Sonata n. 18 in re maggiore per pianoforte, K 576


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro (re maggiore)
  2. Adagio (la maggiore)
  3. Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, luglio 1789
Edizione: Bureau d'Art et d'Industie, Vienna 1805

Scritta per Fiederike Charlotte Ulrike di Prussia
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ultima Sonata pianistica scritta da Mozart è la Sonata in re maggiore K. 576; e si è creduto di identificare questo spartito come il primo di un gruppo di sei composizioni alle quali Mozart fa riferimento in una lettera all'amico Puchberg del 12 luglio 1789, accennando a "sei sonate facili per pianoforte per la principessa Friederika". Reduce dal viaggio a Berlino della primavera 1789, Mozart ricevette forse questa commissione da parte della principessa prussiana, parallelamente a quella di alcuni Quartetti per il sovrano. E tuttavia, l'una come l'altra commissione, se vi furono effettivamente - Mozart potrebbe solamente aver pensato di dedicare questi lavori ai membri della famiglia reale - non furono portate a termine, e il gruppo di sei Sonate si arrestò dopo questa prima prova.

Ad ogni modo, il contenuto della Sonata K. 576 non è propriamente "facile"; la tecnica risulta brillante senza essere di impegno trascendentale, e si rivolge forse a una dilettante di talento. Sotto altri aspetti lo spartito reca nettissimo il segno dell'ultimo Mozart, soprattutto per l'impiego del contrappunto, così tipico degli ultimi anni del maestro.

Ecco dunque che l'Allegro iniziale parte da un tema di "caccia" all'unisono, che rimane alla base di quasi tutto il movimento con pochissimi diversivi; e anche il secondo tema altro non è se non una variazione contrappuntistica del primo; solo nella coda dell'esposizione appare un terzo tema più disteso. Lo sviluppo consiste quasi interamente in una vera e propria invenzione a due voci sul tema di base, e la riesposizione non è affatto testuale; per evitare monotonia Mozart sopprime il secondo tema, passando direttamente al terzo, e aggiunge poi una lunga coda.

L'Adagio è un movimento tripartito, con due sezioni gemelle - basate su una melodia nobile e pensosa, riesposta poi con varianti armoniche - che incorniciano una centrale sezione in fa diesis minore, ricca di un pathos che deriva dalle continue modulazioni e dai passaggi cromatici.

Gli stessi princìpi del tempo iniziale - con una minore attenzione verso il contrappunto - si riscontrano anche nell'Allegretto conclusivo, che è un Rondò estremamente complesso; sue caratteristiche sono l'unità tematica, posto che anche il primo episodio si basa sul tema del refrain, e il dinamismo ritmico delle terzine che pervadono quasi interamente la pagina, ultima straordinaria invenzione del sonatismo di Mozart.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in re maggiore K. 576 è, in ordine di tempo, l'ultima Sonata composta da Mozart per il pianoforte. Nel 1789 il compositore si trovava a Berlino, dove si era recato nella speranza di trovare presso la famiglia reale di Prussia una generosità maggiore di quella cui veniva fatto segno a Vienna. In una lettera all'amico e compagno di loggia Puchberg (al quale in quell'epoca rivolgeva angosciose richieste di aiuto morale e, soprattutto, materiale) Mozart scrive in data 12-14 luglio 1789: «... sto componendo sei Quartetti per il Re e sei facili Sonate pianistiche per la Principessa Federica; Kozeluch le sta incidendo tutte a mie spese...». Ma solo tre di questi sei Quartetti progettati furono composti e pubblicati e solo una delle Sonate fu effettivamente portata a termine e questa è precisamente la Sonata K. 576. La Sonata però non giunse mai alla persona cui era stata dedicata e fu pubblicata solo dopo la morte di Mozart. Per quello che abbiamo riferito prima, non si deve credere però che si tratti effettivamente d'un «pezzo facile». In realtà questa Sonata nel suo solido impianto contrappuntistico, nella condotta delle voci che si rispondono sovente in guisa di «duetto», rivela come le altre composizioni mozartiane di quell'epoca l'esperienza dell'opera e dello stile di Giovanni Sebastiano Bach, anche se, come sempre accade in Mozart, ogni complessità polifonica si risolve in ciò che oggi ci appare come un'aurea semplicità. L'Einstein la considera addirittura come « ... un'espressione di gratitudine per il grande maestro al cui spirito, Mozart, passando per Lipsia, s'era nuovamente avvicinato». Comunque sia, l'influsso bachiano vi appare completamente assimilato, sicché non c'è battuta di questa Sonata che non porti il segno inconfondibile ed esclusivo del genio mozartiano. Il primo tempo ha per motivo principale un inciso che rammenta una fanfara di corni da caccia (la Sonata viene chiamata, appunto, in Germania «Jagdsonate»). L'Adagio è un brano da cui spira un senso di infinita nostalgia e insieme di consolazione, mentre il delizioso Allegretto concilia una rigorosissima scrittura per tre voci (che potrebbe adattarsi idealmente ad un trio d'archi) con una arguta, spiritosissima grazia discorsiva.

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il mistero che circonda gli ultimi anni della vita di Mozart ha trovato fino in tempi recenti spiegazioni diverse, talvolta opposte, ma nessuna completamente soddisfacente. Resta l'enigma di una progressiva, inesorabile ostilità dell'ambiente viennese nei confronti del musicista un tempo stimato e perfino vezzeggiato proprio quando la sua arte sembrava toccare vette sconosciute. Così la prima rappresentazione viennese del Don Giovanni il 4 maggio 1788 non rinnovò il successo incondizionato dell'anno precedente a Praga. L'opera ebbe quindici repliche stentate e all'ultima lo stesso imperatore, stando ai ricordi di Da Ponte, si allineò ai giudizi del pubblico nel ritenerla troppo difficile e inadatta ai gusti di Vienna. Anche le sue prime timide rappresentazioni in alcuni teatri tedeschi sollevarono le stesse critiche accanto a scrupoli moralistici nei confronti del soggetto. In effetti i tempi stavano rapidamente cambiando e il pubblico ormai ripiegava verso argomenti più tranquilli conditi da musiche svagate e zuccherose.

Della graduale perdita di popolarità risentì anche la vita privata di Mozart in quegli anni più inquieta e tormentata che mai. Lo testimoniano i continui traslochi con la famiglia alla ricerca di un alloggio più conveniente, il simbolo concreto del suo costante declino sociale. Al giugno 1788 risale la prima lettera al mercante Michael Puchberg accompagnata da una richiesta di denaro. Le richieste si infittiranno e il loro tono si farà sempre più angosciato fino alla morte. Queste lettere scrupolosamente conservate da Puchberg assieme alla lunga nota dei prestiti segnano le stazioni del calvario del musicista in disgrazia. Perché tanto bisogno assillante di soldi? La domanda è tuttora senza una risposta convincente e qualcuno ha anche avanzato l'ipotesi che Mozart perdesse forti somme al gioco. Certo in quel triste 1788 aveva guadagnato ben poco con la sua attività di compositore. Le tre ultime grandi Sinfonie, le trascrizioni da Händel (Acis e Galathea, Il Messia) e alcuni lavoretti occasionali scritti per gli allievi non gli avevano fruttato i compensi sperati.

L'occasione di un viaggio a Berlino spalancò improvvisamente a Mozart miraggi di nuove fonti di guadagno: forse un posto ben retribuito, forse nuove commissioni. Raggranellati i denari sufficienti con nuove richieste a Puchberg, Mozart partì pieno di speranze accompagnato dal principe Carl Lichnowski suo amico e allievo. Il viaggio toccò Praga, Dresda e Lipsia dove incontrò l'anziano cantore della Tomasschule Johann Friedrich Doles custode della grande tradizione bachiana. Giunto a Berlino in aprile Mozart potè finalmente avvicinare il re Federico Guglielmo II e nel maggio suonare di fronte alla principessa Federica. Il mese seguente era già di ritorno a Vienna. Delle speranze della partenza restava ben poco: era riuscito a portare a casa solo qualche piccola mancia elargitagli dal re ma dell'impiego stabile neanche a parlarne. Unico frutto concreto del viaggio era stata la commissione di sei Quartetti per il re che era buon violoncellista e di altrettante Sonate facili per la principessa Federica dilettante di pianoforte. Di questi lavori Mozart compose solo tre Quartetti e una Sonata per pianoforte, appunto quella in re maggiore K. 576.

Lo stile della Sonata in re maggiore, l'ultima Sonata di Mozart, similmente a quello dei tre Quartetti prussiani rivela una sensibile mutazione rispetto ai capolavori degli anni immediatamente precedenti. Queste opere, alle quali è giusto aggiungere la Piccola Giga in sol maggiore K. 574 composta a Dresda nello stesso 1789, se mantengono l'alto impegno formale e la logica costruttiva di quelle precedenti, sembrano convertire le cupe espressioni drammatiche di un tempo in una oggettività luminosa fatta di linee delicate e di una calma diffusa, enigmatica che in qualche modo anticipa l'approdo estremo del Flauto magico, del Concerto in si bemolle, degli ultimi Quintetti e dell'Ave verum. Non si tratta quindi di un processo riduttivo ma di un arricchimento alimentato dalla frequentazione col contrappunto bachiano dove ormai si tendono a considerare superate anche le geniali e turbolente premonizioni romantiche degli anni '86 - 88.

A riprova dell'impegno e della densità dei lavori del 1789 basterebbe questa Sonata in re maggiore ricca di stupefacenti invenzioni pianistiche e tutt'altro che «facile» come desideravano le modeste capacità strumentali della committente. L'Allegro iniziale in 6/8 è costruito nella tradizionale forma-Sonata ma non presenta particolari motivi di contrasto tra le due idee principali: la seconda sembra solo interrompere per un attimo il corso brillante e volitivo della prima alla quale è dedicato interamente anche lo sviluppo con il suo ricercato gioco contrappuntistico. L'Adagio centrale è forse il vertice espressivo dell'intera Sonata. All'interno di una semplice struttura tripartita di Lied si snoda una lunghissima melodia della mano destra, carica di echi belcantistici in un tono languido e affettuoso finemente cesellato da cromatismi e preziose varianti ritmiche. Il clima notturno dell'Adagio si stempera nella chiarezza e nel candore di un Allegretto finale. Si tratta di un Rondò incentrato su un tema di carattere popolaresco che anticipa il mondo malizioso e infantile di Papageno. Anche gli episodi necessari di contrasto sono riconducibili a variazioni dell'idea iniziale.

La principessa Federica non conobbe mai il capolavoro che le era stato dedicato e Mozart stesso non riuscì a vederne la stampa nei due anni che gli restavano da vivere.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 marzo 1955
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Pitti, 24 luglio 1983


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Ultimo aggiornamento 20 aprile 2016