Quartetto per archi n. 18 in la maggiore, K 464


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (la maggiore)
  2. Minuetto e trio (la maggiore)
  3. Andante (re maggiore)
  4. Allegro (la maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 10 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più difficili di tutti i generi musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K. 155-160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio e un minuetto o presto.

Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785, egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa corrispondere ai numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli affidare alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo, nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima soprattutto, perché io te lo raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».

Nonostante la suggestione del richiamo haydniano, Mozart è tutt'altro che un imitatore e riesce a dare un'impronta personale ai suoi Quartetti, raggiungendo una più intima organicità strutturale della forma, pur nella diversità delle varie voci strumentali. Tale ricchezza di idee e novità di linguaggio lasciò interdetti naturalmente i contemporanei, i quali si espressero con apprezzamenti poco favorevoli. Basta leggere, ad esempio, quanto è scritto in una recensione apparsa nel gennaio del 1787 sulla Wiener Zeitung: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo lontano e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo carichi di spezie e, a lungo andare, nessun palato riesce a tollerarli». La verità è che con il passare degli anni il palato degli ascoltatori si è fatto più fine e sensibile e ha preso gusto a tali Quartetti, apprezzandone la ricchezza melodica e armonica e il profondo lirismo anticipatore di coloriture romantiche.

Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi in un gioco sonoro più libero e disincantato.

Ma la maturità di Mozart in questo genere di composizione si avverte nei tre Quartetti K. 575, K. 589 e K. 590 scritti tra il 1789 e il 1790 e appartenenti al gruppo dei quartetti cosiddetti prussiani, perché commissionatigli dal re Federico Guglielmo II di Prussia, che si dilettava di violoncello e aveva ospitato il musicista a Berlino e a Potsdam nella primavera del 1789. Per questa ragione in tutti e tre i lavori la parte del violoncello spicca accanto a quella del primo violino, mentre viola e secondo violino si mantengono su un piano di più contenuta discrezione. In essi, secondo Bernhard Paumgartner, «l'alto livello dei lavori contemporanei alle grandi sinfonie è costantemente mantenuto. L'approfondimento passionale e soggettivo cede alla folgorante chiarezza, all'estrema eleganza del porgere, alla sublime raffinatezza espressiva del canto e dell'armonizzazione».

Per quanto riguarda il Quartetto in la maggiore K. 464 si può dire che esso unisce rigore costruttivo a charme melodico di elegante fattura sin dal primo Allegro, costruito su un solo tema, proposto dal primo violino e ripreso ed elaborato dagli altri strumenti secondo un gioco di imitazioni. Il discorso si allarga e passa dal tono maggiore a quello minore, assumendo una notevole varietà di accenti e di atteggiamenti sonori, sino a giungere ad una coda contrassegnata da un ritorno al tema fondamentale, che si conclude con un ritornello in tempo forte di tre misure. Il Minuetto si svolge secondo le regole delle antiche Cassazioni e Serenate e formalmente non presenta elementi di rilievo nella intelaiatura affidata alle imitazioni. L'Andante può definirsi uno dei migliori esempi dell'arte della variazione praticata da Mozart. Si tratta di cinque variazioni sviluppate con stile contrappuntistico e in stretto rapporto tra invenzione melodica e struttura armonica, così da valorizzare al massimo il dialogo fra i diversi strumenti. L'Allegro finale inizia piano con la voce del primo violino e poi man mano acquista brillantezza e spigliatezza di suono in una successione di modulazioni e di cambiamenti di tonalità. Una forma fugata si avverte nella chiusa, dove l'arte mozartiana scorre fluida e leggera, senza dimenticare la quadratura e il rigore della forma quartettistica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 10 gennaio 1785 Mozart poneva termine al Quartetto in la maggiore K. 464. In quest'opera di frontiera, la lezione haydniana concernente il lavorìo di elaborazione incentrato sull'unità cellulare del tessuto tematico, viene spinta oltre limiti che l'autore non supererà neppure negli ultimi due quintetti, la cui densità costruttivistica si basa, peraltro, su parametri differenti da quelli applicati al K. 464. L'ossessiva concentrazione elaborativa che qui percorre in modo particolare i due Allegri e il Minuetto, è infatti di tipo armonico e polifonico e riguarda elementi minimi di materiali tematici che è facile collegare tra loro mediante evidenti relazioni microstrutturali. Nel .grandioso sviluppo, tra i più lunghi in assoluto composti da Mozart per un primo movimento, la multiformità dei processi elaborativi e il loro rigore estremo - anzi, estremistico, nella fedeltà ai dati tematici di base utilizzati fino alla minima unità strutturale - escono come corroborati da un senso di profonda unità. A un siffatto cimento compositivo Mozart accosta un Minuetto di pari densità (vi compare il contrappunto doppio, nato dallo smembramento della fase iniziale: procedimento che riaffiorerà nel Finale del Quintetto K. 614, l'ultima sua grande composizione cameristica); per proseguire con una serie di variazioni, tra le più grandiose e complesse mai composte.

L'ideale della variazione mozartiana - non "rovistare nel tema" (Brahms) in cerca della diversità, come faranno Beethoven e lo stesso autore delle Variazioni op. 24 sopra un tema di Haendel, ma illuminarne progressivamente l'identità, fino ad esaltarla - assurge qui a valori di assoluta bellezza, collocandosi a degno contraltare delle celebrate variazioni che pervadono l'estrema stagione creativa beethoveniana. Quando il culmine sembra essere stato raggiunto dalla variazione in re minore, con la sua febbrile figura dominante in terzine, esso viene superato nella successiva doppia variazione col suo intreccio imitativo degno di Bach, mentre nell'ultima e nella coda Mozart giunge a superare se stesso attingendo a un sublime umorismo che si collega, ma in un ordine superiore di valori, a quello del Finale del Quintetto K. 452 per pianoforte e fiati. Ma la tregua conciliante introdotta dalle variazioni viene spezzata dall'Allegro non troppo, dove la tensione elaborativa riprende implacabile, accentuando ogni elemento conflittuale desunto dai primi due movimenti mediante chiari punti di contatto strutturali ed esasperandolo con il mordente di un cromatismo programmato fin dalla cellula motivica iniziale.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Quartetto in la maggiore K. 464, che Mozart terminò il 10 gennaio 1785, è forse il meno conosciuto ed eseguito nella serie dei Quartetti dedicati ad Haydn; esso infatti è quello che più di ogni altro si affida interamente ai severi valori della costruzione musicale, con una reticenza di retorica tematica e una economia di elementi inventivi pari soltanto alla maestria compositiva e all'attitudine di ricavare qualcosa dagli spunti più insignificanti. Se già in altri Quartetti si affermava la propensione a temi poco appariscenti, ma assai malleabili e pieghevoli alla fantasia trasformatrice dell'autore, questa attitudine è qui spinta al massimo rigore, mettendo a nudo la straordinaria facoltà di «pensare in musica» acquisita dalla maturità di Mozart e da questi trasmessa a Beethoven (il finale del presente Quartetto fu ricopiato e messo in partitura da Beethoven). Al punto che non sembra esagerato il paragone con il criticismo kantiano proposto, negli anni ruggenti del formalismo (1929) da Erich Klockow in un fascicolo dei «Mozart-Jahrbuch»:

«Non v'è più alcuna parte che valga od esista per sé, ma ognuna rientra nel tutto, da esso ricevendo significato, rango ed esistenza. Ma se si ritiene che il tratto fondamentale della teoria della conoscenza kantiana stia nel fatto che in luogo della natura subentra la norma, in luogo della sostanza la funzione, allora si può con qualche diritto affermare che questo Quartetto in la maggiore costituisce la «Critica della ragion pura» di Mozart. Togliendo ai temi la loro conchiusa forma melodica, trasformando il singolo particolare in una coesione, il limitato in una consecuzione ininterrotta, il sostanziale in funzionale, esso ha fatto per la musica lo stesso che aveva fatto per la logica quell'opera terminata quattro anni prima».

Particolarmente operante nei movimenti esterni, questa propensione a trasformare il sostanziale in funzionale, cioè a concepire ogni scheggia del discorso in funzione del tutto, è attiva anche nei tempi centrali: il Minuetto si connette nella formazione tematica a certi spunti del primo movimento (mentre il Trio intermedio presenta una cellula che darà i suoi frutti nel finale); l'Andante è un Tema con sei variazioni che evitano l'accumulo di ornamentazione tipico della variazione settecentesca per mettere in luce, al contrario, l'essenza strutturale del tema discusso. Persino il ritmo tambureggiante di marcia che il violoncello propone nell'ultima variazione non resta un ornamento, ma si trasforma in protagonista circolando anche nella ripetizione del tema con funzione di coda.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 marzo 1989
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 12 maggio 1973


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Ultimo aggiornamento 24 febbraio 2020