Concerto per flauto n. 1 in sol maggiore, K1 313 (K6 285c)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro maestoso (sol maggiore)
  2. Adagio non troppo (re maggiore)
  3. Rondò. Tempo di Minuetto (sol maggiore)
Organico: flauto solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Mannheim, gennaio - febbraio 1778
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1803
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Anche se il contratto col flautista De Jean prevedeva un concerto breve e di facile esecuzione, Mozart, col Concerto K. 313, scrisse una pagina estesa ed elaborata, che presenta all'esecutore discrete difficoltà virtuosistiche.

Il primo movimento, Allegro maestoso, si apre in modo solenne con un accordo a piena orchestra seguito da quattro note ribattute in ritmo puntato (quello, per intenderci, utilizzato un secolo prima da Lully per le sue pompose ouverture d'opera). Per contrasto il secondo tema è più delicato, pur presentando gli stessi elementi costitutivi del primo (note ribattute, ritmo puntato), a dimostrazione della grande abilità che Mozart aveva di dare carattere diverso e/o contrastante a materiale musicale di natura simile. L'ingresso del solista avviene sul primo tema, seguito, come vuole la regola, dalla transizione e dal secondo tema. È interessante osservare il tipo di scrittura che Mozart adotta per gli episodi solistici, molto aderente alle esigenze tecniche e alle caratteristiche timbriche del flauto. Lo Sviluppo rielabora elementi cadenzanti o di raccordo che si sono uditi negli interventi orchestrali dell'Esposizione: vi predomina la tecnica della progressione, ovvero della ripetizione su gradi diversi della scala dello stesso disegno melodico. La Ripresa, regolare, ripropone tutti i temi dell'Esposizione ricondotti nella tonalità d'impianto.

Sembra che l'Adagio ma non troppo non venne apprezzato dal committente De Jean, al punto che Mozart fu costretto a sostituirlo con l'Andante in do maggiore K. 315, pagina meno impegnativa e problematica. In realtà, come nel caso del Concerto precedente, è proprio nel movimento centrale che Mozart profuse i gioielli più luminosi della sua arte. Il tono sereno e disteso del primo tema al quale contribuiscono violini e viole con sordino, viene confermato dall'ingresso del solista che ne varia solo lievemente il profilo, e soprattutto dal secondo spunto tematico esposto dal flauto con una semplicità quasi fanciullesca. A un episodio di dialogo fra solista e orchestra segue una breve sezione di Sviluppo, basata su elementi motivici del primo tema, e la Ripresa integrale della prima parte.

Il Rondò conclusivo è un delicato minuetto che, dietro l'apparente semplicità, nasconde una costruzione ben strutturata nella quale si può anche vedere una forma-sonata arricchita dal ciclico ritorno di un grazioso tema di minuetto di otto battute. Il solista è qui impegnato in una serie di evoluzioni tecniche che vanno dalle rapide scalette in sedicesimi, alle agilità, all'arte del «cantabile». La sezione di Sviluppo è dominata, come già nel primo movimento, dalle progressioni; nel finale il tema di minuetto, esposto sempre prima dal solista e poi dall'orchestra, viene arricchito da una serie di variazioni ornamentali.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Gli anni intorno al 1778 sono caratterizzati da due eventi tra loro strettamente collegati. Nel corso di un suo viaggio verso Parigi in compagnia della madre egli si fermò infatti a Mannheim. E il soggiorno a Mannheim fu certamente assai utile al giovane musicista, essendo la città sede di una orchestra - quella di Carlo Teodoro principe del Palatinato - considerata la migliore di Germania e perciò stesso di un ambiente artistico che ora si direbbe «di avanguardia». Fu a Mannheim peraltro che Wolfang conobbe la famiglia Weber cominciando a sognare un impossibile legame matrimoniale con la giovane Aloysia.

Motivi professionali e motivi sentimentali si collegarono dunque nella decisione di restare a Mannheim il più a lungo possibile malgrado il parere contrario del padre Leopoldo; decisione peraltro alimentata dalla speranza di un impiego presso la corte di Carlo Teodoro che si dimostrò presto infondata costringendo Mozart a dare lezioni private di musica nell'amata città tedesca; tra i suoi allievi vi furono in quel periodo anche un ricco olandese, un certo Jean che, dilettante di flauto, pregò ripetutamente Mozart di fornirgli musiche adatte al suo strumento: tra esse due Concerti per flauto classificati nel catalogo Koechel con i numeri 313 e 314.

Il Concerto K. 313 apre con un Allegro maestoso. Il tema iniziale, esposto vigorosamente dai violini primi, viene ripreso, dopo una breve introduzione per sola orchestra, dallo strumento solista, che ne varia la lineare configurazione melodica arricchendola di una fioritura di tutt'altro che superficiali elementi tecnico-espressivi.

Il secondo movimento, Adagio non troppo, presenta caratteristiche analoghe. Il discorso musicale inizia con una breve introduzione orchestrale dove il tema principale viene esposto dagli oboi e dai primi violini disposti al di sopra del morbido accompagnamento degli archi in sordina. Lo strumento solista mantiene al tema d'attacco le caratteristiche fondamentali che gli sono proprie (in particolare la cantabilità «all'italiana» non priva di fantasiosi abbellimenti melodici); il che non impedisce che il carattere «vocalistico» del movimento accolga tutta una serie di ricercatezze strumentali idonee a «staccare» la parte del «solo» dalla struttura orchestrale che le fa d'accompagnamento.

Il terzo movimento, Rondò (Tempo di Minuetto), prospetta una novità rispetto ai due movimenti precedenti. Abolita l'introduzione per sola orchestra, tocca al flauto solista di esporre il leggiadro e «galante» tema iniziale. Dopo di che il discorso musicale offre allo strumento solista la possibilità di spiccare in estrosi passi di bravura nonché in una continuità di fraseggio tale da assicurargli costantemente la parte dominante nel contesto orchestrale globale.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel catalogo mozartiano le composizioni espressamente dedicate al flauto sono numericamente piuttosto esigue, tre Quartetti e due Concerti (il secondo dei quali, K. 314, è in realtà una trascrizione di un precedente Concerto per oboe) ed un Doppio Concerto per flauto ed arpa. Esse nacquero quasi tutte, dietro commissione di esecutori dilettanti, nel volgere di un brevissimo lasso di tempo, fra il dicembre del 1777 e l'aprile del 1778, nel corso del grande e sfortunato viaggio che ebbe quali principali tappe Mannheim e Parigi. Giunto a Mannheim nell'ottobre 1777 Mozart strinse rapidamente legami con tutti i principali strumentisti che facevano parte della celebratissima orchestra locale; fra questi il flautista Jean Baptiste Wendling procurò al giovane maestro la commissione di alcuni lavori da parte di un ricco ufficiale olandese, Dejean, dilettante di flauto. Mozart non seppe assolvere fino in fondo la commissione, con le relative e spiacevoli conseguenze di carattere economico. A mo' di giustificazione egli rivelò al padre per lettera la propria antipatia nei confronti dello strumento a fiato: "mi stufo presto a scrivere per uno stesso strumento, che non posso sopportare" (lettera del 14 febbraio 1778).

In realtà è difficile credere alla antipatia di Mozart verso il flauto; anche se le opere flautistiche furono composte senza particolare entusiasmo, esse mostrano tuttavia una padronanza superba della tecnica flautistica e dei suoi effetti più eclatanti, ed un impegno costruttivo che varca di molto i limiti di concisione e cordialità richiesti dalla condizione di "amateur" del committente. I due Concerti, in particolare, mostrano delle particolarità stilistiche che si riallacciano ancora alla pratica musicale salisburghese, in particolar modo nell'assetto formale, affine a quello dei precedenti Concerti per violino. Il trattamento dell'orchestra invece risente poco dello stile di Mannheim, e più per la complessa scrittura degli archi che per gli effetti dinamici, caratteristici della splendida orchestra della cittadina.

Contraddistinto dal carattere solenne del primo tema, l'Allegro maestoso che apre il Concerto K. 313 è improntato ad un fitto dialogo fra solista e orchestra, con una lunga, centrale sezione in minore. Cardine espressivo dell'intero Concerto è però l'Adagio non troppo, che si svolge in una serena ambientazione di carattere arcadico, con il ruolo cantabile del flauto che risalta e dialoga con la duttilissima orchestrazione (non a caso Mozart scrisse anche, con l'Andante K. 315, un movimento alternativo di contenuto meno impegnativo, certo più adatto alle esigenze della committenza). In forma di rondò, il Finale (Tempo di minuetto) si sviluppa secondo un elegante movimento di danza, in perfetta aderenza agli stilemi del gusto galante; ed offre al solista le occasioni più compiute di mostrare le proprie doti di bravura.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 098-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 27 marzo 1977
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 novembre 1991


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Ultimo aggiornamento 10 maggio 2014