Fantasia per pianoforte in re minore, K1 397, K6 385g


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, agosto - settembre 1782
Edizione: Bureau d'Art et d'Industrie, Vienna 1804

Incompiuta, è stata completata da A. E. Müller
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La composizione della Fantasia in re minore per pianoforte va collocata tra gennaio e dicembre del 1782, anche se il manoscritto originale del pezzo è andato perduto e di esso non c'è alcun riferimento negli scritti e nella corrispondenza dell'autore. Secondo gli studiosi mozartiani la Fantasia risente, almeno dal punto di vista formale, dell'influenza di Philipp Emanuel Bach e di Haendel, che avevano trattato più volte questo tipo di composizione un po' rapsodica e senza gli schemi prestabiliti. Infatti il brano rientra nel genere delle improvvisazioni, realizzate dal musicista salisburghese nel corso dei suoi innumerevoli concerti pianistici, dove si dispiegavano congiuntamente l'estro inventivo e il talento virtuoslstico dell'artista.

L'Andante iniziale è immerso in un clima sospeso e sembra svolgersi senza un tema preciso, quasi a preparare meglio il clima espressivo dell'Adagio, così intimamente cantabile nel suo recitativo patetico, seguito da un ritornello vivace e brillante, fatto di modulazioni morbide e delicate. Ritorna quindi la frase dell'Adagio in la minore, nucleo centrale del pezzo, dove si respira un sentimento di malinconica poesia da Lied. Con il tema dell'Allegretto (un Rondò in re maggiore) muta l'atmosfera psicologica e tutto diventa più lieto e gioioso, in una varietà di brevi punteggiature ritmiche e timbriche che appartengono alla fantasia creatrice mozartiana. Certamente il brano è estremamente conciso (poco più di sei minuti di musica) e non offre spazio ad un'analisi molto ampia e dettagliata, ma è rivelatore del temperamento di inesauribile freschezza pianistica di un autore che anche nelle improvvisazioni ha lasciato il segno della sua genialità.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La seconda metà del Settecento, durante la quale si svolge il breve periodo dell'esistenza terrena di Mozart, assiste alle fasi decisive della graduale e faticosa affermazione del fortepiano ai danni del clavicembalo e del clavicordo. Le primissime composizioni ultimate da Mozart intorno ai sei anni d'età (1761-62) nascono sul clavicembalo; ma quando nel corso dei suoi viaggi attraverso l'Europa ha l'opportunità di provare il nuovo strumento (nuovo per modo di dire, visto che ha già quasi settanta anni) il giovane Mozart non ha alcun dubbio nel dargli la sua preferenza incondizionata. In una lettera, scritta nell'ottobre del 1777 da Augsburg, Mozart descrive al padre in modo entusiastico le qualità sonore di un fortepiano costruito da Johann Andreas Stein, lo confronta con altri già provati in precedenza e si sofferma a lungo ad analizzarne le caratteristiche tecnico-meccaniche. I risultati di questo amore a prima vista non tardano a farsi sentire: in una lettera scritta due mesi dopo da Mannheim sua madre comunica al marito Leopold: "Davvero suona in modo diverso da come suonava a Salisburgo, perchè qui ci sono i pianoforti ed egli li suona così bene che la gente dice di non aver mai sentito nulla di simile".

D'ora in avanti la conoscenza del fortepiano e poi la possibilità di disporne influenzerà direttamente la scrittura "pianistica" di Mozart; e l'interesse per questo strumento lo porterà anche a prevenirne in modo originale l'evoluzione. In quel periodo l'estensione del fortepiano era in genere di cinque ottave, dal fa con quattro tagli in testa in chiave di basso al fa con tre tagli in gola in chiave di violino; di queste limitazioni Mozart mal sopporta soprattutto quella nel registro grave. In una lettera del 12 marzo 1785 Leopold Mozart informa la figlia Nannerl dell'ultima trovata del fratello: "Si è fatto costruire, per il fortepiano, una grossa pedaliera". Si trattava di una pedaliera dall'estensione di circa due ottave, fondamentalmente analoga a quella di un organo, grazie alla quale Mozart poteva scendere ulteriormente fino al do e soprattutto poteva non rinunciare a dei suoni gravi quando entrambe le mani erano impegnate in altre zone della tastiera; si ha un esempio evidente dell'impiego fatto da Mozart di questa pedaliera in alcuni passaggi del Concerto in re min. K. 466, scritto nel febbraio del 1785, che, stando al manoscritto, richiederebbero effettivamente l'uso di una terza mano o, per l'appunto, di una pedaliera. Altri testimoni fanno esplicito riferimento al fortepiano con pedaliera di Mozart, collegandolo in particolare con le sue improvvisazioni alla tastiera. "Egli suonò per noi delle libere fantasie - scrive Michael Rosing riferendo di una visita in casa di Mozart fatta con alcuni amici nel 1788 - con una maestria che io avrei desiderato ardentemente di possedere, specialmente l'uso della pedaliera, nella seconda fantasia, creò una grande impressione". Qualcosa di analogo si legge nella testimonianza di un certo dottor Frank, riferita da Abert: "Gli suonai una fantasia. Con mia grande meraviglia, disse "Non c'è male. Ora la ascolti suonata da me". Che miracolo... Sotto le sue dita il pianoforte diventò uno strumento completamente diverso. Egli vi aveva aggiunto una seconda tastiera che gli serviva da pedaliera".

Dell'incredibile abilità di Mozart nell'improvvisare alla tastiera, abbiamo probabilmente una pallida eco nella Fantasia in re min. K. 397 (K. 385g) che in effetti si presenta più come l'annotazione di una di queste improvvisazioni che non come una composizione finita. Realizzata nel 1782 (ma alcuni studiosi la ritengono un'opera del 1786-87) e lasciata incompleta da Mozart, questa pagina straordinaria fu pubblicata postuma a Vienna nel 1804, e oggi la si esegue generalmente nella versione pubblicata da Breitkopf nel 1806, completata da dieci battute apocrife, opera probabilmente di August Eberhart Müller. Articolata in tre brevi sezioni che si susseguono senza soluzione di continuità, la Fantasia in re minore è aperta da un austero preludiare in arpeggi (Andante) di chiara derivazione bachiana che sfocia direttamente nella sezione centrale (Adagio-Presto) la più complessa delle tre, fatta di diversi, brevissimi episodi: una melodia intensamente patetica, accompagnata per contrasto da semplicissimi accordi (che sembra quasi presagire nell'affettuosità del suo lamento, nella nudità dell'accompagnamento, nel suo andare e venire nel corso del brano, quella dell'Arioso dolente della Sonata op. 110 di Beethoven), viene interrotta da una nota ribattuta ossessivamente, prima nuda, poi sostenuta da accordi modulanti, che portano a un nuovo episodio, agitato, quasi ansimante, accompagnato ancora da semplici accordi; anche questo si interrompe bruscamente per lasciare spazio alla melodia patetica che però viene troncata ancora più nettamente da una brevissima cadenza (Presto); torna la nota ribattuta con il suo tappeto di accordi, torna l'episodio agitato e finalmente, dopo una nuova cadenza che percorre vertiginosamente la tastiera, torna per la terza e ultima volta la melodia patetica da cui sgorga direttamente la sezione conclusiva, un breve Allegretto in re maggiore, il cui giocoso e infantile chiarore, allontanando d'un colpo l'atmosfera drammaticamente lugubre delle pagine precedenti, suona come un felice e liberatorio risveglio dagli incubi della notte.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'arrivo di Mozart a Vienna nel marzo 1781 segna l'inizio della maturità - umana oltre che propriamente artistica - per il musicista allora venticinquenne. La grande città aveva accolto il giovane Mozart con festosa benevolenza, prodiga di lusinghe e di vivace spensieratezza. «I Viennesi - scriveva al padre qualche mese dopo il suo arrivo - sono gente che spara e ammazza volentieri, ma soltanto sul palcoscenico. E il mio mestiere è troppo amato perché io qui non riesca a mantenermi. Questo è davvero il regno del pianoforte». Anche l'aristocrazia viennese apri di buon grado le porte dei propri salotti al giovane musicista, che aveva modo cosi di affermarsi anche come esecutore. Tra queste nuove e illustri conoscenze ebbe una influenza tutta particolare il barone Gottfried van Swieten, ex-ambasciatore e direttore della biblioteca di corte, animatore di un cenacolo musicale assai esclusivo, frequentato anche da Haydn e più tardi dal giovane Beethoven, dove tutte le domeniche a mezzogiorno si eseguivano musiche di Händel e dei Bach: soprattutto questi autori, infatti, erano considerati dal padrone di casa gli autentici punti di riferimento per tutta l'arte musicale presente e futura. L'entusiasmo un po' dilettantesco del barone van Swieten fu dunque l'occasione per Mozart di uno studio sistematico del contrappunto dei due maestri tedeschi, ma anche delle opere dei figli di Bach e in particolare di Carl Philipp Emanuel. Lo stile assai particolare di questo autore, legato alle straordinarie, raffinatissime possibilità espressive del clavicordo e a forme libere quali appunto la Fantasia, era caratterizzato da una ricerca di rappresentazione degli 'affetti' sottile e variegata, al limite di una esasperata e umorale ipersensibilità espressiva. L'incontro del genio mozartiano con questa poetica musicale dette luogo a una serie di composizioni di intenso e problematico contenuto espressivo, incentata soprattutto sulle quattro Fantasie per pianoforte, due delle quali, la K 394 e K 475, preposte rispettivamente a una Fuga in do maggiore e alla celebre Sonata in do minore K 457. Le rimanenti due Fantasie (questa inclusa nel programma odierno e quella in do minore K 396, entrambe composte nel 1782), sono in realtà dei frammenti solo in seguito completati da mano ignota e in tale forma acquisiti da quasi tutte le edizioni come opere originali. La Fantasia in re minore K 397 si apre con un Andante introduttivo, quasi un'ampia improvvisazione su un motivo di accordi arpeggiati nel registro grave della tastiera, per poi passare a un Adagio di intensa espressione, teso in un tessuto armonico arditamente cromatico e due volte interrotti da una improvvisa e concitata cadenza. La parte originale di Mozart si conclude con questo Adagio che, secondo il modello di C. Ph. E. Bach, avrebbe dovuto portare all'episodio conclusivo in stile contrappuntistico; il finale aggiunto invece è un inatteso Allegretto dal carattere ingenuo e sereno che, se da un lato capovolge la situazione alterando completamente il senso generale e l'atmosfera poetica della composizione, dall'altro si trova quasi suo malgrado ad assumere un significato ambiguo e misterioso, contribuendo forse a rendere ancora più affascinante questa singolare composizione.

Francesco Dilaghi


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Concliazione, 6 Dicembre 1985
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 30 aprile 1992
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 21 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 30 marzo 2016