicale... ».

Ed è un giudizio che pienamente si attaglia al Concerto in programma stasera. Il primo tempo «Allegro maestoso» si presenta come una sorta di marcia solenne, intervallata da silenzi, che presto concede ai priimi violini il privilegio di presentare il primo tema; poi, dopo un dialogo tra archi e fiati, spetta ai legni di presentare un secondo tema finchè, dopo una drammatica modulazione in minore, si apre la strada all'intervento del «solo» il quale, su una tonalità di sol maggiore, più che presentare un tema si lancia in un tentativo di «cadenza» che dà l'avvio al lungo dialogo tra solista e orchestra. E' abbastanza interessante notare a proposito di questo primo tempo l'assoluto parallelismo che si viene a creare tra il «solo» e i «tutti», dove al primo è negato ogni intervento sul materiale tematico affidato all'orchestra e viceversa. Al punto che Mozart volendo affidare il secondo soggetto del tempo al solista ha inventato una specie di secondo soggetto fittizio per completare l'introduzione orchestrale. Sicchè il rapporto dialettico tra il pianoforte e l'orchestra è soprattutto un rapporto espressivo per il quale «solo» e «tutti» sono chiamati nelle loro rispettive sfere ad esprimere sì lo stesso pensiero ma con parole programmaticamente diverse.

Il secondo tempo «Andante» è scritto nella tonalità di fa maggiore ed è certo tra i più alti movimenti lenti composti da Mozart. Il De Saint-Foix ne mette in, risalto l'atmosfera di «alta poesia», a proposito della quale qualche critico ha fatto addirittura il paragone con i Notturni di Chopin. Una cantilena del pianoforte preceduta da un preludio dei «tutti» è la caratteristica fondamentale di questo movimento nel quale sembrano addensarsi e risolversi uno nell'altro numerosi stati d'animo ora tristi, ora angosciati, ora sereni. Ma i temi si distinguono appena; quasi si trattasse di un fiume sonoro lento e costante. Ma non si tratta di una «fantasia», anche se una gran parte del fascino di questo movimento si basa sul suo colorito sempre cangiante e sulle straordinarie sonorità frutto di una ricchissima e sapiente strumentazione. Ma se l'orecchio non riesce a distinguere i diversi temi, pure riconosce accenti che ritornano, strade già percorse.

Strutturalmente si riconoscono in questo movimento tre parti distinte: un preludio orchestrale, una parte centrale nella quale è il solista a prevalere ed una «coda». Nè sarà inutile notare che questa magica atmosfera è costruita da Mozart cambiando continuamente la tonalità del pezzo che comincia in fa maggiore e conclude, naturalmente, nella stessa tonalità ma che contiene in 102 battute ben 20 modulazioni verso tonalità diverse.

Il terzo tempo «Allegro vivace assai» è da un punto di vista espressivo un rondò caratterizzato dal dialogo costante tra «solo» e «tutti» basato sulla utilizzazione sapiente di frammenti del tema principale che passa continuamente da una famiglia all'altra dell'orchestra per preparare parentesi di carattere dichiaratamente virtuosistico al pianoforte, nello spirito generale del movimento che sembra essere quello di una gioiosa atmosfera che cancella definitivamente la intima e triste meditazione dell'«Andante».

Gianfilippo De'Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In conseguenza della brusca rottura con l'arcivescovo di Colloredo presso il quale aveva prestato servizio in qualità di organista del duomo e della corte, Mozart decise di rimanere a Vienna (1781), città che lo aveva sempre affascinato per il vivace fermento culturale di stampo europeistico, rafforzatosi negli anni dell'illuminismo giuseppino.

Perfettamente a suo agio nei panni dell'artista «indipendente» e accettando le conseguenze della nuova situazione che Io privava di uno stipendio annuo fisso, il musicista fu costretto ad aguzzare il suo scarso ingegno economico: organizzò concerti a proprie spese, ma anche a suo personale beneficio (le cosiddette «accademie»), cominciò a dare lezioni private di pianoforte e composizione e infine pubblicò un consistente gruppo di lavori.

Il padre, recatosi nella primavera del 1785 a Vienna ospite di Wolfgang e della giovane nuora, annunciava con visibile soddisfazione a Nannerl un positivo bilancio finanziario: «se mio figlio non ha debiti da pagare, è in condizione di depositare duemila fiorini in banca. Certamente il denaro non gli manca». Il tono ottimistico di Leopold - come tutti sanno - sarà purtroppo smentito dalla realtà. Certo che soprattutto nei primi anni viennesi Mozart era l'artista «up to date», conteso e vezzeggiato dalla influente società del tempo: il cancelliere di stato conte Coblenz, i principi Kaunitz e Galitzyn, il barone van Swieten, fervido animatore di domenicali «rendez-vous» bachiani, l'imperatore Giuseppe II in persona che — come racconta Leopold — dopo l'esecuzione di un concerto pianistico, si alzò sventolando il cappello al grido di «bravo Mozart».

Accanto a questi gratificanti attestati e, di conseguenza, a molte gelosie — presunta quella di Gluck, certa invece quella di Salieri —, il compositore continuava a lavorare col suo costante e frenetico ritmo.

Il «Concerto in do maggiore», composto nel marzo 1785 ed eseguito il 9 dello stesso mese dall'autore durante il ciclo di «accademie» al «Mehlgrube», ebbe luogo di fronte a un pubblico di 150 abbonati.

Come tutti i diciassette concerti pianistici scritti a Vienna — tranne l'ultimo K. 595 — anche questo lavoro non fece gemere i torchi della stampa, durante la vita del musicista; nel 1801 l'editore André pubblicò l'opera sulla base del manoscritto autografo. Sintesi magistrale di preclassica grandiosità e di intima «sensiblerie» settecentesca, questo concerto anticipa per magnificenza orchestrale, struttura sinfonica, ricchezza inventiva, la stagione radiosa dell'ultimo e metafisico Mozart.

Caratteristica principale del primo movimento («Allegro maestoso»), in una originale forma-sonata, è il modo di procedere per blocchi sonori di aggettante nitore timbrico, tale che il tema iniziale di marcia si presenta, simmetricamente disposto fra l'ala degli archi all'unisono e la squillante fanfara dei fiati. L'apollineo ne è la cifra distintiva. Nella misura in cui Mozart raggiunge una cosciente chiarificazione della propria problematica umana e artistica, conquista, disancorandole da un improbabile retaggio illuminista, le categorie della semplicità e della lucida razionalità, elevandole a presupposti di polivalente semanticità, oggettiva e soggettiva a un tempo.

Il dialogo fra pianoforte e orchestra si dispiega, pur nel rispetto delle tradizionali «entrées», con mirabile varietà di accenti e mutue incidenze espressive, in un tessuto armonicamente omogeneo che non rifiuta gli ornamentali virtuosismi dello stile clavicembalistico.

L'«Andante», in tempo binario, segna il momento della riflessione lirica, dell'abbandono intimistico. Si apre con il pizzicato dei violoncelli e dei contrabbassi, su un mosso disegno di terzine e sestine affidato a violini secondi e viole, mentre i violini primi, con sordina, intonano un canto di suggestiva e rarefatta bellezza, ripreso e sviluppato dal pianoforte.

L'«Allegro vivace assai», scritto nella forma del rondò, porta indiscussa la firma dell'autore, che si diverte a mescolare le carte di un brillante gioco timbrico, esplorandolo con curiosa e divertita ironia.

L'organico comprende oltre allo strumento solista: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni in do, 2 trombe in do, timpani e archi.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 Novembre 1967
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 9 ottobre 1976


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Ultimo aggiornamento 7 febbraio 2019