Fantasia per pianoforte in do minore, K 475


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 20 Maggio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Therese von Trattner
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le primissime composizioni di Mozart, ultimate intorno ai sei anni d'età, nascono sul clavicembalo; ma quando nel corso dei suoi viaggi attraverso l'Europa ha l'opportunità di provare il fortepiano, il giovane Mozart non ha alcun dubbio nel dargli la sua preferenza incondizionata. In una lettera, scritta nell'ottobre del 1777 da Augsburg, Mozart descrive al padre in modo entusiastico le qualità sonore di un fortepiano costruito da Johann Andreas Stein, lo confronta con altri già provati in precedenza e si sofferma a lungo ad analizzarne le caratteristiche tecnico-meccaniche. I risultati di questo amore a prima vista non tardano a farsi sentire: in una lettera scritta due mesi dopo da Mannheim, sua madre comunica al marito Leopold: «Davvero suona in modo diverso da come suonava a Salisburgo, perché qui ci sono i pianoforti ed egli li suona così bene che la gente dice di non aver mai sentito nulla di simile».

D'ora in avanti la conoscenza del fortepiano e poi la possibilità di disporne influenzeranno direttamente la scrittura pianistica di Mozart; e l'interesse per questo strumento lo porterà anche a prevenirne in modo, originale l'evoluzione. A quel tempo i fortepiani avevano generalmente un'estensione di cinque ottave; di queste limitazioni Mozart mal sopportava soprattutto quella nel registro grave. In una lettera da Vienna del 12 marzo 1785 Leopold Mozart informò Nannerl dell'ultima trovata del fratello: «Si è fatto costruire, per il fortepiano, una grossa pedaliera». Si trattava di una pedaliera dell'estensione di circa due ottave, fondamentalmente analoga a quella di un organo, grazie alla quale Mozart poteva scendere ulteriormente e soprattutto poteva non dover rinunciare a dei suoni gravi quando entrambe le mani erano impegnate in altre zone della tastiera. Si ha un esempio evidente dell'impiego fatto da Mozart di questa pedaliera in alcuni passaggi del Concerto in re minore per pianoforte e orchestra K. 466, terminato nel febbraio del 1785, che, stando al manoscritto, richiederebbero effettivamente l'uso di una terza mano o, per l'appunto, di una pedaliera.

Altri testimoni fanno esplicito riferimento al fortepiano con pedaliera di Mozart, collegandolo in particolare con le sue improvvisazioni alla tastiera: «Egli suonò per noi delle libere fantasie - ha scritto Michael Rosing, riferendo di una visita in casa di Mozart nel 1788 - con una maestria che io avrei desiderato ardentemente di possedere; specialmente l'uso della pedaliera, nella seconda fantasia, creò una grande impressione». Qualcosa di analogo si legge nella testimonianza di un certo dottor Frank, riferita da Abert: «Gli suonai una fantasia. Con mia grande meraviglia, disse "Non c'è male. Ora la ascolti suonata da me". Che miracolo... Sotto le sue dita il pianoforte diventò uno strumento completamente diverso. Egli vi aveva aggiunto una seconda tastiera che gli serviva da pedaliera».

Dell'incredibile abilità di Mozart nell'improvvisare alla tastiera abbiamo probabilmente una pallida eco nelle Fantasie da lui composte negli anni viennesi: a noi sono giunti solamente tre lavori di questo genere, tutti in tonalità minore - K. 396/385f in do minore, K. 397/385g in re minore e K. 475, ancora in do minore, pubblicata insieme alla Sonata K. 457 - che, in perfetta sintonia con i canoni di una Fantasia, sono accomunati da una struttura libera e irregolare, da forti contrasti espressivi e da modulazioni a toni lontani. Tutto questo, aggiunto al fatto che i primi due di questi tre brani sono incompleti, mancando delle ultime battute, lascia supporre che siano nati come appunti sommari delle tanto decantate improvvisazioni mozartiane alla tastiera e che siano in un certo senso solo la piccolissima punta di un gigantesco iceberg probabilmente perduto per sempre.

Datata 20 maggio 1785, la Fantasia in do minore K. 475, di gran lunga la più ampia delle tre, inizia con un intenso e pensoso Adagio denso di cromatismi che dopo poco si apre a un canto nobile e pacato in re maggiore. L'atmosfera muta bruscamente in un affannoso e agitato Allegro in do minore che culmina in una vertiginosa scala cromatica ascendente attraverso quattro ottave della tastiera per sfociare in un delicato ma inquieto Andantino, ultima oasi di raccoglimento lirico prima dell'esplosione di un violentissimo Più Allegro che, dopo una dozzina di drammatiche battute travolte dalla piena di un tempestoso e irrefrenabile moto di velocissime biscrome, si va gradualmente placando fino al ritorno dell'idea che aveva aperto il brano (Tempo primo), leggermente modificata in chiave conclusiva. Ma proprio quando sembra ormai destinata a spegnersi sommessamente nel registro grave della tastiera, la Fantasìa ha un'ultima impennata e si chiude perentoriamente con tre rabbiose scale ascendenti di do minore in forte. Le stesse con cui Beethoven, una quindicina d'anni dopo, avrebbe fatto irrompere il pianoforte nel suo Terzo Concerto.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Paumgartner, parlando della Fantasia in do minore K. 475, asserisce che «in nessun'altra composizione pianistica Mozart ha più decisamente anticipato lo spirito beethoveniano e, diremmo, quello della musica pianistica moderna in genere...». Mozart scrisse questa Fantasia (che è la quarta ed ultima delle sue composizioni consimili) nel maggio 1785, cioè a circa un anno di distanza dalla Sonata in do minore, K. 457, e la pubblicò insieme con quest'ultimo lavoro sotto il titolo seguente: «Fantaisie et Sonate pour le forte-piano composées par le Maìtre de chapelle W. A. Mozart, oeuvre XI...». Mozart aveva concepito dunque questa Fantasia (probabilmente alla pari delle tre precedenti) come un vasto, libero Preludio ad un'opera strumentale in forma prefissata e chiusa. Un Preludio che serba del resto un suo valore pienamente autonomo e può venir eseguito separatamente, come infatti avviene spesso. E' dalle opere di Filippo Emanuele Bach che Mozart prese l'esempio per lo stile improvvisatorio delle sue Fantasie, così ricche in arditi cromatismi, in reiterati, quanto repentini mutamenti di tonalità, di movimento, di valori espressivi, di cesure e pause inaspettate, di rotture ed elisioni, di estrosi slanci e di drammatiche cadute. Si può dire che queste «Fantasie», graficamente fissate e dunque meditate, almeno nella misura inerente alla loro formulazione per iscritto, appaiono assai più libere, più «improvvisate» delle vere e proprie improvvisazioni estemporanee in cui Mozart eccelleva e che egli stesso non scrisse ma di cui tuttavia ci possiamo fare un'idea attraverso qualche annotazione che ci è pervenuta. Nelle improvvisazioni veramente spontanee, il compositore, trovato un tema, lo volta e lo rivolta da tutte le parti, e non lo abbandona prima di essere certo d'aver avuto un'altra idea da svolgere. L'improvvisazione reale può sembrare dunque a volte addirittura convenzionale. Per converso delle improvvisazioni virtuali o addirittura finte possono presentare aspetti che sprezzano qualsiasi norma razionale. Improvvisazioni «finte» erano per esempio i contrappunti alla mente, «bestiali» o no, di un Banchieri il quale spacciava spiritosamente per «improvvisazioni » delle musiche accuratamente meditate al fine di giustificare e far accettare delle «libertà» e delle «arditezze» che in una musica «composta» in modo ortodosso e secondo lineamenti formali prestabiliti, non si sarebbero potuti giustificare. Ad un simile tipo di «improvvisazione virtuale» appartengono forse anche le Fantasie di Mozart e in un modo del tutto particolare la Fantasia K. 475 in cui, come è stato giustamente notato, «il tono tragico, la rovente passione, gli accenti rassegnati e gravi di presentimento, già notati nelle opere precedenti di Mozart, toccano l'acme dell'intensità soggettiva».

La Fantasia comincia Adagio, con un motivo drammaticamente interrogativo, raddoppiato due volte a distanza d'ottava e accentuato secondo un rapporto dinamico «forte-piano» che sarebbe di per sé sufficiente per dimostrare che l'opera era espressamente destinata al pianoforte e non più al clavicembalo. La risposta a questo motivo è data da due sospiri cromatici. Dopo poche battute siamo già nella lontana orbita di re bemolle nella quale il tema interrogativo si dispiega cantabilmente, prima di subire, nel registro grave, una nuova serie d'impreviste modulazioni. Dopo un rallentando calando si apre una parentesi di serenità per far risuonare un tenerissimo tema, in re maggiore, che ha la forma di un minuscolo Lied. Chiusa questa parentesi, si scatena un primo, tempestoso Allegro i cui accenti drammatici anticipano il Beethoven della cosidetta «seconda maniera». L'episodio in fa minore di questo Allegro prefigura, nella sua parte conclusiva, il lapidario tema della Quinta Sinfonia beethoveniana. Una Cadenza porta però ad una nuova schiarita che si concreta in un dolcissimo Andantino in si bemolle maggiore. Quest'Andantino assume però gradatamente toni sempre più gravi e patetici, fino a sfociare in un Più Allegro, ben più tempestoso del primo Allegro. Concepito come un succedersi di ondate sonore che, ad un certo momento, cominciano a rifluire per cedere il passo ad un ritorno più conciso e più scarno, ma intriso di un senso tragico ancor più perentorio, del brano iniziale della Fantasia. Come dice il De Saint-Foix, « la potenza di quei lampi che solcano tutta la notte di questo do minore, si trova come compressa e rinchiusa in una ganga: l'impressione resta tanto cupa che, malgrado il dilaniamento crudele della scala finale, si prova quasi un senso di sollievo quando risuona (o persino quando non risuona affatto) la famosa Sonata, dedicata anch'essa, alla Signora von Trattnern, e alla quale Sonata questa Fantasia, profeticamente beethoveniana, serve come preludio». A simili iperbole esegetiche si oppongono ancora i difensori del consunto cliché di un Mozart settecentesco, «piccolo marchese in parrucca e pantaloni di seta», i quali vorrebbero che le sue musiche fossero suonate in modo «clavicembalistico». A questi ultimi bisogna ricordare la testimonianza del Dr. Joseph Frank, al quale Mozart diede, nel 1790, dodici lezioni, mostrandogli, tra l'altro, come andava eseguita la Fantasia. Frank descrive l'interpretazione della Fantasia data dallo stesso Mozart: «Quale miracolo! Sotto le sue dita, il pianoforte si trasformava in un altro strumento. Egli aveva rinforzato il suo pianoforte con un secondo pianoforte...».

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

In continuità con il filone della Toccata bachiana per l'immediatezza di scrittura, la spontaneità improvvisativa e la limpidezza del processo stilistico, la Fantasia in do minore K. 475 di Mozart rivela anche caratteristiche diverse se la si osserva dal punto di vista temperamentale. Molti osservatori l'hanno considerata quasi «beethoveniana» per il clima cupo e turbinoso, per la forte personalità e frontalità dei temi, per l'estrema variabilità e l'intenso contrasto delle idee.

La Fantasia K. 475 rivela una trasparente organizzazione formale: un Adagio ai due poli estremi che funziona da Preludio introduttivo e Postludio finale, quasi a perimetrarne il territorio dei contenuti espressivi; al suo interno un Allegro a due temi richiama un'esposizione di sonata ed è seguito da un Andantino tripartito (ABA').

La Fantasia - scritta in un sol giorno il 20 maggio 1785 - fu pubblicata da Mozart insieme alla Sonata K. 457. Il compositore aveva intenzionalmente avvicinato i due brani giudicandoli in forte affinità, avendo probabilmente sentito l'esigenza di creare una solida base alle qualità prorompenti della Sonata. La Fantasia ne sarebbe stata infatti il suo splendido ed enigmatico preludio. Aveva però contemporaneamente voluto salvaguardare il valore di autonomia della Fantasia stessa (quindi di sua eseguibilità «a parte») costruendola come un congegno del tutto completo sotto l'aspetto architettonico e compiuto sotto quello puramente espressivo.

Sin dall'inizio quel tema misterioso e interrogante, unito all'inquieta risposta all'acuto, sembra un minaccioso addensarsi di nubi. Si tratta di una sorprendente concezione sinfonica della scrittura pianistica: il tema, presentato in forte e unissono, pare ricalcare un partecipato inciso degli archi, mentre la risposta, in pianissimo, simula la voce dei fiati con un'opposizione marcata di timbri sottolineata dai contrastanti f-pp ripetuti, elemento che fra l'altro conferisce a queste prime battute un andamento solenne e teatrale. Il tema si trasforma presto in una melodia lunga sull'ondulato sostegno del grave e ancora passa alla mano sinistra, come fosse intonato dalla tenera voce di celli e contrabbassi. Il secondo elemento è invece di spirito totalmente opposto: stabile tonalmente, tenero e affettuoso, inconfondibilmente mozartiano. È un momento di calma e tranquilla cantabilità che pare voler far superare il dramma iniziale.

Tutto però si prepara a cambiare: d'improvviso irrompe l'Allegro con il suo tema agitato, fratto, disperso in piccoli incisi su registri diversi. Si scatena una sorta di violenta tempesta: nei flessuosi appoggi semitonali della mano sinistra, nelle veementi quartine di semicrome della destra, nei ritmi incalzanti e nelle cadenze evitate. Come era avvenuto nell'Adagio, va ora profilandosi un secondo tema di stampo più moderato; richiama un ambiente galante, costruito com'è su deliziosi arpeggi, morbidi appoggi discendenti, piccole e deliziose ornamentazioni. Poi il basso prende a scivolare progressivamente per semitoni, e così facendo unisce il suo movimento alle mobili e avvolgenti terzine della mano destra. Si apre un grande recitativo declamato che enfaticamente prepara il mutamento di tempo.

È infatti il momento dell'Andantino, aperto da un'idea semplice e graziosa. Proprio da questo movimento in poi Mozart innesca un fitto reticolo di rimandi - espliciti o meno - alle sezioni precedenti, intensificando il ricorso all'artificio della variazione: l'idea graziosa sopra citata, ad esempio, è tratta da un piccolo inciso cadenzale della sezione di collegamento e più volte è sottoposta a vari livelli di mutazione. I ritorni tematici sono ogni volta collegati da un breve interludio, il cui tranquillo procedere per doppie terze - sul regolare e docile accompagnamento del basso - ricorda una dolce frase intonata dai legni. Nel finale l'idea graziosa compare in una forma molto particolare: via via sfaldata e sfrangiata su cadenze irrisolte; ripetuta a oltranza si autodissolve nelle sue stesse ripetizioni.

Brucianti e improvvise, irrompono le velocissime quartine in biscrome del Più Allegro. Richiama¬no toni e movenze del precedente Allegro e presto si esauriscono in un arpeggio dai toni preludianti, con alcune figurazioni tratte da un'altra sezione dell'Allegro (il moto per terze discendenti). Come si vede il materiale ritorna ancora, ogni volta trasformato, in un fitto e imprevedibile intreccio di richiami. Mozart ci ha così preparati all'avvento dell'epilogo, ovvero il ritorno a specchio dell'Adagio iniziale. Ma si guarda bene dal riproporlo con lo stesso percorso e con le stesse dimensioni. Pochi istanti e una digressione armonica interviene a modificarlo radicalmente: le comparse tematiche e i motivi si presentano ravvicinati, ridotti, come espunti dalla pagina iniziale per essere ora riproposti in termini diversi: un procedimento di sintesi teso a concentrare e addensare le idee, per poterle cogliere in profondità.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Concliazione, 1 Dicembre 2000
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 gennaio 1967
(3) Testo tratto dal n. 66 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 15 agosto 2014