Otto variazioni in fa maggiore per pianoforte, K 613

sul tema "Ein Weib ist das herrlichste Ding" di Benedikt Schack e Franz Gerl

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 8 marzo - 12 aprile 1791
Guida all'ascolto (nota 1)

Anche se suonò professionalmente per diversi anni il violino (fu Konzertmeister presso la corte arcivescovile di Salisburgo) Mozart ebbe con il pianoforte - o, meglio, fortepiano, come si usa chiamare oggi questo strumento nella prima fase del proprio sviluppo - un rapporto privilegiato. Sullo strumento a tastiera compì i primi approcci diretti con la musica, e anche i primi tentativi di composizione; della tastiera si servì per incantare tutte le grandi corti europee nel corso dei numerosi pellegrinaggi infantili. Sulla tastiera concentrò le sue attenzioni, almeno a partire dal 1775, con le sei sonate monacensi che costituiscono il suo primo importante lascito in questo campo. Alla tastiera guardò l'autore maturo per imporre il proprio nome presso l'alta società viennese, dopo il trasferimento a Vienna del 1781, proponendosi nella doppia veste di pianista-compositore. Infatti la maggior parte delle composizioni dedicate da Mozart al pianoforte fu pensata dall'autore per il proprio personale uso di solista. Come molti virtuosi della propria epoca egli fu essenzialmente un compositore-esecutore, che scriveva la propria musica con il fine preciso di valorizzare al meglio le proprie qualità tecniche ed espressive.

Nella cospicua produzione di Mozart dedicata allo strumento possiamo dunque cogliere due aspetti paralleli e complementari dell'evoluzione del maestro; da una parte l'evoluzione dell'esecutore, ossia la progressiva scoperta delle potenzialità del pianoforte, strumento che aveva preso da poco tempo il posto del vecchio cembalo e che attraversava un periodo di rapido perfezionamento; insomma una ricerca sulla tecnica e sulla scrittura per lo strumento. Dall'altra parte l'evoluzione del compositore, che costruisce la sua musica in modo da attribuire alle vecchie forme strumentali - la sonata, la variazione, il concerto - una ampiezza e una varietà, una articolazione interna e una complessità di soluzioni in precedenza sconosciute, proprio partendo dalle nuove scoperte sulla scrittura pianistica.

La variazione e la sonata sono dunque gli ambiti privilegiati della produzione tastieristica di Mozart. La prassi della variazione, risalente alle origini della musica strumentale, aveva trovato un nuovo incremento e un nuovo sviluppo nel periodo galante. A differenza degli autori barocchi (esempio preclaro quello delle Variazioni Goldberg di Bach), l'idea della variazione galante non aveva implicazioni speculative, ma principalmente uno scopo leggero e intrattenitivo, e si limitava a ripetere il tema di base con variazioni ornamentali che non ne intaccavano l'essenza e la riconoscibilità.

Di Mozart sono giunti ai posteri almeno quattordici cicli di variazioni pianistiche stesi su carta. L'espressione non è casuale. Per Mozart infatti, come per i pianisti della sua epoca, il ciclo di variazioni era essenzialmente una tecnica per improvvisare di fronte a un pubblico. Fin da piccolo, nel corso dei suoi viaggi europei di apprendistato, Mozart era solito, nel corso di una esibizione, improvvisare delle variazioni su un tema proposto da qualche spettatore; una manifestazione di grande creatività e di dominio perfetto della tastiera. È ovvio che queste improvvisazioni non nascevano in modo del tutto rapsodico e istintivo, seguivano al contrario uno schema preciso, per cui ogni singola variazione sviluppava un particolare assunto di base, tecnico o espressivo, come, ad esempio, gli arpeggi della mano destra o l'incrocio delle mani, o il passaggio del tema dal modo maggiore al modo minore e via dicendo. Nel corso degli anni Mozart arrivò a definire in qualche modo uno schema "a priori", che gli consentiva di elaborare delle variazioni anche molto complesse direttamente in fase di esecuzione, partendo dai temi proposti da qualche illustre componente del pubblico di un salotto o di una esclusiva sala di concerti. È quindi logico immaginare che molti cicli di variazioni costituiscano la stesura su carta di qualche felice esibizione concertistica avvenuta in un tempo precedente. In questo procedimento quanto più semplice era il tema di partenza tanto più efficace era il risultato.

Con le Otto variazioni sul Lied "Ein Weib ist das herrlichste Ding" K. 613 dal Singspiel Der dumme Gärtner attribuito a Benedikt Schack ci spostiamo agli ultimi mesi della vita di Mozart; questo, che è l'ultimo ciclo di variazioni del catalogo dell'autore, venne scritto nel marzo 1791, all'interno del circolo di amici che avrebbe dato vita, nel corso di quell'anno, a Die Zauberflöte, e infatti queste variazioni si basano assai probabilmente su un tema del primo interprete del ruolo di Tamino, Schack appunto. Proprio questo lungo tema ha la caratteristica di "bruciare" nelle prime otto battute una breve idea melodica che non viene più sfruttata nel corso del tema; ecco dunque che nel susseguirsi delle variazioni Mozart ripropone quasi immutate queste prime otto battute, facendo cominciare il vero e proprio lavoro di variazione a partire dalla nona; questo procedimento conferisce una grande unità al ciclo, che si sviluppa per il resto secondo i soliti stilemi. Nella settima variazione il cambiamento di tempo in Adagio avviene alla nona battuta, e dà luogo ad una fantasia estremamente libera; mentre l'ottava e ultima variazione parte direttamente dalla nona battuta, ed ha come epilogo il ritorno dell'idea melodica iniziale.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 gennaio 2006


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Ultimo aggiornamento 2 dicembre 2015