Quartetto per pianoforte n. 1 in sol minore, K 478


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (sol minore)
  2. Andante (si bemolle maggiore)
  3. Rondò (sol maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 16 Ottobre 1785
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1785
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La letteratura del quartetto per pianoforte e archi (violino, viola e violoncello), destinata a svilupparsi in una intensa fioritura nel corso del XIX secolo, trova la sua prima e compiuta manifestazione "moderna" nel Quartetto in sol minore K. 478 di Wolfgang Amadeus Mozart. Il Quartetto K. 478, infatti, propone una sorta di rivoluzione nella concezione della musica da camera con pianoforte; una rivoluzione che investe tre differenti aspetti: la destinazione, la complessità di scrittura, il contenuto.

La musica da camera con pianoforte, nella seconda metà del XVIII secolo, non era destinata - come invece quella per archi soli, più impegnativa sia sotto il profilo strumentale che sotto quello del contenuto - agli esecutori professionisti, ma agli esecutori dilettanti, appartenenti ai ceti alti della società. In tutta Europa lo studio di uno o più strumenti era parte integrante dell'educazione dell'alta società, e la pratica della Hausmusik, della musica domestica, suonata dai volenterosi componenti del circolo familiare, era del pari estremamente diffusa. Direttamente in funzione del fiorentissimo mercato editoriale rivolto ai dilettanti vennero dunque composti quasi tutti i Trii e i Quartetti con pianoforte di Mozart, brani che, non a caso, giunsero alla pubblicazione vivente l'autore, e con maggiore facilità rispetto ad altre composizioni di più alte ambizioni.

Eppure già le vicende della pubblicazione del Quartetto in sol minore rivelano come, per l'organico di questo brano, Mozart nutrisse ambizioni più alte. Secondo Nissen - primo biografo del compositore e sposo in seconde nozze di Constanze Mozart - il Quartetto (la data sull'autografo è quella del 16 ottobre 1785) sarebbe stato scritto come primo di una serie di tre, dietro commissione dell'editore Hoffmeister; ma, dopo la pubblicazione di questo primo brano, nell'inverno 1785-86, il contratto fu rescisso in piena concordia fra le due parti, poiché il K. 478 appariva troppo "difficile" al pubblico. Una cronaca dell'epoca, riportata da Hermann Abert (W A. Mozart. Zweiter Teil, Leipzig 1919-21; ed. it. Milano 1985, p. 173), definisce il Quartetto «una composizione che, anche se perfettamente eseguita, può [...] e deve soddisfare in una "musica da camera" solo il limitato gruppo degli intenditori. Altri pezzi reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione mozartiana però non si può proprio ascoltare suonata da superficiali dilettanti».

Ecco dunque i punti della "rivoluzione". Le composizioni pensate per il mercato dei dilettanti dovevano tenere conto ovviamente dei limiti endemici degli esecutori a cui erano rivolte. I condizionamenti imposti dalla destinazione erano essenzialmente di due tipi: nel contenuto musicale, che non doveva superare dimensioni piuttosto ristrette e doveva essere improntato alla massima cordialità, evitando un impegno concettuale più ardito; nella scrittura strumentale, che doveva rimanere alla portata di strumentisti dotati di una consapevolezza tecnica discreta ma non sviluppata, soprattutto per gli strumenti ad arco; questi si limitavano ad "accompagnare" il pianoforte (strumento di più rapide soddisfazioni), raddoppiandone la melodia e il basso, tanto che gli strumenti ad arco erano spesso considerati "ad libitum", e un Trio o un Quartetto potevano essere eseguiti anche nella veste di una sonata pianistica.

Il Quartetto in sol minore, invece, propone un rapporto assai più dialettico fra pianoforte ed archi. Il modello non è quello della sonata pianistica o per violino e pianoforte, ma quello del Concerto per pianoforte, il genere compositivo al quale Mozart si dedicò con maggiore insistenza nei primi anni viennesi. Per comprendere l'affinità fra il Quartetto e il Concerto occorre tenere presente che lo stesso Mozart aveva espressamente previsto per i suoi primi tre Concerti viennesi (K. 413-415) la possibilità di omettere dall'orchestra le parti dei fiati, onde rendere possibile l'esecuzione delle partiture anche in un salotto, con l'accompagnamento di un semplice quartetto d'archi. Il Quartetto in sol minore è dunque un concerto in miniatura, con un ruolo "solistico" e virtuosistico dello strumento a tastiera; il gruppo degli archi (violino, viola, violoncello) tuttavia non si limita ad accompagnare il solista, ma entra invece in un rapporto concertante e dialettico.

Da ultimo il contenuto. Alla complessità della scrittura corrisponde un netto distacco del Quartetto dai canoni d'intrattenimento. Si tratta, non a caso, dell'unica partitura in tonalità minore fra i brani cameristici con pianoforte del compositore; e la tonalità di sol minore è fra le predilette di Mozart, impiegata sempre per il conseguimento di fini di intensa drammaticità.

Una ambientazione nettamente drammatica ha infatti l'Allegro iniziale. Già il primo tema presenta immediatamente un brusco contrasto fra un perentorio unisono e una cupa scala discendente del pianoforte, elementi che percorrono insistentemente l'intero movimento; il secondo tema, espressivamente contrastante, è alla base dello Sviluppo; una lunga coda elabora polifonicamente il motivo iniziale, che sigilla con un nuovo unisono il movimento. Anche l'Andante centrale è del tutto distante dagli stilemi intrattenitivi, essendo improntato piuttosto a un rapporto di solidale meditazione fra gli strumenti con la densa scrittura polifonica degli archi e i delicati ricami del pianoforte. Il Finale - tradizionalmente più "disimpegnato" rispetto al primo movimento - è un Rondò di impostazione brillante e nettamente "concertistica", con una sezione in minore che si richiama tuttavia al più intenso contenuto espressivo del tempo iniziale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel periodo compreso tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento la prassi compositiva e le aspettative del pubblico avevano diviso tacitamente, ma abbastanza chiaramente, la musica da camera in due settori, ciascuno dei quali caratterizzato da specifici tratti costitutivi: la musica da camera per soli archi, con in primo luogo il quartetto, rivolta soprattutto a musicisti professionisti e quindi dai toni e dai contenuti più complessi, seriosi, impegnati; e la musica da camera con pianoforte e quella con strumenti a fiato, rivolte principalmente al vastissimo pubblico dei dilettanti, e quindi più brillante, disimpegnata, leggera e meno difficile a livello di tecnica esecutiva e di contenuti espressivi.

Mozart, che pure ha contribuito in maniera determinante alla creazione e al consolidamento di questa distinzione, in più di un'occasione ha però forzato il quadro generale unanimemente condiviso dai suoi contemporanei, dando vita a composizioni considerate "troppo difficili". Ignorando le aspettative del pubblico del suo tempo per assecondare le proprie urgenze espressive probabilmente non era nemmeno consapevole di destinare alcune sue creazioni, poi consacrate al rango di capolavoro dai posteri, a un clamoroso insuccesso presso i contemporanei. È il caso, ad esempio, dei due noti Quintetti per archi K 515 e K 516, rimasti a lungo invenduti nel negozio del confratello massone Michael Puchberg nel 1787, o dei sei Quartetti per archi dedicati a Haydn, composti tra la fine del 1782 e l'inizio del 1785, che, se furono apprezzati dall'illustre dedicatario, nel 1787 vennero recensiti sull'autorevole «Cramers Magazin der Musik» con parole che probabilmente interpretano la reazione della maggior parte dei contemporanei nei confronti di molte composizioni mozartiane: «Peccato che egli nel suo modo di comporre, artistico e senz'altro bello, si smarrisca, per far l'innovatore, spingendosi troppo in alto, così che cuore e sentimento hanno poco da guadagnarci. I suoi nuovi Quartetti [...] sono conditi con troppe spezie e nessun palato può sopportarlo a lungo andare».

Una sorte analoga è toccata al Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K 478, terminato il 16 ottobre 1785, scritto su richiesta dell'editore Franz Anton Hoffmeister, che lo pubblicò immediatamente come primo di una serie di tre lavori del genere. Ben presto però Hoffmeister si rese conto che il Quartetto in sol minore era qualcosa di «troppo difficile» e quindi invendibile al pubblico del tempo e sciolse Mozart dal suo impegno, senza neanche farsi restituire il denaro datogli come anticipo. Nel frattempo il compositore aveva portato a termine un nuovo Quartetto per pianoforte e archi (K 493, in mi bemolle maggiore, datato 3 giugno del 1786 e destinato a rimanere il suo secondo e ultimo lavoro del genere), che fu dato alle stampe da Artaria.

Il 1785, durante il quale vide la luce il Quartetto in sol minore K 478, è un anno cruciale nella vita di Mozart, che riuscì ancora a cogliere alcuni buoni successi a Vienna, senza però eguagliare quelli delle due stagioni precedenti: anche se ancora non apertamente era già iniziato il rapido e doloroso processo di distacco fra il musicista e il pubblico viennese, che venne poi prepotentemente alla luce durante il 1786 e lo accompagnò fino alla morte. Uno sguardo anche frettoloso al ruolino di marcia di Mozart per l'anno 1785, desunto dalle date annotate dal compositore sui manoscritti originali e nel catalogo delle proprie opere (redatto a partire dal 1784) può provocare un certo stordimento: fra il 10 e il 14 gennaio porta a termine il Quartetto in la maggiore K 464 e il Quartetto in do maggiore K 465, ultimi della serie di sei dedicata a Haydn; quindi due Concerti per pianoforte e orchestra, il Concerto in re minore K 466 (10 febbraio) e il Concerto in do maggiore K 467 (9 marzo); sempre a marzo termina l'oratorio Davidde penitente K 469, ricavato dalla Messa K 427; il 20 aprile, per il suo elevamento al grado di Maestro nella massoneria, scrive la cantata Die Maurerfreude K 471; il 20 maggio la Fantasia in do minore per pianoforte K 475; il 16 ottobre il Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K 478, a novembre la Musica funebre massonica K 477, quindi la Sonata in mi bemolle maggiore per violino e pianoforte K 481 (12 dicembre) e un terzo Concerto per pianoforte e orchestra, quello in mi bemolle maggiore K 482 (16 dicembre). Questo, naturalmente, senza contare alcuni Lieder, arie e pezzi d'insieme per voci e orchestra, brani per clarinetto e corno di bassetto, lavori incompleti o perduti (come un Andante sostitutivo in la maggiore per un Concerto per violino) e soprattutto il fatto che fra ottobre e novembre inizia a lavorare alle Nozze di Figaro.

Non è tanto la quantità a fare paura - almeno fino a Beethoven la storia della musica è piena di autori assai più prolifici - quanto la qualità spesso eccelsa di questi lavori, nati quasi a getto continuo. A molti non è bastata un'intera vita per scrivere un solo lavoro paragonabile al Concerto in re minore, agli ultimi Quartetti dedicati a Haydn, alla Musica funebre massonica, alle Nozze.

Anche se assai meno celebre e di ascolto incomprensibilmente più raro rispetto a questi celebrati capolavori (sembra incredibile, ma nel dopoguerra il pubblico della Filarmonica lo ha potuto ascoltare una sola volta fino ad ora: quarantasette anni fa, grazie ai componenti del glorioso Quintetto Chigiano), il Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K 478 va collocato sul loro stesso piano. Al di là dei suoi altissimi pregi estetici, in esso Mozart compie un'operazione quasi rivoluzionaria nella storia dei generi musicali, praticamente inventando la moderna musica da camera con pianoforte.

Prima di lui, infatti, un lavoro di questo genere si rivolgeva dichiaratamente, come sappiamo, al pubblico dei dilettanti, o tutt'al più, conferendo un rilievo privilegiato allo strumento a tastiera, poteva assumere quasi il tono di un Concerto per pianoforte e archi su scala ridotta. Mozart parte da questa seconda prospettiva, ma la sua scrittura pianistica ha già l'inattingibile perfezione della serie dei grandi Concerti viennesi e "l'accompagnamento" dei tre strumenti ad arco, se da una parte concentra il sommo magistero orchestrale dispiegato in quei Concerti, dall'altra si vale dell'infinita sapienza cameristica conquistata con una «lunga e laboriosa fatica» nei sei Quartetti dedicati a Haydn. Ne nasce un lavoro di straordinaria fattura, caratterizzato da un continuo e serrato dialogo fra i quattro strumenti, con il pianoforte chiamato a un assai impegnativo ruolo di primus inter pares, e da una densità di scrittura spesso intensamente contrappuntistica che, se contribuiscono ad aumentare l'intensità espressiva del discorso musicale, non ne appesantiscono mai lo scorrere.

Aperto da un vigoroso unisono di tutti gli strumenti, l'Allegro iniziale è sicuramente il movimento più straordinario dell'intero Quartetto, compagno ideale degli altri due lavori in sol minore della maturità mozartiana (il Quintetto K 516 e la Sinfonia K 550) e dei due grandi Concerti pianistici in tonalità minore (in re minore K 466, scritto otto mesi prima, e in do minore K 491, scritto cinque mesi dopo). L'atmosfera, che per tutta la durata del brano si mantiene tesissima, grazie alla densità del dialogo strumentale, ma sempre sorretta da un severo autocontrollo, raggiunge nella folgorante e brevissima coda conclusiva un'intensità sconvolgente e il movimento termina bruscamente lasciando l'ascoltatore quasi stordito.

Perfino Mozart deve essersi reso conto di avere osato troppo e non ha avuto il coraggio di mantenere il Quartetto in sol minore a una simile temperatura espressiva: il dramma si stempera nel sereno e pacificato Andante in si bemolle maggiore che segue e poi nel conclusivo Rondò (Allegro moderato) in sol maggiore, pagina serena - tranne che per un breve, pensoso episodio in minore - brillante e virtuosistica come il finale di un Concerto per pianoforte. Ma se i toni espressivi si alleggeriscono, la difficoltà esecutiva rimane molto alta, massime per il pianoforte, allontanando inesorabilmente questo splendido Quartetto dai leggii dei dilettanti del suo tempo e inducendo così l'editore Hoffmeister a sospendere saggiamente un progetto che a lui avrebbe certamente procurato solo danni a livello economico, ma che avrebbe reso noi eredi di enormi ricchezze.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Concliazione, 23 ottobre 1998
(2) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 gennaio 2000


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Ultimo aggiornamento 17 novembre 2013