Sinfonia n. 25 in sol minore, K1 183 (K6 173dB)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro con brio (sol minore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Minuetto (sol minore)
  4. Allegro (sol minore)
Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 5 Ottobre 1773
Edizione: Günther & Böhme, Amburgo 1798
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quella che per tutti i biografi di Mozart è la Sinfonia della svolta, il primo vero capolavoro del genere, un miracolo di compiuta bellezza, venne giudicata molto severamente dal padre Leopold, che in una lettera del 1778 scriveva: "Ciò che non ti fa onore è meglio che non venga conosciuto. Perciò io non ho dato a nessuno le tue Sinfonie, sapendo fin d'ora che tu stesso, per quanto potessi esserne soddisfatto quando le scrivesti, col passar degli anni, quando ti sarai maturato e avrai acquistato discernimento, sarai ben lieto che nessuno le abbia vedute. Si diventa sempre più esigenti". Ma quali erano gli elementi che turbavano tanto il padre di Wolfgang?

Perennemente in apprensione per la carriera artistica del figlio che non riusciva ancora a decollare, nonostante il suo portentoso talento, Leopold temeva che il carattere focoso di questa Sinfonia potesse infastidire l'animo compassato dell'Arcivescovo Colloredo, l'unico potente che ancora si degnasse, seppur stentatamente, di mantenere a corte il genio incontenibile di Mozart.

Per fortuna l'autore, che pure sulle prime sembrò rivolgersi a più miti consigli, tornando ad uno stile compositivo più ordinario, non rinnegò le vette artistiche raggiunte con questa Sinfonia, quando quindici anni dopo ebbe a misurarsi, per la seconda e ultima volta, con la espressiva tonalità di sol minore, componendo la celeberrima Sinfonia n. 40 K. 550, strutturalmente affine alla giovanile K. 183.

La Sinfonia in sol minore K. 183, nota anche come la "Piccola", per distinguerla dalla "Grande" K. 550 nella stessa tonalità, reca la data del 5 ottobre 1773: la leggenda tramanda ch'essa fu scritta in soli due giorni, ma è più plausibile che Mozart attendesse alla composizione di più opere contemporaneamente e questo spiega la distanza di soli due giorni dalla data posta in calce alla precedente Sinfonia K. 182.

L'autore, diciassettenne, era rientrato a Salisburgo dopo un'estate passata a Vienna; nei disegni del padre il soggiorno nella capitale austriaca, durato da luglio a settembre, avrebbe dovuto assicurare a Wolfgang un posto presso la corte di Maria Teresa, ma, ancora una volta, i Mozart tornarono a mani vuote nella provinciale Salisburgo, e con la sola prospettiva di continuare a proporre i loro servigi all'ottuso Arcivescovo. Tuttavia l'occasione era stata propizia per la crescita creativa di Mozart che ebbe modo di conoscere alcune Sinfonie Stürmisch di Haydn, Vanhall e von Dittersdorf. Il contatto con queste composizioni (tutte in tonalità minore) aveva suggestionato profondamente il giovane Mozart che, tornato a casa, dopo aver espletato l'obbligo della composizione di Sinfonie consone al gusto salisburghese, decise di mettere a frutto le sue nuove "conquiste". Questa Sinfonia è infatti comunemente associata all'atmosfera impulsiva e passionale dello Sturm una Drang, la corrente artistico letteraria che cominciava a diffondersi prepotentemente in Europa nella seconda metà del Settecento esaltando spontaneità, bellezza e forza della natura e ribaltando le convenzioni del classicismo razionalista. Tuttavia, per dirla con Carli Ballola, "questi riferimenti appaiono pedanteschi e inadeguati", se si pensa all'immediatezza comunicativa di certe idee melodiche, al perfetto equilibrio formale che rende quest'opera l'unica pagina giovanile degna di un raffronto con le ultime grandi Sinfonie mozartiane.

Le Sinfonie composte da Mozart in quegli anni sono per lo più ascrivibili allo stile dell'Ouverture italiana: tre movimenti con temi dal carattere leggero e frivolo, e con scarsa incidenza dello sviluppo tematico. La K. 183 si stacca nettamente dal complesso delle Sinfonie coeve e mostra sin dalle prime battute un carattere impetuoso. Ma lo stupore che quest'opera è capace di suscitare ancora ad ogni ascolto sta soprattutto nella profonda unità formale, nella complessità degli sviluppi tematici che percorrono l'intera partitura collegando fra loro, in un costante gioco di rimandi melodici, ritmici e armonici, i suoi quattro movimenti (tutti nella stessa tonalità di sol minore), nella felicità dell'invenzione melodica che arriva a pervadere persino le secondarie sezioni di passaggio, nel mirabile equilibrio di tonalità minore e passaggi in maggiore, nella naturalezza del respiro melodico e ritmico.

Il carattere tormentato di questa Sinfonia ha indotto molti biografi a immaginare che essa sia legata ad una personale crisi romantica dell'autore, ma quest'ipotesi non trova alcuna conferma nelle vicende biografiche mozartiane; tuttavia la scelta della tonalità e dell'atmosfera espressiva è indicativa dell'avvenuta crescita spirituale di Mozart, non a caso dunque questa partitura segna il passaggio dagli anni giovanili di apprendistato a quelli della compiuta maturità artistica dell'autore. Il sol minore, sarà d'ora in poi la tonalità ideale per l'espressione del proprio tormento interiore: "Non è ingiustificato definire il sol minore la tonalità della tragica passionalità mozartiana. La sua scelta provoca sempre una colorazione fortemente soggettiva dell'eloquio, una discesa nelle profondità spirituali, una particolare intensità espressiva e talvolta una malinconia che si scioglie in cantabilità fervida e sognante... Tutte queste caratteristiche ardono, genuine e immediate, nella prima Sinfonia in sol minore K. 183". (Paumgartner)

Già il primo tema dell'Allegro con brio, esposto dall'oboe e dagli archi, con i suoi ampi salti melodici, lo struggente intervallo di settima diminuita, le caratteristiche sincopi e le rapide scalette discendenti, ci trascina in un clima di grande drammaticità, clic non viene alleggerito neanche dall'esposizione delle altre due idee musicali, meno significative. In particolare il tema con acciaccature di gusto tipicamente italiano perde il suo carattere leggero e mondano perché accompagnato dall'inquieto pulsare dei bassi, che risulta assai più incisivo. La linea ferma dell'oboe viene talvolta isolata dando luogo a bruschi contrasti dinamici dal piano al forte. Anche gli episodi intermedi sono particolarmente geniali nell'invenzione melodica e densi di un'espressività personale e appassionata.

L'Andante, ancora nella stessa tonalità di sol minore, non si configura come l'abituale momento di rasserenamento; è infatti animato da un ritmo singhiozzante e da melodie cariche di sospensione. Il Minuetto non ha nulla dell'atteggiamento galante della danza da cui trae spunto; per contrasto il Trio in sol maggiore, affidato ai soli fiati come nelle Serenate, è l'unico brano capace di evocare un'atmosfera di gioia e di pace. Si torna dunque all'energia rabbiosa del Finale, che mostra numerose affinità con il primo tempo (i drammatici unisoni, le concitate sincopi, i forti contrasti dinamici) chiudendo il cerchio di una eccezionale unità formale.

Emanuela Floridia

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È dopo un viaggio a Vienna compiuto nell'estate 1773 che lo stile sinfonico del diciassettenne Mozart - fino allora vincolato al semplice modello in tre movimenti e agli agili contrasti propri del gusto italiano, appresi attraverso lo studio delle partiture di Christian Bach, e poi sostanzialmente seguiti fino allora, sia pure con progressivi arricchimenti e con personali contaminazioni stilistiche - subisce un autentico rinnovamento. A Vienna, dove si trattenne due mesi e mezzo, Mozart era andato con il padre nella speranza di ottenere qualche incarico stabile che lo sottraesse al soggiorno salisburghese. Sotto questo profilo il viaggio fu deludente, ma il compositore trasse enormi stimoli dallo studio delle opere strumentali di Franz Joseph Haydn. L'influenza di quest'ultimo era già avvertibile in alcune delle sinfonie degli anni precedenti. Al servizio dei nobili Esterhàzy, splendidi mecenati che avevano al loro servizio una orchestra, una compagnia d'opera e una di teatro di prosa, Haydn lavorava in condizioni di splendido isolamento, attentissimo però a quanto avveniva sulla scena europea, e soprattutto impegnato a portare a definizione un "proprio" stile sinfonico basato su sperimentalismi formali e su una ricchissima scrittura, animata da risorse ingegnose e sempre rinnovate. Che Mozart potesse trovare in questa straordinaria esperienza compositiva una pietra di paragone ineludibile è cosa che non può stupire.

Soprattutto al carattere dialettico del bitematismo haydniano, alla solida costruzione e ai raffinati impasti timbrici del maestro più anziano si ispirò Mozart nella ricerca di nuovi riferimenti stilistici. I risultati espressivi, tuttavia, mostrano una personalissima rielaborazione del modello, un'impronta soggettivistica che ha fatto spesso parlare - anche se in termini decisamente eccessivi - di una "crisi romantica" del compositore, di una sua adesione alla nascente poetica dello Sturm und Drang; comunque di un netto distacco dagli obiettivi decorativi e puramente intrattenitivi del genere sinfonico. Va osservato, d'altronde, che lo stesso Haydn nei primi anni Settanta attraversò un periodo Sturm und Drang, con la stesura di numerose sinfonie in minore, la più celebre delle quali è la n. 44 detta "Musica funebre".

Tornato dunque da Vienna a Salisburgo all'inizio dell'ottobre 1773, Mozart scrisse cinque nuove partiture sinfoniche - le Sinfonie K. 182, K. 183, K. 201, K. 202 e K. 200 - che, nella quasi totalità, costituiscono il passo avanti decisivo nell'affrancamento dal gusto italiano. Forse la partitura più avveniristica del gruppo è proprio la Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183, dell'ottobre 1773. Nel catalogo mozartiano le Sinfonie impostate nel modo minore sono appena due su quarantuno, le Sinfonie K. 183 e 550, entrambe nella medesima tonalità di sol minore, impiegata da Mozart sempre con alte ambizioni drammatiche. Già questa circostanza è emblematica della trasformazione che il genere sinfonico subisce ad opera del maestro salisburghese, da una destinazione cordiale e disimpegnata, di puro intrattenimento, a veicolo di complesse strutture ed elaborazioni che rispecchiano le riflessioni più profonde dell'autore.

La precisa scelta della tonalità minore implica in sé un coacervo di inconsuete soluzioni espressive, che allontanano la composizione dalla funzione intrattenitiva e decorativa di cui si è detto. Con l'aggiunta del Minuetto, i movimenti sono ampliati da tre a quattro; i bruschi contrasti dinamici, le settime diminuite, i frequenti sincopati, il rilievo espressivo dei fiati caratterizzano la pregnante drammaticità dell'iniziale Allegro con brio. L'Andante, nonostante la sua semplicità di struttura e il modo maggiore, non crea una frattura espressiva con il resto della partitura. A un severo Minuetto all'unisono (con la serena pausa del Trio, affidato ai soli fiati), succede il finale, Allegro, che riprende ed esalta la drammaticità iniziale, conferendo all'intera composizione una interna coerenza: non ultimo dei motivi che attribuiscono a questa Sinfonia la statura del capolavoro giovanile.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il 13 marzo 1773 Mozart, poco più che diciassettenne, rientrava a Salisburgo insieme con il padre, dopo un soggiorno di quattro mesi a Milano. Per i due Mozart era stato il terzo viaggio in Italia: e sarebbe stato l'ultimo. Il successo del Lucio Silla, l'opera nuova la cui commissione era valsa a Wolfgang il permesso di lasciare un'altra volta il servizio dell'Arcivescovo di Salisburgo, non era bastato a fruttare quegli incarichi, possibilmente stabili, nei quali Leopold l'aveva portato a sperare: il ragazzo prodigio che tanto rumore aveva destato in Italia a tredici e poi a quindici anni, era divenuto ormai soltanto un giovane, magari di grande talento, in cerca di lavoro; invece dei diplomi accademici e degli ordini papali, stavolta per Mozart ci furono solo attestazioni di stima, e vaghi accenni alla possibilità di un impiego a Firenze, presso la corte granducale (regnava allora Pietro Leopoldo, il futuro Leopoldo II imperatore), di cui non si fece poi nulla. Leopold aveva rimandato il più possibile la partenza: evidentemente comprendeva che per suo figlio quella era l'ultima occasione per sfondare in Italia, e che difficilmente al ritorno in patria avrebbe potuto sperare, almeno per molto tempo, di liberarsi dal grigiore del servizio sotto l'Arcivescovo (ma l'impiego, per il vice Kapellmeister, era tutto: se poteva essere buono, tanto meglio, in mancanza d'altro bisognava accontentarsi; e quando nell'81 Wolfgang non potè più sopportare le umiliazioni della corte salisburghese, e la piantò portandosi via il ricordo di una bella pedata nel sedere affibbiatagli dall'intendente, dovè affrontare le severe reprimende di Leopold, indignato all'idea che suo figlio si riducesse a essere un musicante senza arte né parte, e privo di uno stipendio fisso). Ma non c'era stato niente da fare, ed era stato necessario risolversi al ritorno.

I mesi seguenti passarono in modo abbastanza tranquillo, con la parentesi di un viaggio a Vienna in luglio, dove Mozart portò a termine sei nuovi Quartetti: nacque in questo periodo, oltre a varie composizioni sacre, una serie di cinque Sinfonie, quelle oggi numerate come K. 184, K. 199, K. 162, K. 181 e K. 182. In esse la Sinfonia di stile italiano veniva condotta dal compositore ancora adolescente a una definizione nel suo genere perfetta: lavori scritti in pochi giorni, con felicissima levità; contrassegnati da una grazia di cui Mozart dimostra di padroneggiare appieno il segreto, grazie a una bravura artigianale da tempo conseguita. Con la K. 182, terminata ai primi di ottobre, Mozart si trovava ad avere al suo attivo oltre trenta Sinfonie (il corpus comunemente accettato delle Sinfonie mozartiane, che ne conta in tutto quarantuna, le assegna il ventiquattresimo posto): un bel numero, per un giovane di quell'età. E subito dopo, «il grande cambiamento», come lo definisce Einstein. È appunto dagli ultimi mesi del 1773 che la produzione sinfonica di Mozart si fa più meditata, diradandosi sensibilmente in modo complementare alla sempre crescente intensità dei significati e alla sempre maggiore consapevolezza formale: il primo, importante capitolo di questa svolta è proprio la Sinfonia in sol minore K. 183 oggi in programma, tradizionalmente nota come n. 25, nata anch'essa ai primi di ottobre. Con essa Mozart inaugurò una triade di Sinfonie che Einstein, fatte le debite proporzioni, non esita a paragonare all'altra, quella che avrebbe concluso nel 1788 l'esperienza sinfonica di Mozart (le sublimi Sinfonie in mi bemolle K. 543, in sol minore K. 550 e in do maggiore K. 551 Jupiter): alla K. 183 sarebbero seguite nel 1774 la Sinfonia in la maggiore K. 201 e nel '75 quella in do K. 200 (nel '74 nacque anche una Sinfonia in re, la K. 202, rimasta ai margini della produzione di Mozart, che a differenza delle altre tre non la volle eseguita negli anni della maturità a Vienna). Poi più niente, in fatto di Sinfonie, fino al 1778, l'anno del viaggio a Parigi: da allora in poi, il sinfonismo mozartiano avrebbe prodotto solo i grandi capolavori, vere «opere uniche» in senso quasi ottocentesco, da tutti conosciuti e celebrati.

La Sinfonia in sol minore K. 183 si pone dunque come il cardine intorno al quale ruota tutta la parabola stilistica ed etica del sinfonismo mozartiano, quasi un bagno di dolente e irrequieta introspezione, prima che la Sinfonia di Mozart sappia recuperare modi più sereni, con l'olimpica globalità di significati di un capolavoro leggiadro come la K. 201. Non sembrerebbero implicarlo le circostanze esterne della sua creazione: Mozart si trovava in un momento abbastanza grigio della sua evoluzione artistica, relegato nell'uggioso provincialismo di Salisburgo, che per lui significava essenzialmente la ricaduta nelle pastoie di una professione di compositore di musica da intrattenimento o da chiesa, scritta su commissione; i viaggi più recenti erano stati assai meno fecondi di stimoli e di conoscenze di quanto non lo fossero stati quelli della fanciullezza e dell'adolescenza, e l'immediato futuro, allo stato, pareva promettere poco. A render ragione della nascita di questo primo capolavoro sinfonico di Mozart soccorre l'anagrafe, troppo spesso posta in non cale dall'eccezionale precocità con cui lo stile e la tecnica di Mozart erano giunti a maturazione: preparatissimo e ricco di esperienze come compositore, Mozart era tuttavia un diciassettenne, in pieno trapasso fra l'adolescenza e la giovinezza. Non è facile resistere alla tentazione di scorgere un rapporto più o meno diretto fra la delicata situazione emotiva che Mozart dovè attraversare in questi mesi (già in atto, a quanto pare, durante quell'ultimo viaggio in Italia poco tempo prima), con quella «inquietudine selvaggia e dolorosa» che Bernhard Paumgartner vi ravvisa apparentandola all'altra Sinfonia in sol minore, quella in ogni senso tanto più grande cui Mozart avrebbe affidato di lì a quindici anni uno dei suoi messaggi più alti e sofferti (proprio per distinguerla da questa, di solito, la K. 183 è detta «la piccola»). La comune tonalità, del resto, non è solo un dato esteriore: in tutta la produzione di Mozart la K. 550 e la K. 183 sono le sole sinfonie impiantate in minore; e anche prescindendo da quello che è un dato che non ha più bisogno di conferme, ossia che la scelta della tonalità da parte di Mozart rispondeva a precise intenzioni stilistiche, è inevitabile soffermarsi su una tale coincidenza. Tanto più che nella tradizione del secondo Settecento il modo minore era abbastanza poco usato nella Sinfonia, limitandosi per lo più a caratterizzare lavori ispirati alla Passione, come la stupenda Sinfonia n. 49 di Haydn; «ma in questa Sinfonia in sol minore di Mozart», annota ancora Einstein, «l'agitazione interna dell'orchestra con l'inquieto sincopato all'inizio, il forte contrasto della dinamica, lo scoppio del fortissimo dopo un pianissimo morente e i selvaggi contrattempi, gli accenti aspri, i tremoli dei violini, tutto questo non si riferisce certo a pie meditazioni sul Monte Oliveto e la Crocifissione, bensì a una sofferenza decisamente personale».

Il diciassettenne di Salisburgo traduce dunque in musica, e nei termini ormai impegnativi e seriosi di una Sinfonia, la sua prima esperienza di Sturm und Drang. Sceglie un organico privo di trombe e timpani, veicoli consueti di gaia marzialità, ma reso più denso ed espressivo dall'ampio uso dei corni, accanto alle coppie consuete degli oboi e dei fagotti. Articola il suo lavoro nei quattro movimenti classici, con un Allegro iniziale particolarmente ampio, che afferma in modo quanto mai deciso il clima emotivo di tutta l'opera, caratterizzandosi come uno dei primi importanti esempi della drammatica interiorità di cui sarà tante volte capace negli anni successivi; e a questo fa seguire un secondo tempo breve perché estremamente concentrato nell'espressione, e un Minuetto che nella sua tinta oscura, venata di intima agitazione, ha tutto fuorché la grazia leggera dell'intermezzo danzato, di cui si ravvisa il ricordo solo nel Trio, affidato ai soli fiati secondo l'uso antico, quasi un frammento di serenata. Nel Finale, legato in solida unitarietà tematica sia con il primo movimento che con il Minuetto, l'assunto espressivo di tutta la Sinfonia trova pieno e consapevole coronamento, a ribadirne il carattere sofferto e colmo di turbamenti.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 Gennaio 2006
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 gennaio 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 18 ottobre 1980


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Ultimo aggiornamento 3 novembre 2017