Idomeneo fu composto tra l'autunno del 1780 e i primi giorni del 1781 su libretto di Gianbattista Varesco, cappellano di corte dell'arcivescovo di Salisburgo. Del libretto esistono due versioni: la prima presenta il testo integrale; la seconda non riporta, invece, i numerosi passi tagliati o non musicati da Mozart, altri espunti dopo esser stati composti e altri ancora esclusi all'ultimo momento per esigenze di durata. A partitura ultimata, il compositore effettuò ulteriori tagli per snellire la lunghezza dello spettacolo. Questa complessa vicenda testuale nasconde un travaglio creativo, documentato dalla quarantina di fondamentali lettere che Mozart e suo padre si scambiarono tra l'8 dicembre 1780 e il 22 gennaio 1781. In esse il compositore discute con Varesco, per interposta persona, le soluzioni da adottare in molte parti del dramma. Non conosciamo l'esito della prima rappresentazione, ma dai pareri dei membri della corte di Monaco riportati nell'epistolario, si deduce che l'impressione destata dal lavoro del compositore venticinquenne fu enorme: «Vi assicuro che mi aspettavo molto da voi» confessò a Mozart il conte Seinsheim in una lettera del 1º dicembre 1780, «ma veramente non mi aspettavo questo!».
Idomeneo venne ripreso a Vienna nel 1786, in un'esecuzione concertistica nel palazzo del principe Karl Auersperg: in questa occasione Mozart trascrisse la parte di Idamante per voce di tenore. L'opera ebbe una notevole fortuna a cavallo tra i due secoli, poi uscì dal repertorio per essere ripresa nel Novecento in versioni variamente rielaborate. Solo a partire dal secondo dopoguerra, con la riscoperta dell'opera seria settecentesca, Idomeneo è stato rappresentato con frequenza sempre maggiore nei principali teatri del mondo, in edizioni fedeli agli originali di Monaco e di Vienna.
Per il libretto di Idomeneo, Varesco si basò sulla tragédie lyrique Idomenée di Antoine Danchet, musicata da André Campra (Parigi 1712), riscrivendola in forma di opera metastasiana con elementi a essa estranei: danze, scene coreografiche, cori decorativi e drammatici. Il finale tragico fu eliminato a favore di quello lieto, mentre il blocco delle scene del terzo atto (6-10), introdotto ex novo , è chiaramente ispirato ad Alceste di Gluck. Il testo offriva dunque a Mozart una notevole varietà di prospettive stilistiche, che lo indussero a esaltarle nel reciproco contrasto, aggiungendovene un'altra, del tutto personale e audacemente innovatrice: quella del realismo psicologico, estranea alle abitudini dell'opera seria metastasiana e destinato a diventare il cardine del futuro teatro di Mozart. Allo stile dell'opera seria appartengono invece le parti di Idomeneo, Arbace e, parzialmente, quella di Idamante. Tre cantanti di vecchia scuola, rispettivamente i tenori Anton Raaff e Domenico de' Panzacchi e il castrato Vincenzo dal Prato, oltre, naturalmente, alla natura delle situazioni, suggerirono a Mozart una soluzione in tal senso. Nella 'aria d'ombra' di Idomeneo "Vedrommi intorno / L'ombra dolente" la musica rappresenta il lamento doloroso degli spiriti dell'oltretomba; nell'aria "Fuor del mar ho un mar in seno" il re paragona il tumulto del proprio animo a quello di una tempesta marina e la scrittura di Mozart riesce a fissare mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l'immagine della burrasca come metafora del dramma scatenatosi nell'animo del protagonista. La regalità solenne di Idomeneo, non priva di un intimo senso di malinconia, contrasta con la reattività nervosa di Idamante. Nelle due arie del primo atto questi esprime il suo dolore per essere stato respinto dall'amata e dal padre; Mozart conferisce al personaggio una sorta di impaziente, nervosa agitazione, insieme a una dolce, talora efebica malinconia: il tutto espresso con un'eleganza di tratto che caratterizza fedelmente la nobiltà del principe.
Ilia, impersonata da una cantante di gusto aggiornato come Dorothea Wendling, è il personaggio più riuscito dell'opera, nonché il primo completamente risolto dal compositore in chiave di realismo psicologico. Le sue arie, in specie la mirabile "Se il padre perdei", si caratterizzano per un lirismo nostalgico che non esclude, tuttavia, forti componenti del carattere: in particolare un'energia morale temprata dalle dure prove subite e in grado di sorreggerla sino al sacrificio della vita. Qui Mozart intreccia alla voce quattro strumenti concertanti (flauto, oboe, fagotto e corno) che dialogano con il canto. Le affannate frammentazioni del ritmo, l'accorta alternanza di canto sillabico e melismatico, di declamazione e di melodia, il trattamento dell'armonia, con le sue dissonanze piazzate dove meglio non si potrebbe in rapporto alle esigenze espressive del testo, il cangiare dei timbri, tutto concorre ad attingere un'ambiguità di segno persino romantica, ricca di implicazioni espressive e di valenze psicologiche.
Le tendenze introspettive riservate al personaggio di Ilia contrastano con la passionalità di Elettra, la cui interprete, Elisabeth Wendling era, come la cognata Dorothea, un'ottima cantante. L'espressione dell'istintualità incontrollata, che pervade la prima e l'ultima aria di Elettra, si realizza in una vocalità 'martellata', rigorosamente sillabica, mentre l'orchestra si frantuma in una inesausta varietà dinamica e timbrica. C'è tuttavia in queste arie di Elettra qualcosa di eccessivo e di violento che brucia, per così dire, la melodia e documenta il travaglio creativo di Mozart, ancora incapace di dominare in pieno, come sarà in Don Giovanni, l'espressione delle passioni più violente.
I due pezzi d'assieme, il terzetto del secondo atto e il quartetto del terzo, rappresentano situazioni statiche. Ma quest'ultimo è un capolavoro di finezza psicologica nella resa dei quattro personaggi con i loro sentimenti contrastanti: lo smarrimento inquieto di Idamante che si appresta a partire, la dedizione eroica di Ilia disposta a seguirlo anche nella morte, la rabbia blasfema di Idomeneo che impreca contro gli dèi e la gelosia di Elettra, che le corrode l'animo. Il senso fatalistico del limite, che blocca la volontà dell'uomo dinnanzi al destino, è resa da Mozart con un vero colpo di genio, paragonabile a quelli che fanno dei cori drammatici esempi supremi di musica teatrale. Ricordiamo l'intensità del coro dei naufraghi nel primo atto, diviso in una sezione vicina e in una lontana, mentre l'orchestra riempie gli spazi vastissimi della natura in tempesta con l'imitazione del vento e delle onde; il blocco finale dell'atto secondo, con i due cori divisi dal recitativo di Idomeneo; la potenza evocativa con cui, dopo il recitativo del gran Sacerdote, la folla accoglie nel terzo atto la notizia che Idomeneo dovrà uccidere Idamante: tutti momenti musicali e drammatici che si pongono tra le più alte realizzazioni teatrali di Mozart. Accanto a questi pezzi, i cori decorativi nel primo atto ("Godiam la pace", "Nettuno s'onori") e nel terzo ("Scenda amor") rappresentano momenti di distensione, che il compositore risolve con squisita eleganza di gusto francese.
Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri, ma rimane un'opera seria italiana fondata sull'alternanza di aria e recitativo, con l'esclusione di veri concertati d'azione. Mozart comprese gli ostacoli che le convenzioni del genere mestastasiano opponevano a quell'esigenza di naturalezza, di realismo psicologico e di continuità temporale nella rappresentazione del dramma che egli sentiva prepotentemente sorgere nella sua coscienza di uomo di teatro. Cercò allora di stabilire una continuità tra un pezzo e l'altro, facendo ampio ricorso al recitativo accompagnato; ma quando, poco prima dell'esecuzione, si accorse della inaccettabile lentezza del terzo atto, non esitò a tagliare tre arie di Idamante, Elettra e Idomeneo per non interrompere l'azione nell'ultima parte della tragedia. Tutta l'opera mostra quindi, insieme al supremo valore dell'invenzione musicale e a una scrittura orchestrale che non ha paragoni per sontuosità di effetti nella restante produzione mozartiana, anche un drammatico contrasto tra il testo, che additava al musicista un certo genere di drammaturgia musicale, e la sensibilità di Mozart, che tenta in ogni modo di piegare gli schemi rigidi dell'opera seria alla sua nuova idea di teatro musicale. Nella sua polivalenza espressiva e stilistica - tragédie lyrique, dramma gluckiano ed elementi di realismo psicologico innestati sul tronco dell'opera seria metastasiana - Idomeneo rimane dunque un'opera sperimentale, priva di unità stilistica ma cementata dalla maestria compositiva di Mozart che ci meraviglia per la ricchezza, la profondità, l'audacia delle soluzioni stilistiche, tecniche ed espressive. Tutto è ad altissimo livello, ma l'invenzione del compositore letteralmente fiammeggia dove il testo, specie nei cori drammatici e nelle arie di Ilia, gli offriva la possibilità di rispecchiare gli intrecci della psicologia umana. La via che guarda al futuro è quindi saldamente tracciata e dopo Idomeneo, senza più indugiare, Mozart potrà imboccarla, aprendo all'opera in musica la rappresentazione della vita nella sua immediatezza, dando al teatro musicale una complessità estetica degna del grande teatro di prosa: un'impresa che il Settecento razionalista riteneva francamente impossibile.
Per comprendere Idomeneo, opera ineguale ma contenente alcune delle pagine musicalmente più ricche di tutto Mozart, bisogna anzitutto riferirsi all'epoca in cui esso venne composto. Mozart da tempo sognava di comporre musica per una grande opera seria e sentiva come un ostacolo insormontabile al suo pieno sviluppo la permanenza nella natia Salisburgo, città dalle prospettive anguste nella quale i compiti e i ruoli che gli venivano via via assegnati gli andavano ormai stretti. Si sentiva predestinato al cimento teatrale, pronto al confronto con la tradizione italiana, francese e soprattutto gluckiana che tanto ammirava; ma per comporre un'opera come lui l'intendeva occorreva che si presentasse un'occasione al di fuori di Salisburgo. E l'occasione, prestigiosissima, si realizzò nell'estate del 1780 quando gli giunse attraverso il conte Seeau, intendente teatrale del Principe Elettore Karl Theodor, la commissione di un lavoro per il Carnevale di Monaco dell'anno successivo. Monaco dunque, una capitale della musica che poteva vantare una storia illustre, che nel Nuovo Teatro di Corte disponeva di un luogo celebrato da molti successi nel campo dell'opera italiana, che gli avrebbe messo a disposizione un'orchestra favolosa - la famosa "compagine di Mannheim" diretta da Christian Cannabich, trasferita a Monaco in blocco - e una compagnia di canto non meno all'altezza. C'erano quindi tutte le premesse perché il sogno di Mozart finalmente si avverasse e prosperasse nelle migliori condizioni.
Il libretto, su un soggetto suggerito dal Principe stesso e già trattato in precedenza dal francese Antoine Danchet a Parigi nel 1712 per la musica di André Campra, fu affidato all'abate Gianbattista Varesco, cappellano di corte dell'arcivescovo di Salisburgo e poeta accademico poco esperto di teatro nonché incline a una certa magniloquenza. Vi si narravano vicende successive alla guerra di Troia. Idomeneo, re di Creta, durante il viaggio di ritorno è assalito in mare da una violenta tempesta. Il pericolo è mortale e Idomeneo, per aver salva la vita, offre in sacrificio a Nettuno, dio del mare, la prima persona che incontrerà giungendo sull'isola. Sbarcato a Creta, Idomeneo incontra per primo il proprio figlio Idamante. Lacerato dal conflitto fra la promessa al dio e il sacrificio del proprio figlio, il re sceglie di non adempiere al voto. Nettuno, offeso dal tradimento, invia sull'isola un terrificante mostro marino, portatore di morte e distruzione. Quando Idomeneo confessa l'atroce segreto, Idamante, che nel frattempo ha sconfitto il mostro, si offre spontaneamente quale vittima; a sua volta Ilia, figlia di Priamo, prigioniera di guerra e innamorata di Idamante, si offre in olocausto a Nettuno. La prova d'amore commuove il dio che impone a Idomeneo di abdicare in favore del figlio, che regnerà su Creta accanto alla sposa Ilia.
Il librettista di Mozart, oltre a tradurre il testo in italiano, sfrondò il numero dei personaggi, portò a tre i cinque atti della tragedia e soprattutto modificò il finale, che nell'originale si concludeva con la morte di Idamante. Il nucleo della vicenda rimase sì lo strazio di Idomeneo, costretto a tener fede al suo voto insano, ma alla storia mitologica si affiancarono umanissime e toccanti storie di affetti incrociati: l'amore della prigioniera Ilia per Idamante, figlio di Idomeneo, e la rivalità con la vendicativa Elettra, anch'ella innamorata di Idamante. Nonostante il modello della tragédie lyrique francese e la presenza di danze, marce guerriere e grandi cori, Varesco si attenne ai principi dell'opera italiana metastasiana, fondata sull'alternanza di recitativi e arie, ridusse considerevolmente lo sfondo mitologico-allegorico del dramma, impoverendone i risvolti fiabeschi, e dettò una conclusione di carattere celebrativo imperniata sul lieto fine: in altri termini, si mosse seguendo una strada convenzionale, ricorrendo ampiamente all'emporio melodrammatico tradizionale. Non era esattamente quello che Mozart, genio paziente e assai più avanti di lui nella concezione dell'opera, desiderava; ma il compositore sapeva che la musica avrebbe potuto correggere gli squilibri drammatici e le rigidezze del testo in favore di una maggiore omogeneità.
Insomma, toccava a lui intervenire per correggere le imperfezioni e riscrivere la storia.
La gestazione dell'Idomeneo si rivelò comunque alquanto complessa e sofferta. Alla riottosità del librettista nell'apportare al testo le continue modifiche desiderate da Mozart si aggiunsero le difficoltà create dai cantanti, tiranni tanto illustri quanto capricciosi nell'opera settecentesca. Se la primadonna Dorothea Wendling e la cognata Elisabeth Wendling, ottime voci e care amiche dei tempi di Mannheim, si dimostrarono subito pronte a recepire rispettivamente le delicatezze introspettive riservate al personaggio di Ilia e l'intensa passionalità di Elettra, Vincenzo dal Prato (Idamante) possedeva una voce di castrato ormai logora, usurata da mille battaglie e di scuola ormai sorpassata (forse anche in seguito a questa esperienza Mozart pensò di affidare nella ripresa dell'opera a Vienna del 1786 la parte a un tenore), mentre l'anziano Anton Raaff (il tenore tedesco protagonista quale Idomeneo, sessantasei anni compiuti) era un divo in declino, legato a una routine di vecchio stampo, suscettibile e vanitoso al punto da pretendere dal compositore un trattamento di riguardo per le sue arie e i suoi interventi nei concertati. Mozart incontrò insospettate difficoltà soprattutto nella stesura del terzo atto ("La mia testa e le mie mani sono così piene del terzo atto che non mi meraviglierei se mi trasformassi io stesso in un terzo atto!", 3 gennaio 1781) e ancor più nel famosissimo quartetto "Andrò ramingo e solo", uno dei più bei quadri d'insieme mai composti per il palcoscenico. "Col quartetto ho avuto delle seccature - scriveva al padre Leopold il 27 dicembre 1780 -. E' piaciuto a tutti quelli che l'hanno sentito al pianoforte; soltanto Raaff è del parere che non sarà d'alcun effetto. Ha detto: 'Non c'è da spianar la voce, lo sento troppo stretto' . Come se in un quartetto le parole non dovessero essere molto più pronunciate che cantate. Tal genere di cose lui non le comprende affatto. Allora gli ho risposto: 'Carissimo! Se fossi convinto che in questo quartetto vi è una sola nota da cambiare, lo farei subito. Solo che di nessun altro momento dell'opera sono soddisfatto come di questo brano; e quando l'avrete sentito cantare una sola volta in concerto parlerete diversamente. Mi sono dato tutta la pena possibile per servirvi a dovere con le vostre due arie: lo stesso farò per la terza, e spero di riuscirci. Ma quando si parla di terzetti e quartetti, il compositore deve avere la mano libera".
Mozart aveva iniziato a comporre l'Idomeneo in ottobre a Salisburgo e lo condusse a termine a Monaco, dove era giunto il 5 novembre (1780) per poterlo completare a contatto dei cantanti e dell'orchestra. Questa circostanza fece sì che egli intrattenesse un fitto epistolario con il padre, incaricato, data la sua diplomazia, di tenere i rapporti con il librettista di stanza a Salisburgo. Da questo carteggio è possibile seguire passo dopo passo la nascita dell'opera: è un viaggio affascinante e completo nella vulcanica officina del compositore, che ci ragguaglia su minimi fatti quotidiani, sui progressi della gestazione teatrale, sui comportamenti dei cantanti, fino a pregnanti riflessioni di estetica teatrale; il tutto tenuto sempre sul filo dell'ironia scherzosa e di una pensosa, concentrata serietà. Mozart riservò estrema attenzione all'impianto drammaturgico generale più che agli episodi isolati, ribadendo più volte la necessità di operare tagli nella partitura a vantaggio di un'economia superiore, anche in presenza di pezzi singolarmente belli. Un significativo esempio è nella lettera del 18 gennaio 1791: "La prova del terzo atto si è svolta in modo splendido. Dicono che sia decisamente superiore ai primi due atti. Ma il libretto è troppo lungo, e di conseguenza anche la musica, come non ho mai smesso di ripetere; cosicché occorre tagliare l'aria di Idamante "No, la morte io non pavento": in ogni caso qui è fuori di posto. Chi ha ascoltato l'opera è dispiaciuto di questa soppressione e dell'eliminazione dell'ultima aria di Raaff. Ma occorre fare di necessità virtù". Folgorante il paragone, che dimostra quanto Mozart guardasse agli esempi sommi del teatro di prosa per trarre insegnamento dalla forza delle parole: "Se, in Amleto, il discorso dello spettro non fosse così lungo, l'effetto non potrebbe che essere migliore".
Dopo numerosi rinvii e ritardi, il dramma per musica Idomeneo andò in scena il 29 gennaio 1781 al Residenztheater di Monaco ottenendo un buon successo. Oltre che all'Elettore, presente la sera del debutto, quest'opera così "nuova e insolita" piacque enormemente agli intenditori e ai musicisti, ma non conquistò emotivamente il grande pubblico dei profani, abituato a ben altre esibizioni (lo spettacolo, le cui scene erano opera del celebre architetto teatrale Lorenzo Quaglio, fu invece unanimemente apprezzato). Benché si dichiarasse non del tutto soddisfatto del risultato raggiunto a causa della ambiguità di fondo (avrebbe preferito che l'opera fosse impostata alla maniera francese, nello spirito dei modelli di Gluck), Mozart aveva osato molto e ne era pienamente consapevole. Seppure costrette nelle regole dell'opera seria tradizionale, le novità drammaturgiche e musicali erano tante e sotto molti aspetti rivoluzionarie. Anzitutto Mozart dette un rilievo straordinario agli strumenti a fiato, facendo dell'orchestra nel suo complesso l'elemento più importante della trama compositiva, sia negli accompagnamenti delle parti cantate sia in quelle non cantate: ne è esempio la grandiosa e patetica Ouverture in re maggiore, che si dissolve senza soluzione di continuità nella prima scena dell'opera. In secondo luogo trasformò i recitativi accompagnati in un vero, ininterrotto dialogo tra voci e strumenti, conferendo all'azione una tensione montante nel segno della continuità e sfociante in poderosi insiemi sovente sorretti dal coro, cui venne attribuita una forza speciale, penetrante. Soprattutto però riuscì a corredare un testo sfilacciato di una musica densa, luminosa, ricca, esuberante nell'invenzione e nell'espressione, la cui ambizione estetica andava ben al di là del consueto commento musicale a un soggetto celebrativo. Nonostante la sua non perfetta riuscita come progetto globale di teatro, non almeno al livello delle successive opere su libretti di Da Ponte, Idomeneo presenta puntate ardite, cime sfolgoranti di compiuta e assoluta bellezza, apici quali non sarebbero mai stati più toccati neppure dal più grande drammaturgo musicale che la storia abbia avuto prima di Wagner.
Ciò si può spiegare proprio con il posto occupato da Idomeneo nella sua carriera. Non per nulla Mozart non smise mai di amare quest'opera, che lo toccava anche sul piano personale. Aveva venticinque anni quando la compose ed essa significò per lui la prima, vera scoperta del grande teatro, del teatro inteso non soltanto come confronto con una fulgida, doviziosa tradizione ma anche come luogo di identificazione, di vita e di verità. Ed era stata la convinzione di potersi esprimere nel modo più compiuto proprio in questo ambito a spingerlo ineluttabilmente, quasi ossessivamente verso il teatro. Naturalmente non era la prima volta che scriveva un'opera seria: aveva già dato prova di sé nell'opera seria attraverso Lucio Silla e Il re pastore. Era però la prima volta che si trovava di fronte alla commissione di un grande teatro, a una grande orchestra e a cantanti di grido, di cui avrebbe presto imparato a riconoscere croci e delizie. Ed era la prima volta che si sentiva maturo per uscire dal suo guscio e pensare, creare finalmente in grande. Inevitabile che questa prova del fuoco avvenisse sotto il segno del rapporto problematico di acerbità-maturità, fase che poi Mozart avrebbe superato nella felicità della forma perfetta; essa era però anche nutrita da tutto l'entusiasmo, la vitalità, la determinazione, la spregiudicatezza, l'euforia tipiche della prima volta, quella nella quale, pur fra molti dubbi e autocritiche, si viene spalancando un mondo di sogno, a lungo desiderato e vagheggiato, per diventare realtà.
Di questi caratteri la partitura di Idomeneo è letteralmente intrisa e come tale va ascoltata in prospettiva.
Alla notevole varietà di elementi stilistici offerti dal testo e messi dalla musica in fertile contrasto, senza che ciò producesse buchi o fratture, si venne aggiungendo un altro tratto del tutto nuovo e personale, destinato a divenire il cardine del futuro teatro di Mozart: il realismo psicologico che investe non soltanto i singoli personaggi ma anche l'ordito generale della composizione. Si è già detto che il musicista superò gli ostacoli frapposti dalle convenzioni del genere metastasiano esigendo con naturalezza continuità e compattezza nella rappresentazione del dramma: continuità e compattezza non soltanto tra un pezzo e l'altro, e massimamente negli insiemi culminanti del terzetto del secondo atto e del già ricordato quartetto del terzo, nonché nei cori ora drammatici ora sospensivi, ma anche all'interno di una singola scena, facendo ampio ricorso al recitativo accompagnato e allo stile concertante per non interrompere l'azione. Di ciò beneficiarono in larga misura anche le arie, concepite in modo da stabilire uno stretto rapporto tra personaggio e situazione: di fatto, quello viene definito da questa. Ne è un esempio l'aria centrale di Idomeneo "Fuor del mar ho un mar in seno"; nella quale il re vincolato a un terribile giuramento paragona il tumulto del proprio animo a quello di una violenta tempesta marina: dove la scrittura riesce a fissare mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l'immagine della burrasca come metafora del lacerante conflitto scatenatosi nell'animo del protagonista.
Altro elemento distintivo della partitura è la differenziazione dei personaggi, cui corrisponde una differenziazione di stili vocali e di atteggiamenti musicali. La regalità solenne, sofferta e malinconica di Idomeneo contrasta con la dolorosa solitudine di Idamante, la vittima sacrificale pronta ad affrontare nobilmente il proprio destino e animata da una impaziente, trepida e tuttavia dolce generosità. Austero e severo è il canto tenorile del confidente del re Arbace, modellato sullo stile dell'opera seria. Ma è soprattutto nei personaggi femminili che Mozart eccelle in finezza psicologica e plasticità di rappresentazione. La tenera Ilia, che per prima si presenta in scena con una commovente aria in sol minore, è forse il personaggio più riuscito dell'opera, certamente quello più amato e rifinito. Le sue arie, specialmente la mirabile "Se il padre perdei" nel secondo atto e l'affettuosa "Zeffiretti lusinghieri" all'inizio del terzo, si caratterizzano per un candore nostalgico che non esclude, tuttavia, forti sentimenti ricchi di implicazioni espressive e di valenze psicologiche: un'energia morale temprata dalle dure prove sopportate si intreccia nella declamazione e nella melodia, nel cangiare dei timbri, ai fremiti innocenti e passionali della fanciulla innamorata e pronta al sacrificio della vita. All'estremo opposto la rabbia tagliente di Elettra, la rivale smaniosa, enunciata da una vocalità "martellata", frantumata e incandescente, scandita dall'orchestra con nervosa varietà dinamica e timbrica: antecedenti neppur troppo lontani, le sue arie, dei tremendi, ultimativi furori della Regina della Notte nel Flauto magico.
Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri ma rimane un unicum che non avrebbe avuto, nella sua ineguaglianza, eguali: non si può rivivere due volte la stessa esperienza, rifare la stessa scoperta. Traboccante di originalità e invenzione, sperimentale, audace, fremente di contrasti e di opposti affetti, questa partitura è scolpita come un bassorilievo palpitante di chiaroscuri, emblema insieme della classicità e di un'ambiguità di segno addirittura preromantico. Tutto è in essa di altissimo livello, persino nei fitti, eleganti numeri di danza, nati controvoglia per assecondare il gusto della corte e rivelatisi figli adulti e maturi, svezzati dalle danze francesi di Gluck. Ma è là dove il testo offriva la possibilità di accendere i fuochi della psicologia umana rispecchiando gli stati d'animo che l'invenzione del compositore letteralmente esplode, sontuosamente e magistralmente: tanto nelle arie quanto nei cori portentosi, mai scissi dal caldo dell'azione. A Mozart, dopo Idomeneo, non restava che organizzare e completare il suo genio, compiendo quel che restava da compiere: fondare l'opera nazionale tedesca e realizzare una nuova idea di teatro musicale basata sulla fusione dei generi, in grado di rappresentare fino in fondo la vita nella sua immediatezza, molteplicità e polivalenza.
Sergio Sablich