Sinfonia concertante [n. 52] in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 (K6 320d)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
  2. Andante (do minore)
  3. Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, viola, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, agosto - settembre 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Guida all'ascolto (nota 1)

Il 1779 fu uno degli anni più difficili e penosi della vita di Mozart. L'ex-fanciullo prodigio aveva ormai ventitre anni e era dovuto tornare a testa bassa a Salisburgo, dopo un viaggio di sedici mesi che aveva avuto come tappe intermedie Mannheim e Monaco e come meta finale Parigi. Profondamente provato dalla morte della madre, che era avvenuta mentre si trovava solo con lei a Parigi e che aveva segnato il suo definitivo passaggio all'età adulta, rifiutato da Aloysa Weber, di cui s'era invaghito a Mannheim, amaramente deluso nella speranza di trovare una collocazione professionale più rispondente alle sue aspirazioni, si era dovuto rassegnare al soffocante ambiente salisburghese, riassumendo il suo ruolo di servitore del principe-arcivescovo.

L'insoddisfazione e la rabbia non spensero ma anzi stimolarono la sua voglia di comporre. Tra le musiche scritte in quei mesi spiccano la Messa dell'Incoronazione K.317 (23 marzo), la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K. 319 (9 luglio), la Serenata "Posthorn" K. 320 (3 agosto) e, subito dopo, la Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino, viola e orchestra K. 364 (K. 320 d), la più ambiziosa e perfetta di tutte le sue creazioni di quel periodo, destinata alla straordinaria orchestra di Mannheim, da poco trasferitasi a Monaco al seguito del duca Karl Theodor: se non lo rivelassero i documenti, ne sarebbero un chiaro indizio lo stile serio ed elevato, l'ampia architettura e la profondità d'espressione, che la distinguono dalla musica scritta per Salisburgo, dove aveva l'impressione di scrivere "solo per le sedie", come egli stesso ebbe a dire. Per gli eccellenti musicisti di quell'orchestra, molti dei quali erano suoi amici personali, si sentiva invece stimolato a dare il meglio di sé, libero di scrivere senza costrizioni, sicuro di essere capito e apprezzato. Nell'epoca dello stile galante, quando la musica doveva essere soprattutto piacevole, leggera ed elegante, la Sinfonia concertante consentiva di incrociare Sinfonia e Concerto, alleggerendo il serioso stile sinfonico con le divagazioni brillanti e virtuosistiche dello stile concertante. Generalmente il tono di questo genere di composizioni era piuttosto vivace e leggero, ma Mozart preferì dare a questa sua seconda Sinfonia concertante (ne aveva già composta una a Parigi, nell'aprile 1778) un carattere serio e severo: il timbro scuro della viola attenua il brillio del violino, il primo movimento si tiene lontano dai vivaci temi da opera buffa presenti nei tempi veloci di molte sinfonie mozartiane di quegli anni, il meditativo tempo lento centrale ha una dimensione e un ruolo ben superiori al consueto.

In Mozart la tonalità di mi bemolle maggiore corrisponde spesso a un'aspirazione alla felicità e alla pienezza interiore: ne è una conferma il primo movimento Allegro maestoso. È pieno di vita e di speranza e presenta una grande ricchezza tematica: il tema esposto nell'introduzione orchestrale da oboi, corni e archi s'affermerà come il tema principale, ma ha un bel rilievo anche il tema immediatamente successivo, disseminato di trilli, che con un crescendo prepara l'entrata dei due solisti. Modulazioni a tonalità minori velano quest'atmosfera luminosa nello sviluppo, che culmina in un nuovo tema ricco di pathos introdotto dal violino, in sol minore. La ripresa della parte iniziale porta alla cadenza, che solitamente era lasciata all'improvvisazione dei solisti ma in questo caso scritta da Mozart di suo pugno, sfruttando principalmente il gioco d'eco tra violino e viola.

L'ampio Andante, nella cupa tonalità di do minore, è un canto emozionante e patetico, mormorato inzialmente dai violini e ripreso dai due solisti, che ingaggiano un dialogo intenso e serrato. Il mi bemolle maggiore viene nuovamente raggiunto nella parte centrale, ma ben presto violino e viola riprendono il loro canto sempre più privo di speranza, punteggiato da pause inquietanti. Si apre in tempo di contraddanza il Presto conclusivo, la cui allegria traboccante spazza via d'un colpo solo il tono raccolto e intenso dell'Andante: è un Rondò pieno di vita, di gioia, di slancio, che ha qualcosa della verve indiavolata dell'opera buffa.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta a Salisburgo nell'estate del 1779, è il massimo risultato raggiunto da Mozart nella composizione con più strumenti solisti e orchestra. È un concerto doppio in piena regola: il nome di "sinfonia" qui sembra alludere soprattutto alla matura e intensa scrittura sinfonica dell'opera, sempre al di sopra di un banale concetto di accompagnamento, non a una qualche riduzione del ruolo degli strumenti solisti, impegnati in sortite di notevole rilievo ciascuno per suo conto e in un dialogo costantemente teso e articolato. Proprio a questo, nel primo movimento, più che al contrasto fra i temi, stemperato dalla loro appartenenza alla stessa tonalità e dalla presenza di numerose idee secondarie, si affida la dialettica formale. Assente qualsiasi tentazione brillante, qualsiasi tributo ai modi buffi o galanti consueti a questo genere di musica, l'opera dimostra fin dall'inizio il suo carattere serio e severo, del tutto propizio alla presenza di uno strumento come la viola, di voce assai più scura e velata che non il violino, con il quale tuttavia essa è in grado di convivere in piena pariteticità. L'attenzione che Mozart prestò alla viola - è del tutto probabile che abbia pensato per sé la parte dello strumento in questa sinfonia - è testimoniata anche dalla cura che le è riservata nella partitura orchestrale, dove la suddivisione della fila delle viole porta a cinque il numero delle parti d'arco. In questo clima l'alternarsi di proposte solenni e imponenti, come lo stacco del primo tema dell'Allegro maestoso, o distesamente cantabili, trova unità in un'approfondita elaborazione contrappuntistica, costantemente stimolata dall'ininterrotto scambio di idee fra i due solisti e fra questi e l'orchestra.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con la Sinfonia Concertante per violino e viola in mi bemolle maggiore K. 364/320d, ritroviamo Mozart a distanza di sette anni impegnato in un genere compositivo che, per molti versi, appare ancora legato al passato, alla prassi barocca e pre-classica dei Concerti per più strumenti. La costruzione nitida ed essenziale del Concerto barocco si prestava infatti in modo eccellente al dialogo e alla collaborazione fra più strumenti; non così il "nuovo" Concerto galante, animato sotto il profilo formale da una dialettica tematica che rendeva più problematico l'equilibrio fra più solisti. Tuttavia proprio verso il Concerto polistrumentale, destinato a un rapido declino, Mozart mostrò un pronunciato interesse nel decennio 1770, come testimoniano il Concertone per due violini, la Sinfonia Concertante per fiati, il Concerto per flauto ed arpa, un incompiuto progetto di Concerto per violino e pianoforte, i Concerti per tre e due pianoforti.

Lavoro forse più ambizioso fra tutti questi, la Sinfonia Concertante per violino e viola risale al 1779 e segue dunque di pochi mesi l'esperienza del grande viaggio a Mannheim e Parigi, infruttuoso sotto il profilo professionale, e preziosissimo per le acquisizioni stilistiche. Peculiare del brano è innanzitutto il rapporto fra i due solisti, conflittuale (nella loro serrata contrapposizione) e insieme solidale (nella cantabilità belcantistica per terze e seste); proprio per ottenere una maggiore penetrazione del suono della viola Mozart prescrive che lo strumento sia accordato un semitono più alto. Altro elemento imprescindibile della partitura è l'importanza dell'orchestra; grazie all'eloquenza dello stile orchestrale di Mannheim e al dominio di una concezione formale più articolata, ci troviamo di fronte a una composizione veramente "sinfonica", caratteristica che si impone fin dalle prime battute dell'Allegro maestoso, che affermano prepotentemente la tonalità passionale di mi bemolle.

Dopo la massiccia introduzione orchestrale, animata da un sorprendente "crescendo", i due solisti si impongono all'attenzione, scambiandosi il materiale tematico, consistente in ampie melodie cantabili che acquistano un carattere variegato a seconda siano intonate dall'uno o dall'altro solista; non manca, all'inizio della sezione dello sviluppo, un episodio in minore che preannuncia la profonda evoluzione subita poi dall'autore nei suoi anni viennesi; decisamente più snella è la ripresa, chiusa da una cadenza originale.

Quanto all'Andante, si tratta di una pagina densa di pathos, con un serrato dialogo solistico - che si converte luminosamente dall'iniziale do minore al mi bemolle - che trae rilievo dai colori ombrosi della scrittura orchestrale. Brillante e più disimpegnato - secondo il gusto dell'epoca - il Finale, un Rondò ricco di sorprese nei colori strumentali, e nella successione degli eventi musicali (come la lunga attesa prima della comparsa dei solisti). In definitiva la Sinfonia Concertante segna l'abbandono da parte di Mozart del puro stile galante, e la tendenza verso implicazioni fortemente soggettive, che troveranno, nei lavori degli anni viennesi, esiti più maturi ma non più coinvolti.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

La Sinfonia concertante K. 364 risale agli anni salisburghesi di Mozart. Ma sarebbe pazzesco ricondurre, nemmeno lontanamente, un'opera di tanto profondo impegno e di tanto alti risultati a quella stessa dimensione artigianale e piacevole che informa il Divertimento K. 137 e i suoi «fratelli». Il Mozart della Sinfonia concertante è tutt'altra persona dal sedicenne geniale dei «Quartetti orchestrali». Perché la Sinfonìa concertante reca una data sensibilmente più tarda, risalendo all'estate del 1779, quando dunque Mozart aveva già più di ventitre anni: un divario anagrafico tutt'altro che irrilevante, e sottolineato, oltre che dalla cifra degli anni di Mozart, dagli sviluppi della sua storia personale e di musicista; fattisi particolarmente intensi giusto nei mesi precedenti alla composizione della Sinfonia K. 364. Infatti il periodo compreso fra il settembre del 1777, quando Mozart ventunenne era partito da Salisburgo in compagnia della madre Anna Maria Pertl, diretto a Parigi, e il gennaio del '79, quando Wolfgang era rientrato nella città natale, è senz'altro il più importante e ricco di eventi della giovinezza del musicista. Alla partenza, Mozart era ancora un ragazzo: in barba all'età, e secondo una curiosa legge di contrappasso che fa sovente degli ex bambini prodigio degli immaturi cronici, Mozart scontava con un'adolescenza assurdamente protratta, dal punto di vista dell'autonomia dalla famiglia, la pazzesca precocità con cui si era sviluppata la sua personalità di musicista. Tant'è vero che il viaggio verso Parigi era un po' la continuazione delle avventure dell'infanzia, quando Leopold Mozart aveva corso l'Europa esibendo orgoglioso il suo miracoloso rampollo; e per quanto maggiorenne, Mozart era partito con la scorta della mamma, in sostituzione del padre trattenuto a Salisburgo dagli impegni del suo impiego a corte. Ma al ritorno Wolfgang sarebbe stato solo: né la morte della madre a Parigi, nel luglio del 1778, fu la sola bruciante esperienza di quei sedici mesi di viaggio; perché al fallimento delle illusioni di far carriera altrove - gli ambienti che erano stati prontissimi a far festa al bimbo prodigio si rivelarono alquanto tepidi nei confronti del musicista già quasi adulto - si erano uniti contatti con società diverse, con musicisti diversi, specialmente nelle soste a Mannheim e a Monaco, che gli avevano consentito di prendere conoscenza diretta degli sviluppi più recenti della civiltà musicale tedesca. E inoltre le vicende personali: la morte della madre nella città straniera e in fondo ostile, il grande amore con Aloysia Weber, conosciuta a Mannheim e ritrovata sulla via del ritorno, a Monaco.

Al rientro a Salisburgo, Mozart è dunque profondamente cambiato. D'ora innanzi, la cittadina natale gli starà stretta, fino a soffocarlo: umanamente, per le umiliazioni di un impiego che gli chiederà quasi sempre soltanto la bassa cucina della musica d'uso, e per la presenza del padre che gli impone un'autorità ormai per lui insopportabile; ma anche musicalmente, perché le esperienze di questo viaggio hanno aperto a Mozart gli orizzonti del grande teatro - che a Salisburgo gli è impraticabile - e del moderno sinfonismo, quale ha potuto conoscere a Mannheim dalla frequentazione della celebre orchestra di corte. In ogni senso il Mozart dei due anni compresi fra il ritorno da Parigi e il trasferimento a Vienna appare come un cavallo di razza costretto a mordere il freno: ma senza che le condizioni avverse gli impediscano del tutto di spiccare il galoppo. Infatti, della straordinaria maturazione che già rivelano le pagine nate durante il viaggio del 1777-79, a Parigi e altrove, non pochi dei lavori del rinnovato confino salisburghese recano proficuamente le tracce. In particolare quelli scritti, credibilmente, per proprio uso: come è da considerare la Sinfonia concertante K. 364, che prevede l'intervento solistico di due strumenti che a Mozart furono cari non meno del pianoforte, e dei quali dovette essere esecutore provetto: del violino al punto da sentirsi dire dal padre (a sua volta violinista di grande valore) che avrebbe potuto esserne uno dei primi virtuosi in Europa; della viola al punto da tradire l'altro, e più brillante strumento, per farsene cultore abituale negli anni di Vienna. In quest'opera Mozart seppe far tesoro delle esperienze di Mannheim, piegando ai propri fini le risorse dello stile sinfonico e concertante che in quella importantissima fucina della pratica orchestrale moderna si era andato elaborando da decenni; ma anche seppe segnare una tappa significativa nella stessa storia del suo sinfonismo. Perché tutto sommato è più alla via maestra delle Sinfonie di Mozart, e cioè all'approccio con un genere compositivo piazzato ai primi posti nella gerarchia delle forme musicali tacitamente accettata all'epoca, che bisogna ricondurre quest'opera, più che non a quello, considerato in fondo minore, del Concerto con strumenti solisti: ponendosi infatti la fisionomia espressiva della Sinfonia concertante su un piano di ben maggiore impegno che non fosse consueto al Concerto solistico; e dunque in certo qual modo ma affatto inconsapevolmente, risuscitando l'antica severità del Concerto grosso (con più solisti raccolti nel «concertino»), presto disciolta nel protagonismo del Concerto con un unico solista.

Che la Sinfonia concertante sia pagina di tutt'altro che superficiali o generiche intenzioni espressive, appare manifesto dalla stessa scelta della coppia degli strumenti solisti; o meglio dalla presenza in essa di una voce come quella della viola: agli antipodi della brillantezza e dell'esibizionismo virtuosistico, sia per la qualità specifica del suo timbro che per la natura tecnica di per sé negata al funambolismo e alla velocità. In quel medesimo torno di tempo, Mozart aveva addirittura abbozzato un concerto con tre solisti, violino, viola e violoncello: è probabile che questo lavoro, rimasto interrotto dopo 134 battute, sia stato frutto di una medesima intenzione da parte di Mozart, forse immediatamente precedente alla Sinfonia concertante che poi fu invece portata a termine; e che cioè Mozart abbia ripiegato sul più maneggevole ed equilibrato concertino di due soli strumenti. Il che potrebbe anche significare il desiderio, da parte di Mozart, di salvaguardare il più possibile il ruolo della viola, che stretta fra la voce brillante del violino e quella robusta del violoncello sarebbe rimasta come schiacciata, mentre nella Sinfonia in mi bemolle lo strumento più grave si pone come assolutamente paritetico partner dell'altro; e anzi, forse anche perché più inusitata come strumento solista, è proprio la viola a determinare la tinta espressiva della Sinfonia. Se da un lato, dunque, dietro la Sinfonia concertante c'è il lascito delle esperienze mannheimiane di Mozart, dall'altro è indubitabile la presenza di una spontanea, autonoma, e considerevolmente medita aspirazione a fondere quel tanto di artigianale, di parzialmente disimpegnato, che sempre contraddistingue - e non solo al tempo di Mozart - la composizione sinfonica con strumenti solisti, con un profondo coinvolgimento espressivo, strettamente legato alle valenze specifiche dei timbri chiamati in causa (qualcosa di non molto diverso si potrà ravvisare in uno degli ultimi capolavori di Mozart, il Concerto per clarinetto K. 622, del 1791).

Ben si spiega, in questo quadro, come Mozart abbia rinunciato - altro fatto quanto mai insolito - a dare alla Sinfonia un primo tempo di carattere brillante, condizionando invece il movimento iniziale con la stessa indicazione agogica, Allegro maestoso. Del resto, tutto il materiale tematico che è riversato nella Sinfonia concertante appare tipico del Mozart maturo, non meno che l'impiego che di esso materiale viene fatto nel corso dell'opera, Di piena dignità sinfonica, infatti, magari anche a parziale scapito dell'evidenza delle parti solistiche, che pure risultano quanto mai impegnative, ambedue, sono infatti i temi che reggono il primo movimento; e di piena dignità sinfonica è la costruzione di esso, non ultimo nella stesura del tessuto orchestrale, notevolmente ricco di colori non tanto per l'abbondanza degli strumenti impiegati - che la partitura si limita ad aggiungere agli archi una coppia di oboi e una di corni - quanto per l'attenzione con cui essi vengono impiegati al massimo delle loro possibilità espressive (e non è privo d'importanza il fatto che anche le parti degli archi manifestino una simile profondità d'intervento, con la prescrizione di due parti di viola, accanto a quelle dei violini primi e secondi e del basso). Così le escursioni, quasi costantemente attestate in forma di dialogo serrato, dei due solisti, non hanno mai niente di gratuito o di superfluo, ma trovano una coerente e precisa collocazione in un quadro unitario e di robusta architettura formale. Come galanteria e stilemi di opera buffa sono totalmente banditi dall'Allegro maestoso, così insolitamente intenso e «serioso» è l'Andante centrale, impiantato in do minore, per Mozart la tonalità della commozione. Il Finale scioglie la serietà e la relativa severità dei due movimenti precedenti in un clima giocoso, e per una volta aperto anche a evasioni brillanti. Sostenuto, però, dal costante controllo di una fantasia destissima, che rifugge dall'ossequio a soluzioni scontate, e percorso da un'inarrestabile vitalità ritmica.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 marzo 2001
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 ottobre 2000
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 13 maggio 1983


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 21 maggio 2016