Quartetto per flauto ed archi n. 1 in re maggiore, K 285


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (re maggiore)
  2. Adagio (si minore)
  3. Rondò. Allegretto (re maggiore)
Organico: flauto, violino, viola, violoncello
Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in re maggiore K. 285, il primo di una serie composta un po' contro volontà (e non terminata) per l'olandese De Jean (Mozart non amò particolarmente il flauto), è del periodo di Mannheim, e precisamente del dicembre 1777. Il flauto domina incontrastato in tutti e tre i tempi: viola e violoncello nell'Allegro si limitano a qualche intervento di natura essenzialmente ritmica giacché anche nello sviluppo dal punto di vista armonico non ci sono eventi particolari, solamente il violino per poche battute è trattato al pari del flauto. L'Adagio in si minore con i caratteristici 'sospiri' mannheimiani si annovera tra i più bei tempi di tutta la letteratura flautistica: lo strumento a fiato con la sua melodia malinconica è come esaltato dai delicatissimi pizzicati degli archi. Conclude il Quartetto un Rondò tra i più impegnativi per il violinista, la cui parte di accompagnamento si rivela una sorta di perpetuum mobile che fa da sfondo al protagonismo del flauto accanto al quale il violino stenta ad affermarsi.

Johann Streicher

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I problemi di datazione e di autenticità in merito alla genesi dei quattro quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Wolfgang Amadeus Mozart si sono rivelati, nel corso degli anni, sempre più complessi. Il nutrito epistolario mozartiano in merito ha contribuito a confondere il quadro generale invece di fare chiarezza e, sostanzialmente, per anni si è creduto che tutti e quattro i quartetti fossero stati composti nell'arco di 20 mesi, fra il dicembre del 1777 e l'agosto del 1778, a Mannheim i primi tre (K285, K28Sa e K285b) e a Parigi il quarto (K298). Ebbene, la realtà è diversa ed è necessario, per meglio comprendere le molte e importanti discrepanze con le correnti convinzioni, ripercorrere fin dal principio la storia dei quattro quartetti.

Nella lettera che Wolfgang spedì al padre il 10 dicembre 1777 si fa esplicito riferimento all'offerta di 200 fiorini, da parte del flautista dilettante olandese Ferdinand Dejean, per la stesura di «tre piccoli, facili e brevi concerti, oltre a un paio di quartetti con flauto». In una lettera successiva Mozart lamenta la partenza per Parigi del committente e l'aver ricevuto solo 96 fiorini, dei 200 promessi, in quanto non aveva potuto consegnargli che «due concerti e tre quartetti». Ciò nonostante il 20 luglio del 1778 Mozart, scrivendo al padre da Parigi, fa menzione, fra i lavori ultimati, solo a «due quartetti con flauto» mentre, tre mesi più tardi, il 3 ottobre 1778 tornerà a far cenno a «tre quartetti e al concerto per flauto». Stante questa situazione di informazioni contraddittorie dobbiamo rifarci ai dati oggettivi che, almeno in parte, possediamo e procedere a una classificazione singola per ogni quartetto.

Il Quartetto in re maggiore K 285, di cui esiste il manoscritto autografo che reca in epigrafe la data del 25 dicembre 1777, rappresenta un capolavoro assoluto sia per il superamento delle convenzioni dello stile galante che per la qualità dell'invenzione tematica. I maggiori studiosi dell'opera mozartiana concordano nel definire questo lavoro come un'opera eccellente: Hermann Abert scrive: «... importante è il primo tempo, con la sua accurata condotta delle parti, l'appassionato sviluppo molto esteso ma tematicamente qualificato. Il tempo più originale è quello di mezzo, con una melodia del flauto accompagnata a guisa di romanza da un pizzicato...». E ancora Alfred Einstein segnala che «... nessuno potrebbe mai immaginare che non sia stato composto con amore. L'Adagio dolcemente melanconico è forse il più bel "solo" accompagnato che sia mai stato scritto per flauto». Dei lavori di Mannheim, scritti su commissione, questo fu il solo a essere ben accetto dal committente Dejean per stile, melodie e lunghezza.

Gian-Luca Petrucci


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 settembre 1990
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 270 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 1 febbraio 2017