Misero me... Misero pargoletto, K1 77 (K6 73e)
Aria in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"
- Misero
me - recitativo - Andante. Allegro
- Misero
pargoletto - aria - Adagio (mi bemolle
maggiore). Un poco
Allegro (do minore). Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Milano, marzo 1770
Prima esecuzione: Milano, Palazzo Melzi, 12 marzo 1770
Come si accennava, la scena, su testo dal Demofoonte (III, 4
e 5) di Metastasio, viene, composta a Milano nel marzo 1770. E forse la
pagina vocale più ambiziosa tra le arie singole scritte in
Italia, anche perché vi compare il primo grande recitativo
accompagnato di Mozart. Assai curato nella plastica intonazione
testuale come nella flessibilità della condotta musicale
(prova ne siano i frequenti cambi di tempo), dominata dalla scansione
di un ritmo sincopato, il recitativo traduce con un diagramma emotivo
di progressiva intensità, articolato in tre parti, il
monologo di disperazione di Timante: questi crede infatti di aver
scoperto che Dircea. con la quale e segretamente sposato, è
sua sorella. La progressione drammatica sfocia nell'aria, dove il
personaggio si rivolge, con diversa disposizione d'animo, al
figlioletto, quindi alla moglie e al padre. Qui il contrasto affettivo
si rispecchia puntualmente nella realizzazione musicale: alla morbida
tenerezza cantabile della parte principale fa riscontro la franta e
convulsa drammaticità della parte secondaria, accentuata da
un radicale cambiamento di tempo (da Adagio a Un poco allegro).
Cesare Fertonani
Misero
me!
Qual gelido torrente
mi mina sul cor! Qual nero aspetto
prende la sorte
mia! Tante sventure
comprendo al fin. Perseguitava il cielo
un vietato
imeneo. Le chiome in fronte
mi sento sollevar. Suocero, e padre
m'è dunque il re? Figlio, e nipote Olinto?
Dircea
moglie, e germana? Ah qual funesta
confusion d'opposti nomi
è questa!
Fuggi,
fuggi Timante: agli occhi altrui
non esporti mai più. Ciascuno a dito
ti mostrerà. Del genitor cadente
tu sarai la vergogna: e quanto, oh Dio,
si parlerà di te! Tracia infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Argo, e di Tebe
le furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah non t'avessi mai
conosciuta, Dircea! Moti del sangue
eran quei ch'io credevo
violenze d'amor. Che infausto giorno
fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
che orribili memorie
saran per noi! Che mostruoso oggetto
a me stesso io divengo! Odio la luce;
ogni aura mi spaventa; al piè tremante
parmi che manchi il suol;
strider mi sento
cento folgori intorno; e leggo, oh Dio,
scolpito in
ogni sasso il fallo mio.
Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah, non gli dite
mai,
qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
tutto
cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio
terror.
(1)
Testo tratto dal numero speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
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Ultimo aggiornamento 17 gennaio 2014