Quartetto per archi n. 8 in fa maggiore, K 168


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (fa maggiore)
  2. Andantino (fa minore)
  3. Minuetto (fa maggiore)
  4. Allegro (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, agosto 1773
Edizione: Andrè, Offenbach, 1801
Guida all'ascolto (nota 1)

Il primo dei sei Quartetti viennesi, K 168, in fa maggiore, inizia con un «Allegro» (è ancora la mano di Leopold a scrivere l'indicazione di tempo) incerto, irrisolto. L'anima del movimento è nella veloce e brillante figura discendente del primo violino a battuta 7, che segue la breve introduzione, dove si racchiude la cellula della frase? Oppure nei passaggi giocati in imitazione tra i due violini, o ancora nelle isole più rarefatte, o in certo vigore popolaresco, rustico? Troppe anime, nessuna veramente caratterizzante. Troppe strade intraprese, nessuna percorsa fino in fondo. E il finale che, dopo uno sviluppo piuttosto contratto, arriva troppo presto, appunto «stringato e laconico», troppo imprevisto e insieme troppo prevedibile, conferma che il limite di questo «Allegro» è la debolezza di carattere, la personalità fragile, il cedere a troppe tentazioni.

Più strutturato, invece, è l'«Andante». Con sordina, prescrive Mozart all'inizio del percorso, così proseguendo fino alla conclusione. Movimento breve, più intenso che vario, capace di creare da subito un'atmosfera e di mantenerla sino al termine. Una scrittura minimalista, dove l'economia dei mezzi - la frase del primo violino ripresa dal violoncello - ci fa da guida, persistente, tenace, solenne come un corale, però attraversata da un calore intimo, da rari mutamenti della dinamica - un crescendo che precede un forte, prima di ritornare al piano, dinanica dominante di tutto il movimento - e da qualche brivido cromatico.

Come se due diversi compositori avessero scritto uno il primo, l'altro il secondo tempo dello stesso quartetto. E invece, a conferma che «il comportamento umano», e quello degli artisti creatori in particolare, «è troppo complesso per essere previsto», la mano è sempre quella di un ragazzo di diciassette anni che prima segue le convenzioni, poi un'idea propria. Questo «Andante» è miracoloso per coerenza: la mancanza dello sviluppo dell'idea iniziale non appare un limite, ponendosi invece come cifra di continuità, e anche i brevi passaggi contrappuntistici evitano sempre esiti scolastici. Sono come un accenno, un orizzonte che si apre per subito richiudersi e reclinare in una calma senza tempo, bloccata, non felice.

Con il «Menuetto» si ritorna alla normalità di un periodo di apprendistato. Anche qui, come nell'«Allegro», sembra che Mozart non abbia particolari ambizioni. Il pacificato gusto viennese dell'avvio, con la frasetta svettante del primo violino, si spinge brevemente, nella seconda idea tematica, verso una regione sonora più grave, dove il passo è più vago, carico di una tensione che il riapparire della prima idea presto però inghiotte. Il trio ha una scrittura più articolata, più varia, e nella seconda frase accenna a un passaggio contrappuntistico, dove riappare l'ombra del precedente «Andante», come l'irruzione di un ricordo, però presto rimosso. Il trio si chiude e, nel rispetto degli equllibri formali della fase iniziale del periodo classico - ogni affetto a suo tempo e al proprio posto, ogni ape nella sua cella -, ritorna il passo cadenzato in 3/4 del «Menuetto», garbato, senza malizia, poco estroso. Mozart fa i compiti in fretta, e continua a farli nell'«Allegro» conclusivo, nella fuga che lo attraversa da capo a fondo, con irruenza, seguendo l'impulso dell'unico soggetto tematico, al quale è il primo violino a dare l'abbrivio, seguito poi dalle entrate in successione di secondo, viola, violoncello.

Ma una fuga è anche musica da vedere, seduti vicino agli esecutori, osservandoli uno per uno e tutti assieme, guardando come attendono il momento in cui toccherà a loro imbracciare lo strumento, mettersi in posizione, iniziare ed entrare nel flusso, per non uscirne più. C'è una forte tensione dall'inizio alla fine in questa fuga: manca però l'articolazione del pensiero iniziale, manca l'arricchimento tematico portato dal controsoggetto, difetta l'alternanza del respiro, del passo, che procede uniforme. Nella versione finale Mozart aggiunge alla cadenza quattro battute in più, scritte sul recto del foglio di musica: una scelta accorta, perché quell'inserto permette di concludere con più agio la cadenza, prima della veloce chiusa del movimento.

Sandro Cappelletto


(1) Sandro Cappelletto, I quartetti per archi di Mozart. Il Saggiatore s.r.l., Milano 2016, pp. 83 - 85


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 22 aprile 2016