Sonata n. 12 in fa maggiore per pianoforte "Parigina 4", K1 332 , (K6 300k)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (fa maggiore)
  2. Adagio (si bemolle maggiore)
  3. Allegro assai (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Agosto - Settembre 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'opera pianistica di Mozart è alla base di quella nuova corrente musicale che, superando le frivolezze del Rococò, attraverso la grande stagione del classicismo viennese, porta alla fioritura romantica e a quella che è stata giustamente definita "l'età del pianoforte". Le possibilità del nuovo strumento, che solo intorno al 1770 si stava faticosamente affrancando dal clavicembalo, sono prontamente intuite da Mozart; in una lettera al padre del 17 ottobre 1777 egli riferisce di aver suonato sui pianoforti costruiti ad Augsburg da Johann Andreas Stein e di averne apprezzato l'alta qualità meccanica, la duttilità dinamica, nonché la preziosa risorsa del pedale di risonanza, che in quegli strumenti si suonava allora col ginocchio.

Mozart abbandona il clavicembalo e sceglie il pianoforte per gli stessi motivi per cui rimane folgorato dall'orchestra di Mannheim: qualità espressive, disponibilità al suono cantabile, capacità di variare le dinamiche - il piano e il forte appunto - con le relative gradazioni intermedie.

Per Mozart lo strumento va suonato con naturalezza e morbidezza di tocco, sottolineando le sfumature dinamiche ed espressive e senza indulgere ai virtuosismi tecnici di un Muzio Clementi definito - a dire il vero con eccessiva severità - «un ciarlatano come tutti gli italiani, abile nei passaggi di terze, ma privo di espressione, gusto e sentimento».

L'incontro-scontro con Clementi risale al dicembre 1781 in una celebre sfida viennese alla presenza dell'imperatore Giuseppe II.

Qualche anno prima, nel 1777-78, Mozart affronta il grande "viaggio" della sua vita, quello che ha come tappe principali Mannheim e Parigi, ma che è anche un viaggio dentro di sé alla scoperta della sua personalità. Il bambino prodigio soggiogato dalla figura paterna lascia il posto a un uomo maturo, consapevole delle difficoltà della vita e dell'ambiente artistico, che, attraverso il dolore e le delusioni - il mancato fidanzamento con Aloysia Weber e la morte della madre - giunge a una sofferta maturità.

Parigi, dominata dalla querelle fra i seguaci di Gluck e gli aderenti al partito italiano di Piccinni, è quasi un incubo per il ventiduenne Mozart. «Se qui la gente avesse orecchie e cuore per sentire, se capisse soltanto un pochino di musica e avesse un minimo di gusto, di tutto il resto riderei di cuore. Ma per quanto riguarda la musica mi trovo fra bruti, fra bestie».

L'umor nero mozartiano è splendidamente rappresentato proprio da una Sonata per pianoforte - la grande e tragica Sonata in la minore K. 310 - che, insieme con altre quattro Sonate parigine fra cui la K. 332 in fa maggiore che si ascolterà stasera, costituisce una tappa importantissima nel percorso di liberazione definitiva dall'estetica galante affrontato da Mozart.

Nel primo movimento Allegro lo stile è asciutto, essenziale. Il gioco fra elementi propositivi statici e quasi neutri - i due temi principali - e le innervature espressive e drammatiche dei passaggi modulanti - memorabile quello della sezione di sviluppo - è condotto con singolare maestria.

L'Adagio sviluppa un'idea di cantabile di ascendenza cembalistico-galante fin nell'accompagnamento in caratteristico basso albertino, senza rinunciare però ad un impianto schiettamente sonatistico.

Anche il finale Allegro assai è in forma sonata. Lo scorrevole ritmo di 6/8, non meno delle guizzanti figurazioni di semicrome, gli conferisce una particolare leggerezza velata talvolta da momenti di intensa malinconia o di più energica drammaticità, fino alla conclusione sottovoce, teneramente sfumata.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con la Sonata per pianoforte Mozart non ha avuto un rapporto regolare e costante. A parte alcuni esperimenti infantili oggi perduti, ha affrontato questo genere solo relativamente tardi, sulla soglia dei vent'anni nel 1775 a Monaco con le sei Sonate K. 279-284, frequentandolo in seguito sempre in modo abbastanza sporadico: nel 1777 a Mannheim nascono la Sonata in do maggiore K. 309/284b e la Sonata in re maggiore K. 311/284c, nel 1778 a Parigi vede la luce la Sonata in la minore K. 310/300d. Dopo questa pagina carica di pathos e di agitazione, che rappresenta senza dubbio uno dei momenti più alti della sua produzione sonatistica, Mozart, pur affermandosi sulla scena viennese soprattutto come pianista-compositore, tornerà ancora alla Sonata per pianoforte solamente una decina di altre volte fra il 1781 e il 1789, dedicandosi in campo pianistico prevalentemente al genere del Concerto. Questa minore attenzione nei confronti della Sonata e il fatto che le diciotto Sonate mozartiane a noi pervenute, pur nella loro bellezza, vengano generalmente considerate di gran lunga meno importanti e innovative rispetto ai suoi Concerti per pianoforte e orchestra, si spiegano semplicemente con la diversa funzione che al tempo di Mozart aveva la Sonata rispetto al Concerto.

Il fatto che le Sonate mozartiane siano nate principalmente come omaggio ad augusti protettori, o con finalità didattiche, o comunque in sintonia con le aspettative e i gusti del pubblico di possibili acquirenti in vista della pubblicazione, se impedisce loro di attingere ai livelli stratosferici di intensità e complessità dei grandi Concerti viennesi, non toglie tuttavia nulla al loro enigmatico fascino, accresciuto probabilmente dall'apparente esiguità dei mezzi impiegati. Tanto più che in molti casi la facilità di esecuzione - al di là di un approssimativo strimpellamento delle note - si rivela per l'appunto più apparente che reale. L'esempio più evidente si ha senza dubbio con la fin troppo celebre Sonata in do maggiore K. 545, candidamente indicata da Mozart come «per principianti» (cosa che Hildesheimer giudica, «almeno per quel che riguarda l'Allegro, puro sarcasmo»), e da allora impotente e incolpevole vittima degli scempi di generazioni di signorine di buona famiglia, bambini terribili e aspiranti pianisti in genere: come non pensare all'arguta boutade attribuita ad Artur Schnabel secondo cui la musica pianistica di Mozart sarebbe «troppo facile per i dilettanti e troppo difficile per i professionisti»?

La Sonata in fa maggiore K. 332 (300k nell'ultima versione del catalogo delle opere mozartiane), pubblicata a Vienna da Artaria nel 1784 a formare, insieme alle due consorelle K 330 e K 331, l'opera 6, è stata a lungo attribuita al soggiorno parigino del 1778, mentre sembra ormai certa la sua datazione al periodo trascorso a Monaco tra la fine del 1780 e l'inizio del 1781 per la prima rappresentazione di Idomeneo o addirittura ai primi anni viennesi (1781-1783). Il movimento d'apertura (Allegro) è proprio una di quelle magiche pagine mozartiane di cui si diceva poc'anzi, caratterizzata, pur nella sua concisione, da una stupefacente ricchezza di materiale musicale che ad altri sarebbe bastata, forse, per almeno tre primi tempi di sonata. Dopo la delicata e poetica pausa dell'Adagio, la Sonata si conclude gioiosamente con un irresistibile e brillante Assai Allegro.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 Novembre 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 dicembre 2003


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Ultimo aggiornamento 3 maggio 2013