Quartetto per archi n. 14 in sol maggiore, K 387


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro vivace assai (sol maggiore)
  2. Minuetto e trio. Allegro (sol maggiore)
  3. Andante cantabile (do maggiore)
  4. Molto Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 31 Dicembre 1782
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 Gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto K. 387 è il primo del gruppo di sei Quartetti (gli altri sono K. 421, 428, 458, 464 e 465) composti da Mozart tra il 1782 e il 1785 e dedicati a Franz Joseph Haydn, che nel 1781 aveva scritto i sei "Quartetti russi", cioè quelle composizioni alle quali l'artista salisburghese si richiamò esplicitamente per elaborare e perfezionare questa difficile e complessa forma di musica da camera, che sarebbe stata portata ad un altissimo livello da Beethoven. Del resto lo stesso Mozart, nella lettera di dedica scritta in italiano e con la quale inviava umilmente in data 1° settembre 1785 i suoi Quartetti ad Haydn, lascia chiaramente intendere quale fosse il rapporto di grande rispetto e di amicizia che lo legava al musicista austriaco. «Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel grande mondo - scrive Mozart - stimò di doverli affidare alla protezione di un uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte era di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte compensata m'incoraggia e mi lusinga che questi lavori siano per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo, nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima soprattutto, perché io te li raccomandi e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ad esser loro padre, guida ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico però di guardarne con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di continuare, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».

Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni Quartetti di Mozart a Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva pronunciato parole di elogio per il suo amico, definito come una persona «che ha gusto e possiede la più profonda scienza di comporre». Naturalmente Mozart, nonostante la suggestione del modello haydniano, è riuscito a dare una impronta personale ai suoi Quartetti, sia per la qualità delle idee che per le innovazioni di linguaggio, nell'ambito di una esposizione rigorosamente tematica. Per questo carattere originale, così diversificato dalla pratica quartettistica del tempo, non c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco favorevoli apparsi nella stampa dell'epoca, come ad esempio quello della "Gazzetta Viennese" del 1787, dove si dice: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo lontano, e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati e, a lungo andare, nessun palato riesce a tollerarli». In realtà questi Quartetti, al di là della densità del discorso sonoro e di alcune arditezze grammaticali, che fecero arricciare il naso a qualche maestro contemporaneo (il compositore Giuseppe Sarti arrivò persino a deplorare che «barbari assolutamente privi di orecchio s'ostinassero a scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una spontaneità e una freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio mozartiano.

Che Mozart si distacchi in un certo senso dal modello haydniano lo si può avvertire nell'Allegro vivace assai iniziale del Quartetto K. 387. Al contrario di Haydn che utilizzava volentieri temi monotematici, in questo primo movimento sono presenti due temi: il primo intensamente lirico e il secondo a carattere di marcia, indicato dal secondo violino. Con i frammenti del primo tema è costruito lo sviluppo del discorso musicale che si presenta elaborato e sotanzioso. In seconda posizione si colloca il Minuetto, giocato sull'alternanza tra il forte e il piano, prima che il pezzo assuma una precisa linea melodica. Anche il Trio, a struttura bipartita, si basa sul principio dei contrasti e si stempera alla fine in un'atmosfera sfumata e in modo minore. Nell'Andante cantabile Mozart esprime il suo stile personale e tocca uno dei momenti più alti della sua musica da camera. Al di là di una apparente semplicità il suono si snoda con straordinaria finezza concertante con certe puntate purissime del primo violino, che ricordano i tempi lenti degli ultimi quartetti beethoveniani. Da notare anche la varietà e la morbidezza di fraseggio del tessuto armonico, che passa dal do maggiore al re bemolle maggiore, sino a toccare il mi bemolle minore. Fuga e forma-sonata caratterizzano il Molto allegro finale, come avverrà più tardi nel celebre tempo conclusivo della Sinfonia "Jupiter". Al culmine dello sviluppo si insinua un delicato tema cantabile, senza tuttavia incrinare l'unità espressiva dell'ultimo tempo.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli affidare alla protezione, e condotta d'un uomo molto celebre in allora, il quale, per buona sorte, era di più il suo miglior amico. Eccoti dunque del pari, uom celebre, ed amico carissimo, i sei miei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte compensata, m'incoraggisce, mi lusinga, che questi parti siano per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso amico carissimo, nell'ultimo soggiorno in questa capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima sopra tutto, perché io te li raccomandi, e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed esser loro padre, guida ed amico! Da questo momento, io ti cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di continuar loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre sono di tutto cuore.

Amico carissimo sincerissimo amico W.A. Mozart
Vienna, il primo settembre 1785

Abbiamo riportato nella sua intierezza un documento che sarebbe riduttivo interpretare come semplice attestazione della stima affettuosa di Mozart nei confronti del grande collega, cui si onora, ma nello stesso tempo, si perita di dedicare «il frutto di una lunga e laboriosa fatica»: che è dire, un'opera eccezionale quanto a impegno creativo e ad importanza per l' "immagine", come oggi si direbbe, del compositore. Già un gesto siffatto in un uomo, quale fu Mozart, tutt'altro che facile nel manifestare stima e amicizia per chicchessia, suona del tutto singolare: e invero, soltanto Joseph Haydn, come incomparabilmente il più grande tra i suoi contemporanei, e da lui ritenuto tale, poteva suscitarlo. Ma la dedica a Haydn dei sei Quartetti op. X, composti in un lasso di tempo incredibilmente lungo che va dal 31 dicembre 1782, quando ha termine il primo di essi, K. 387, al 14 gennaio 1785, data apposta all'ultimo della serie, K. 465, racchiude un significato che va oltre i rapporti personali, la reciproca stima tra autore e dedicatario e persino il valore di quell'opera stessa, mandata nel "gran mondo" sotto la protezione di tanto tutore. E' ovvio come Mozart fosse in realtà più che convinto che i suoi "sei figli" non avessero bisogno alcuno di protezione: pochi artisti ebbero mai tanta sicurezza di sé, derivante dalla profonda consapevolezza del proprio valore. Ma, come la vera grandezza spirituale è pronta ed è prima a riconoscere qualunque sua simile, così, cedendo ad Haydn i diritti paterni dei propri quartetti, egli teneva con espressione forte riconoscere che senza di lui, essi non sarebbero potuti esistere: s'intende, nel modo in cui di fatto esistevano. Implicitamente, il "caro amico Haydn" viene dichiarato corresponsabile della capitale svolta stilistica degli inizi degli anni Ottanta: corresponsabile, in unione con Bach e Haendel, di un evento storico che è insieme rigenerazione del linguaggio di un sommo artista e piena determinazione di una civiltà musicale, quella che verrà denominata dalla città imperiale e supernazionale che d'ora in avanti le darà ricetto.

Una tale realtà si rivela in tutta la sua pienezza fin dalle prime battute del Quartetto in sol maggiore K.387, primo della serie, dove l'affinità e insieme l'autonomia di Mozart nei confronti dell'illustre amico e mentore si coniugano in esiti di assoluta autorità stilistica. In altre parole, prendendo le mosse da modelli e stimoli haydniani (provenienti dalle serie più recenti dei Quartetti editi dal maestro di Esterhàza, in particolare le op. 20 e 33, ossia gli splendidi Sonnen e Russische Quartette) Mozart se ne discosta creando una dimensione quartettistica tutta sua, vibrante di pathos e di tensioni drammatiche, in un'articolazione armonica e polifonica senza precedenti e in una concezione sonatistica profondamente diversa da quella espressa da Haydn. Ecco quindi la densità e la rotondita della scrittura mozartiana prendere le distanze dal gusto haydniano per il suono asciutto e puntuto, capricciosamente chiaroscurato. Inoltre il lavorìo sul dato motivico, lungi dall'essere pervicace e totalizzante, si concede le evasioni di un plastico bitematismo e di quelle esuberanti formule cadenzali cui Mozart non rinuncerà neppure nelle opere della avanzata maturità comprese le grandi Sinfonie, e che sussisteranno tra i gesti più spiccati del suo stile strumentale. Sempre nell'Allegro vivace assai, la differente armonizzazione cui viene sottoposta la replica testuale del secondo tema si qualifica come tratto squisitamente personale, e altrettanto si dica della spettacolarità (così antitetica alla discreta sobrietà haydniana) con cui viene introdotta la ripresa mediante una sorta di arco trionfale, fabbricato con frammenti dei materiali tematici utilizzati.

Ma in nessun caso la discrepanza da Haydn appare più palese, come nel Minuetto, che per il suo peso strutturale ed espressivo richiede (qui, come poi nei Quartetti K. 458 e 464) il secondo posto, subito dopo il primo tempo. Invece del tipico Minuetto o Scherzo haydniano, breve, ben squadrato, percorso da una rustica vitalità non senza trovate ritmiche piccanti o colorismi zingareschi, abbiamo un brano la cui complessità e profondità travalicano dalle tradizionali funzioni d'intermezzo, per assumere un'importanza pari e talora superiore a quella di un movimento lento. L'Andante cantabile potrebbe benissimo essere germogliato da un seme haydniano (pari a quello, ad esempio, maturato nel cuore dell'op. 33 n. 3). Senonché, fin dalle prime battute, l'incipit cantabile lievita in una densità e profondità di suono, per librarsi subito dopo in certe ebbrezze estatiche del primo violino che richiamano alle atmosfere traslucide di taluni movimenti lenti degli ultimi Quartetti beethoveniani. Si aggiunga il trasalimento drammatico provocato da certe inopinate modulazioni e dal baratro armonico che s'apre immediatamente dopo la ripresa sonatistica, portando il discorso, nel giro di cinque battute, da do a re bemolle maggiore, e proseguendo per vie impervie che toccano il mi bemolle minore, fino al porto della dominante.

Nel celebre finale polifonico, la perfetta assimilazione delle proposte haydniane raccolte nei saggi contrappuntistici dell'op. 20, si concreta in una tra le più abbaglianti conquiste del maturo stile strumentale mozartiano. In sintesi, si può dire che qui Mozart coniuga gli elementi del contrappunto tradizionale con quelli della dialettica sonatistica, esattamente come avverrà sei anni più tardi nell'analogo Finale della Sinfonia Jupiter. Più in particolare, l'elemento tematico attinente alle strutture sona-tistiche è costituito, paradossalmente, da spunti in stile polifonico rigoroso, come l'esposizione di una fuga tonale, che sostiene il ruolo di primo episodio e una seconda esposizione fugata su tema sincopato, che funge da secondo episodio, cui ben presto si accoda il gentile motivo cantabile, sublimazione di un residuato galante ormai trasfigurato a ricordo di se stesso.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Correva l'anno 1781 quando Franz Joseph Haydn licenziava i sei quartetti per archi dell'op. 33, che dichiarava di aver scritto «in una maniera speciale e del tutto nuova». Queste composizioni, conosciute in seguito col nome di Quartetti russi (dalla dedica al granduca Pavel Petrovic), si differenziavano notevolmente dai quartetti d'archi che Haydn aveva scritto in precedenza. Non solo: l'op. 33 segnava a tal punto una pietra miliare - se non una vera rivoluzione - nel genere del quartetto e nella storia della tecnica compositiva, che molti oggi la fanno coincidere con l'inizio dello stile classico viennese vero e proprio. La lezione di Haydn diede frutti immediati. A partire dall'anno successivo, quando completò il Quartetto in sol maggiore K 387, Mozart compose sei quartetti per archi, con un lungo processo di elaborazione che mostrò quanto aveva saputo cogliere tutti i preziosi insegnamenti contenuti nei modelli haydniani. E fu proprio ad Haydn che Mozart dedicò, al termine del lavoro nel 1785, la raccolta dei suoi nuovi quartetti.

Ma in cosa consistevano esattamente le novità introdotte in questo genere dai Quartetti russi di Haydn? Per coglierne la portata, occorre considerare che il tipico quartetto dell'era galante prevedeva generalmente melodie del primo violino su banali accompagnamenti degli altri archi, nell'idea che la gradevolezza dell'ascolto dovesse prevalere su tutto. L'op. 33 esibisce invece ben poche melodie semplicemente armonizzate: la scrittura è concepita a quattro parti, dove ognuno dei quattro archi ha un ruolo paritario. Il discorso, così, procede spesso spezzando la linea conduttrice tra i diversi strumenti, con la caratteristica tecnica della durchbrochene Arbeit (lavoro a intarsio) che produce l'effetto di un cesello. La differenza, rispetto al vecchio stile, è particolarmente evidente se si considera la linea del violoncello: che non è più un semplice sostegno armonico, nello stile del basso continuo, ma una parte del tutto indipendente ed equiparata alle altre.

Questa tecnica di scrittura caratterizza, per fare un esempio, già il tema principale del primo movimento (Allegro vivace assai) del Quartetto K 387 di Mozart, il primo dei sei dedicati ad Haydn (che sono tra le pochissime composizioni mozartiane scritte per un impulso creativo autonomo, senza una commissione specifica). Il tema è concepito a quattro parti strettamente correlate, senza che vi sia una distinzione netta tra canto e accompagnamento. Il secondo tema è invece strutturato come una bella melodia, un po' teatrale e presentata da uno strumento unico: ma è significativo che essa resti isolata nel movimento quasi come un corpo estraneo, un po' fine a se stesso, che viene solamente ripetuto e non è sottoposto a sviluppo.

Un'altra importante differenza rispetto ai tradizionali quartetti "galanti" risiede nella sezione dello sviluppo, all'interno della forma sonata. Anziché una semplice divagazione armonica, o il pretesto per presentare nuovi materiali tematici, questa sezione si dilata fino a raggiungere le dimensioni dell'esposizione e soprattutto si fa molto più complessa. E qui che i materiali tematici dell'esposizione vengono sottoposti a un accurato lavoro di scavo; è qui, inoltre, che si conferma l'assunto della ferrea coerenza interna: lo sviluppo non si serve di idee nuove, la tecnica dell'elaborazione tematica si applica esclusivamente ai motivi che sono già stati presentati.

Per questi aspetti, Mozart aveva ben ragione di sostenere «da Haydn ho imparato come si fanno i quartetti d'archi». Mozart, tuttavia, si spinge anche oltre la lezione del maestro. La maggiore complessità di pensiero spinge verso la dilatazione formale, ma anche verso scelte di struttura del tutto anomale. Si ascolti il Menuetto, secondo tempo del Quartetto K 387. Nel suo tema d'esordio e nelle idee secondarie si fa fatica a rintracciare lo spirito della danza rococò. La complessità metrica sfugge alle facili simmetrie; gli sfasamenti armonici, le dinamiche bizzarre (piano e forte si alternano a ogni singola nota) contraddicono il decorso regolare degli accenti; il cromatismo si insinua in tutte le parti. Ma ancora più notevoli sono l'ampiezza di concezione e la complessità formale del movimento, che opera una commistione tra l'usuale schema ternario del Minuetto (con un Trio in posizione centrale) e la forma sonata: oltre a una sorta di esposizione con più idee tematiche, sono presenti un embrionale sviluppo e una ripresa, con la riconduzione alla tonica delle idee secondarie.

Le scelte più sorprendenti, tuttavia, coinvolgono il movimento finale (Molto Allegro). Qui, oltre all'influsso di Haydn, si toccano con mano i frutti dello studio di Bach e Händel: com'è ben noto, lo stile della maturità mozartiana è vitalizzato dal contrappunto. Non lo stile fugato inteso come sfoggio di tecnica o di erudizione, naturalmente, ma una linfa che vivifica il moderno pensiero sonatistico. Il quartetto classico, almeno a partire dall'op. 33 di Haydn, è il luogo ideale per la valorizzazione del contrappunto, dal momento che per sua stessa natura richiede il trattamento indipendente delle parti. Il tema-soggetto che qui apre il movimento, trattato in stile fugato, è una figura tradizionale, che è facile riscontrare nelle messe salisburghesi in stile osservato e che ricorrerà ancora nel finale della sinfonia Jupiter. In stile severo è anche il secondo tema-soggetto, esposto in prima istanza dal violoncello e in seguito combinato in doppio contrappunto col primo tema-soggetto. Ma non bisogna dimenticare che lo scopo da raggiungere, qui, non è lo stesso dell'antica polifonia rigorosa. Mozart non intende tanto mostrare l'abilità combinatoria di più soggetti simultanei, quanto sviluppare i temi mostrandone le potenzialità e le energie latenti. Per questo attua una libera mescolanza di stili e scritture: il terzo tema, per esempio, è una melodia in perfetto stile galante, che non viene sottoposta ad alcun trattamento contrappuntistico. Quasi a sottolineare il carattere "riservato" di un quartetto che è una sorta di divertissement per intenditori.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'ampiezza di concezione della nuova maniera mozartiana (anche nel senso di durata), la salda compagine a quattro del discorso, sono già affermate senza residui nel primo Quartetto della raccolta, terminato il 31 dicembre 1782. Il tema che apre il primo movimento testimonia quella proprietà di espressione che è tipica delle età classiche: di esso non basta dire che è squisitamente «strumentale», in quanto opposto a «vocale», o che è «violinistico» in quanto opposto ad «organistico»; è propriamente un tema «di Quartetto», intimo, poco appariscente anche se pieno di laboriose inflessioni, tale insomma che non sarebbe pensabile in una Sinfonia o in un Concerto per pianoforte e orchestra.

Pur non seguendo Haydn nella sua profetica simpatia per lo Scherzo, il Minuetto avanzato da Mozart in questo Quartetto non ha più nulla della convenzionale danza settecentesca trapiantata dalla Suite per allietare la forma della Sonata. Il cromatismo del tema principale e gli accenti dinamici richiesti (note «piano» alternate a note «forte») testimoniano una estrosità insolitamente irregolare; il Trio intermedio si presenta con drammatici trilli all'unisono, poi riassorbiti in quel clima di malinconia che Schubert amerà radunare nei Trii dei suoi Scherzi. Più di ogni altro tempo, l'Andante cantabile è di una ampiezza di respiro inusitata, come confermano i tre temi impiegati in esso. Il primo e il terzo sono di grande serenità e offrono il pretesto a una fitta rete di trasformazioni; ma la punta espressiva più affilata è data dal secondo tema, formato da una nota quattro volte ripetuta dal primo violino e poi sciolta in una catena di sestine; come ha scritto Massimo Mila «è un momento di assorta malinconia, di stanca solitudine dell'anima, dove il genio di Mozart si stacca con un colpo d'ala dalle consuetudini del suo tempo e anticipa favolosamente il crepuscolare intimismo brahmsiano, il suo senso di autocompassione».

Il Molto Allegro finale è una spassosa commedia fra stile contrappuntistico severo (prima idea a valori larghi, poi usata nel finale della Sinfonia «Jupiter») e brillante stile galante, nella forma di ritmi danzanti, di frivole corse, di rimbalzanti accompagnamenti.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Concliazione, 25 gennaio 1991
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 251 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 9 maggio 1973


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Ultimo aggiornamento 1 aprile 2020