Serenata per fiati n. 11 in mi bemolle maggiore, K 375


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
  2. Minuetto I e trio (mi bemolle maggiore)
  3. Adagio (mi bemolle maggiore)
  4. Minuetto II e trio (mi bemolle maggiore)
  5. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni - Nel 1782 aggiunti 2 oboi
Composizione: Vienna, ottobre 1781
Prima esecuzione: Vienna, residenza del pittore von Hickel, 15 ottobre 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1792
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel Settecento si usavano indifferentemente i termini di Cassazione, Divertimento o Serenata per designare lavori tra loro molto simili composti per feste, intrattenimenti, celebrazioni o circostanze solenni ma dal carattere musicale di solito un po' standardizzato. Con Mozart il genere della Serenata, pur conservando la forma tradizionale basata sull'accostamento di pezzi diversi (di solito sette o otto, dei quali due o tre fanno intervenire uno strumento solista), assume connotati nuovi, sia per la ricercatezza della scrittura strumentale, che in alcuni casi acquista un taglio sinfonico, sia per la varietà nella scelta degli organici.

Negli anni viennesi Mozart compose alcune Serenate per strumenti a fiato, destinate ad esecuzioni all'aperto, come era consuetudine per le musiche con questo tipo di organico: nel febbraio del 1781 scrisse ad esempio la Serenata in si bemolle maggiore K. 361 (il titolo Gran Partita che compare sull'autografo non è di mano di Mozart) per dodici fiati - due corni, due clarinetti, due corni di bassetto, due fagotti, quattro corni più un contrabbasso -, che esplora tutti i possibili amalgami e combinazioni timbriche tra i diversi strumenti, giocando anche su diversi registri stilistici e espressivi. Nell'ottobre dello stesso anno diede alla luce la Serenata K. 375, originariamente scritta per sei fiati (due clarinetti, due corni e due fagotti) e poi rielaborata per otto, con l'aggiunta di due oboi che riprendono parte delle linee dei clarinetti (anche se la sonorità dei clarinetti resta dominante). Mozart fece questa rielaborazione nel luglio del 1782, proprio mentre componeva la Serenata in do minore K. 388, scritta direttamente per otto fiati, ed è verosimile che il titolo Nacht Musique, che menziona in una lettera dello stesso mese, non si riferisse a quest'ultimo lavoro ma piuttosto alla versione per ottetto della Serenata K. 375.

Se la K. 388 appare già assai lontana dai modelli tradizionali, per la tonalità minore, per l'articolazione in quattro movimenti (come una Sinfonia), per lo stile insolitamente grave, anche la Serenata K. 375, in cinque movimenti, mostra molti aspetti originali, giocando in maniera ambivalente su elementi convenzionali e soluzioni innovative, rinunciando per esempio al tono estroverso e chiassoso tipico del genere, e introducendo squarci quasi romantici.

Questa ambivalenza emerge chiaramente nel primo movimento (Allegro maestoso) che inizia con un tema vecchio stile ma poi alterna momenti intimistici, languidi o appassionati, un secondo tema in si bemolle dal carattere molto espressivo, improvvisi silenzi che creano emozionanti effetti di sospensione. Dopo il breve sviluppo, tonalmente enigmatico e capace di condensare una grande varietà di umori, la ripresa presenta, in maniera abbastanza sorprendente, un motivo del tutto nuovo al posto del secondo tema, affidato al corno solo e con un andamento di Gavotta. La coda ripropone il primo tema e il movimento finisce in pianissimo, spegnendosi su un delicato frammento melodico dell'oboe.

Il secondo e il quarto movimento sono due Minuetti in stile haydniano (poiché nell'autografo compaiono come copie allegate, anche con una diversa numerazione delle pagine, si può ipotizzare che non appartenessero originariamente alla Serenata), il primo con un Trio esteso e dal tono grave, il secondo con un Trio ingenuo dal sapore di Musetta.

Questi due Minuetti inquadrano un Adagio, che è anche il cuore emozionale di tutta la Serenata, dominato dal melodizzare ampio e cantabile delle prime parti, «una vera scena d'amore - come lo ha definito Hermann Abert -, tutto un profluvio di sentimenti, un sussurrare grazioso e discreto, e palese è anche la presenza della natura».

La Serenata si conclude con un Allegro, in forma di rondò-sonata, basato su un tema saltellante dal gusto popolaresco, che riporta al clima festoso e svagato tipico delle Serenate, e su chiari rimandi tematici tra gli episodi (il primo è introdotto da un tema ascendente del corno solo, che poi viene ripreso ed elaborato contrappuntisticamente nel secondo episodio).

Gianluigi Mattietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Don Giovanni, seduto a una tavola riccamente imbandita, mangia e si diverte alle spalle del servitore Leporello che, affamato, s'ingozza cercando di non farsi vedere dal padrone. Sullo sfondo una musica conviviale, suonata da un piccolo complesso di fiati, nella quale si riconoscono le citazioni delle opere teatrali allora più in voga. In questa scena si riflette un'usanza assai comune presso le case nobili e borghesi di fine Settecento: le riunioni conviviali, le feste in genere, erano accompagnate da un sottofondo musicale, eseguito da un piccolo complesso di strumenti a fiato o ad arco. Vi prendevano parte musicisti in servizio militare o servitori, di livello non sempre altissimo; ma in certi casi, come presso la corte imperiale, il complesso era formato da eccellenti strumentisti, provenienti in genere dalla Boemia, terra che a quei tempi forniva i migliori virtuosi. Il repertorio, accanto a poche composizioni originali, comprendeva soprattutto trascrizioni e arrangiamenti di musiche tratte da opere, balletti, sinfonie.

In questo repertorio, gli strumenti a fiato - che verso la fine del Settecento potevano ormai competere con gli archi, grazie ai progressi tecnici, per agilità e intonazione - ebbero un ruolo di rilievo. L'organico poteva variare molto, ma si stabilizzò quando l'imperatore Giuseppe II, nell'aprile del 1782, promosse la formazione di un ottetto di fiati (costituito da due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti: il complesso era chiamato, in Austria, Harmoniemusik), da impiegare sia per l'intrattenimento della corte sia per esecuzioni pubbliche. Seguirono l'esempio dell'imperatore altri esponenti dell'aristocrazia, cosicché già a metà degli anni Ottanta si esibivano complessi di fiati nei principali palazzi nobiliari viennesi. Ciò fece lievitare la richiesta di composizioni per questa formazione, che vennero prodotte a centinaia adattando soprattutto le arie delle opere teatrali di successo. Mozart diede anch'egli un contributo al genere, componendo tre serenate per strumenti a fiato negli anni del soggiorno a Vienna.

Una prima versione della Serenata in mi bemolle maggiore KV 375 fu preparata da Mozart, nell'ottobre del 1781, per un'occasione privata, con lo scopo indiretto di fare sentire musica sua a Strack, camerlengo imperiale, persona molto influente a corte in materia di musica. Questa prima stesura era destinata a una formazione di due clarinetti, due corni e due fagotti. In seguito - probabilmente nell'anno successivo, per un'occasione che ci è sconosciuta - Mozart ne elaborò una nuova versione, aggiungendo due oboi all'organico. Il rifacimento è così accurato che non lascia indovinare l'esistenza di una versione precedente; furono aggiunte, tra le altre cose, nuove indicazioni per la dinamica e l'articolazione, e anche le note furono qua e là modificate. È possibile che la nuova versione della Serenata sia stata preparata per il complesso di fiati del giovane principe Liechtenstein, appena costituito e bisognoso di musica nuova.

Rispetto al carattere tradizionale di questo genere di composizioni, la Serenata K 375 presenta novità di rilievo. È vero che l'attacco dell'Allegro maestoso, con la sua sonorità pomposa, rientra in pieno nella tradizione; ma ciò che arriva subito dopo rivela invece accenti molto personali: prima che venga raggiunta la tonalità della dominante, una digressione inattesa, in modo minore, devia il discorso verso un registro patetico, carico di accentuate implicazioni affettive. Si tratta dell'inclinazione mozartiana, ben nota, per lo slancio passionale, per la fantasticheria romantica: quella che il padre Leopold - uomo d'altri tempi - osservava preoccupato nel figlio, considerandola il suo «lato oscuro». Tutto il movimento, del resto, trascorre nell'alternanza tra lo stile svagato della serenata e inflessioni più serie. L'episodio patetico compare nuovamente al termine dello sviluppo, ma è tralasciato nella ripresa, dove al suo posto interviene un nuovo tema del corno, questo sì nel puro stile della serenata settecentesca.

Un'identica alternanza espressiva si ritrova nel primo dei due Minuetti. Qui infatti alla sonorità piacevole, al carattere disteso e aggraziato del Minuetto si contrappone l'enfasi espressiva del Trio, nel quale il modo minore, gli sforzati ravvicinati, le contrapposizioni foniche e dinamiche richiamano l'altro lato della personalità mozartiana.

Ancora diverso è l'atteggiamento espressivo dell'Adagio: un lirismo contenuto e profondo, che si manifesta nel fluire intenso della melodia, nella quale si avverte una sensibilità già romantica. Il movimento è in forma di lied ternario; una forma ampliata, tuttavia, e contaminata col principio della forma sonata (i due temi della prima parte, il secondo dei quali è alla dominante, sono ripresentati alla fine entrambi in tonica).

Il secondo Minuetto mostra un Mozart dall'atteggiamento scanzonato, quasi provocatorio: temi dal ritmo ben scandito, movenze da danza rustica più che di corte, inflessioni bizzarre (tra l'altro, un curioso rallentando nella seconda parte del Minuetto). Il Finale (Allegro) si mantiene nel più perfetto spirito della serenata tradizionale. Un tema popolaresco, dal brio incontenibile, funge da ritornello ed è condotto attraverso le chiare architetture del rondò. La scrittura mozartiana recupera, qui più che in ogni altro luogo, tutta l'amabilità, la naturalezza e la spontanea gioia di vivere che nella Vienna dell'epoca dovevano risuonare a ogni angolo di strada.

Claudio Toscani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 aprile 2009
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero speciale AMS 097 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 16 febbraio 2017