Concerto per violino n. 3 in sol maggiore, K 216

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (sol maggiore)
  2. Adagio (re maggiore)
  3. Rondò. Allegro (sol maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi (anche flauti), 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 12 Settembre 1775
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se risaputa è la precoce vocazione mozartiana per gli strumenti a tastiera, che porterà il prodigioso clavicembalista degli anni dell'infanzia e il celebrato pianista della maturità a un'attività concertistica durata l'intera esistenza, meno noto è l'impegno del diciannovenne Konzertmeister come violinista-compositore al servizio del principe-arcivescovo di Salisburgo. Un'arte appresa dal padre Leopold, esimio virtuoso e trattatista di uno strumento che nel secondo '700 già godeva di una storia, di una letteratura, di un prestigio risalenti per la massima parte agli italiani - da Corelli a Geminiani, da Vivaldi a Tartini, per non citare che i nomi più insigni.

Brevissima - per l'esattezza, dal 14 aprile al 20 dicembre 1775 - sarà la parabola professionale di Mozart violinista, ma fulgida di capolavori. Essa è preceduta nel 1774 dal Concertone in do maggiore K. 186e, curiosa composizione ove ai due violini solisti si affiancano con importanza di poco inferiore un oboe e un violoncello, e che per tale insolito organico viene raramente eseguita.

L'attività di Mozart come compositore di Concerti violinistici propriamente detti ha inizio col Concerto in si bemolle maggiore K. 207 e con quello in re maggiore K. 211, ancora debitori di una produzione coeva, quella di Tartini, Pugnani, Borghi, Nardini, cui il concertista-compositore alle prime armi non poteva non rifarsi. Lo schema formale adottato, che comporta quattro interventi dei "tutti", intervallati da tre escursioni solistiche, appare assai più rigido e arcaicizzante di quanto non sarà soltanto fra qualche mese. Ogni ricchezza emotiva sembra rifugiarsi nei movimenti di mezzo, con esiti che se nel K. 207 sentiamo ancora intrisi di un certo languore boccheriniano, nel fervore lirico del movimento centrale del K. 211 già ci trasportano ben al di sopra dei pur nobili modelli seguiti.

La breve ma prodigiosa esperienza di Mozart violinista si conclude con la straordinaria temperie inventiva della successiva triade concertistica: i Concerti per violino K. 216, K. 218 e K. 219 sono capolavori omologati da strette affinità stilistiche e dal vertiginoso progresso nei rapporti tra esposizione orchestrale ed esposizione solistica, in cui consiste la peculiare grandezza del Concerto mozartiano in generale: il tutto sotto le apparenze di una disinvolta amabilità mondana, che attutisce anche gli spigoli più aspri della sperimentazione.

Nel Concerto in sol maggiore K. 216, datato al 12 settembre 1775, l'introduzione orchestrale del primo tempo si svolge in una plasticità melodica e timbrica (quella gaia fanfara di oboi e corni sul mormorare dei violini) e in una freschezza e aggressività inventiva finora sconosciute e che confluiranno nei futuri Concerti per pianoforte.

Col suo modesto apparato virtuosistico (un tratto che accomuna tutti i Concerti per violino, i quali gradatamente acquistano in essenzialità e profondità espressiva quanto rinunciano in effusiva brillantezza) lo strumento solista qui segue ancora abbastanza fedelmente le proposte dell'orchestra, accettando nel corso dello sviluppo di dialogare col primo oboe e di avventurarsi in un breve, emozionante "recitativo" dal quale, sull'elegante ponte predisposto dagli oboi, planare nell'"aria" virtuale della ripresa.

Questa coniugazione in termini drammatici della comunicazione espressiva tocca il culmine nella meravigliosa "cavatina" dell'Adagio, dove (come già in parecchi movimenti lenti delle precedenti sinfonie) la coppia degli oboi viene sostituita da quella dei flauti e dove, con un emozionante colpo di scena, l'accompagnamento in terzine interviene dopo che la prima semifrase della melodia ha spiccato il volo nel silenzio di tutta l'orchestra.

Il gusto, tutto francese, per la sorpresa, mutuato dalle musiche d'intrattenimento, si riaffaccia nei finali di tutti e tre gli ultimi Concerti: nel Rondò conclusivo del Concerto K. 216, troviamo l'inserzione di un amabile tempo di gavotta in sol minore (con tanto di "alternativo" in maggiore destinato a sfociare nell'ultimo ritornello in tempo ternario).

Definitivo ed eclatante colpo di scena, anch'esso comune ai tre Concerti, il congedo in sordina, sul filo della sommessa clausola dei fiati.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È questo il primo dei cinque concerti per violino, composti a Salisburgo fra l'aprile e il dicembre 1775, che sia entrato stabilmente in repertorio. Porta la data del 12 settembre: tre mesi soltanto lo separano dal Concerto K. 211, rispetto al quale rappresenta un deciso balzo in avanti. Il virtuosismo della parte solistica è abbastanza contenuto, visto che Mozart (pur essendo anche un ottimo violinista) preferiva orientarsi verso la sensibilità e il cantabile di gusto italiano piuttosto che verso il brillante impegno tecnico dello stile francese. Resta comunque predominante la dimensione sinfonica, garanzia in ogni momento di un profondo impegno compositivo. La conclusione dello sviluppo centrale dell'Allegro d'inizio è segnata da alcune battute di recitativo del solista a imitazione dello stile vocale dell'opera italiana coeva.

Dopo il primo tempo (dove compare anche un'eco del Re pastore, musicato pochi mesi prima), in luogo del più consueto Andante, Mozart inserisce un Adagio che, per la purezza delle linee melodiche, resta una fra le sue pagine più suggestive; contribuiscono al suo incanto la piccola e cristallina forma di sonata e la sostituzione degli oboi coi flauti. Conclude l'opera un Rondò ricco di umorismo, contraddistinto da imprevedibili cambiamenti di tempo (fra cui un breve Andante in sol minore), di metro e di tonalità.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel Concerto in sol maggiore K. 216 si fa palese il notevole passo avanti compiuto da Mozart e il distacco, frutto di una maturazione, dai due precedenti concerti.

L'ispirazione e la tecnica compositiva si pongono, qui, su un piano superiore; qui Mozart raggiunge, per la prima volta, un equilibrio perfetto tra il brio strumentale richiesto da un concerto e la contenuta espressività della musica. Lo strumento solista è messo nel giusto rilievo, senza tuttavia concedere troppo al virtuosismo. I passi di bravura non vanno mai a discapito delle idee musicali, il registro acuto è impiegato con parsimonia, mancano quasi del tutto i passaggi in doppie corde e gli altri artifici della tecnica violinistica. Significativo è anche il fatto che il Concerto, come i due successivi K. 218 e K. 219, termini con un piano, senza nulla concedere alle velleità esibizionistiche del solista; nel rondò finale il violino non prende nemmeno parte all'ultima ripresa del ritornello. Gli effetti strumentali brillanti, che pure non mancano, non sono mai fini a se stessi, bensì subordinati alla qualità delle idee musicali.

Queste ultime sgorgano abbondanti dalla fantasia del compositore, che le profonde senza risparmio all'interno di un concerto dalle forme più ampie del solito: nell'Esposizione dell'Allegro iniziale, ad esempio, si susseguono almeno cinque idee distinte (il tema principale proviene dal ritornello orchestrale della seconda aria di Aminta, «Aer tranquillo e dì sereni», nel Re pastore). Nuova è anche l'emancipazione completa del violino solista, che suona alcune melodie riservate a lui solo; e nuova è la scrittura orchestrale, fattasi più corposa e «sinfonica». Nello Sviluppo Mozart indugia su caratteristici contrasti di colore armonico, inserendo nel discorso episodi in modo minore. Ma in generale il movimento scaturisce da un atteggiamento estroverso e comunica, coi suoi temi e il fraseggiare ben disteso, esuberanza e gioia di vivere.

Un'espressività cantante, che fa leva sulla capacità del violino di emulare la voce umana, caratterizza l'Adagio: è un canto amoroso all'italiana, dal carattere luminoso e sognante, sostenuto dai violini in sordina e dal pizzicato degli archi gravi. Gli oboi, in questo movimento, sono rimpiazzati dai flauti, con una soluzione timbrica che accresce l'intimismo dell'atmosfera e crea un colorito particolarmente adatto al carattere vocale del brano.

Il movimento finale, Rondeau. Allegro, mostra una spigliata esuberanza giovanile; il tempo ternario gli conferisce un carattere danzante. Il ritornello iniziale ricompare periodicamente, immutato o solo leggermente variato, in alternanza con episodi nettamente separati. Assai caratteristico è l'episodio centrale, nel quale Mozart inserisce materiale melodico di schietto sapore popolare: consiste in una prima parte, un Andante in tempo binario e in modo minore, nella quale una melodia dal vago carattere di romanza è sostenuta da un accompagnamento pizzicato, e in una seconda, un Allegretto, nella quale il violino presenta un motivo popolare, che dal musicologo ungherese Dénes Bartha è stato identificato in una danza detta «strasburghese» (del linguaggio etnico non manca neppure il cosiddetto «bordone», dato dai suoni gravi tenuti dal solista sotto la melodia). Mozart crea, in questo modo, un tipo inedito di rondò, un brano fantasioso e «policromo» dall'effetto stravagante. Questo tipo di composizione, che si rifà allo spirito del divertimento e mostra una concezione formale più libera rispetto al rondò dei concerti per pianoforte, comparirà ancora nei due concerti successivi e resterà peculiare dei concerti mozartiani per violino.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il Concerto K. 216 è il terzo dei cinque concerti per violino (K. 207, 211, 216, 218, 219) che costituiscono l'unico lascito di Mozart nel campo del concerto violinistico (o almeno l'unico lascito autentico, vista l'esistenza di un'altra partitura di discussa autenticità). Tutte e cinque le composizioni risalgono al 1775; ignoriamo tuttavia del tutto le circostanze per cui furono scritte, come anche i loro destinatari; probabilmente Mozart le concepì per il proprio uso personale di esecutore (o per quello di un tale amico Kolb), per la prassi concertistica della corte salisburghese. Non a caso tutti e cinque i Concerti prevedono quasi il medesimo organico orchestrale (archi e coppie di oboi e corni, per mettere in maggiore risalto il solista) e rispondono a una impostazione palesemente intrattenitiva e concettualmente disimpegnata - attributi, questi, da non intendere in senso negativo, ma anzi perfettamente aderenti ai modelli stilistici del tempo.

Sotto il profilo della concezione formale Mozart ebbe, quali punti di riferimento, gli ammirati modelli della tradizione italiana, con i quali era venuto in contatto sia attraverso l'insegnamento paterno che nei suoi viaggi in Italia: i concerti di Tartini e Nardini, che si richiamavano alla struttura formale vivaldiana (tre movimenti, con gli interventi dell'orchestra alternati a quelli del solista). Negli anni 1770, peraltro, il modello vivaldiano era ormai contaminato con lo schema del primo tempo di sonata, che imponeva la presentazione di due temi contrapposti e il loro sviluppo. Sotto il profilo dello stile violinistico, d'altra parte, Mozart prediligeva una scrittura solistica elegante, e aliena dal virtuosismo fine a sé stesso, che non disdegnava, tuttavia, frequenti aperture verso il brillante stile francese di Viotti. In definitiva, si può dire che, se il Concerto per violino era un genere ormai internazionalizzato, Mozart vi si applicò fondendo fra di loro diverse suggestioni culturali, in quella direzione decisamente cosmopolita che costituisce uno dei tratti più peculiari della personalità del maestro.

I primi due Concerti mostrano, comunque, una impronta assai meno personale degli altri tre. Essi appaiono più schematici, meno significativi nell'invenzione, meno coerenti nell'elaborazione. Del tutto sorprendente è il distacco espressivo evidenziato dal Concerto K. 216, che si segnala come il risultato ormai disinvolto di una raggiunta consapevolezza. Nell'Allegro iniziale si impongono subito la contrapposizione fra i diversi elementi tematici (il tema iniziale è affine a un'aria del "Re Pastore"), il dialogo continuo e continuamente rinnovato fra l'orchestra e il solista (che supera lo schematismo della rigida alternanza fra "solo" e "tutti"), la ricchezza della sezione dello sviluppo. La levigatezza non più accademica della scrittura solistica è elemento centrale dell'Adagio, pagina di espressività sognante, con l'accompagnamento di "Serenata" e la presenza dei flauti (al posto degli oboi). Nel Rondeau - il titolo denuncia l'influenza del gusto francese - aperto da un refrain gustoso e brillante, si alternano episodi fortemente diversificati, in chiave umoristica: compaiono una melodia di serenata e inconfondibili echi di musica popolare; dopo tanti elementi giocosi il movimento si conclude in piano, rifuggendo da una troppo facile platealità.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 Marzo 2010
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 100 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 ottobre 1991


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Ultimo aggiornamento 11 maggio 2014