Canti e danze della morte

Ciclo di quattro canti per voce e pianoforte

Musica: Modest Musorgskij (1839 - 1881)
Testo: A. A. Goleniscev-Kutuzov
  1. Ninna nanna (re diesis minore)
    Dedica: A. J. Vorobeva-Petrova
  2. Serenata (re diesis minore)
    Dedica: L. I. Sestakova
  3. Trepak (re minore)
    Dedica: O. A. Petrov
  4. Il condottiero (mi bemolle minore)
    Dedica: A. A. Goleniscev-Kutuzov
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1875 - 1877
Edizione: Bessel, San Pietroburgo, 1882
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ciclo di canzoni per canto e pianoforte, da Mussorgsky stesso progettato per orchestra, ma orchestrato dopo la sua morte da Glasunoff e da Rimski Korsakoff, su testi del principe Golenistchev-Kutusoff. 1a edizione 1882, Bessel.

Stassoff attribuisce a se' il merito di aver dato a Mussorgsky l'idea di questo ciclo, e può darsi. Ma è pur vero che Stassoff insisteva per la composizione di «Danze russe della morte», tratte da soggetti della storia. In questo senso cercava di convincere tanto Golenistchev-Kutusoff quanto Mussorgsky. La verità invece è un'altra. Dati i principi sui quali Mussorgsky tracciò la strada fin dai primi anni, tutti gli aspetti della vita umana gli servivano a far musica. La morte fu argomento delle sue prime canzoni per arrivar poi a momenti di inaudita drammaticità nel Boris Godunoff. Egli conosceva la Danza macabra di Liszt, e ammirava l'arte del musicista europeo; conosceva Il re degli elfi di Schubert, Dies irae di Berlioz, ma cercava altro. Egli doveva creare secondò il suo concetto filosofico della morte, che trovò nelle stupende liriche del Golenistchev-Kutusoff. Mussorgsky riuscì a descrivere con impressionante drammaticità la lotta tra l'uomo e la morte, come nel Boris, e come nella «Ninna nanna» dai Canti e danze della morte nel dialogo tra la madre e la morte. Tutte e quattro le canzoni sono in due parti: la prima dà suoni all'ambiente e la seconda al dialogo o al monologo.

La esposizione della morte Mussorgsky la fa con odio, in quanto essa appare sempre prima del tempo. Insaziabile della vita umana, la morte la distrugge con tutti i mezzi; carezze, nenie, menzogne e l'atmosfera che la circonda è sempre di quel gelido soffio che prelude alla fine. La tragedia della morte impressiona specialmente nell'ultima canzone, Il condottiero, in quanto conseguenza delle inutili guerre e provoca nell'ascoltatore un furioso senso di odio e di maledizione contro le guerre fratricide.

Nel periodo dei Senza sole e dei Canti e danze della morte Mussorgsky visse con il poeta Golenistchev-Kutusoff. L'anno 1871 gli strappò anche questo amico che «approdò ai lidi domestici da dove non c'è ritorno», come diceva Mussorgsky. Scrisse a Stassoff nella notte del 29 dicembre 1875: «ebbene resterò solo... tanto dovrò morire solo... Mi dispiace tanto per Arsenio, mio generalissimo!».

L'ultima canzone di questo ciclo, Il condottiero, fu composta due anni dopo e dedicata a Kutusoff. Risulta, pertanto, dagli appunti di Mussorgsky, che altre canzoni avrebbero completato questo ciclo, per esempio La morte di un monaco al suono di campana, Emigrato politico, La morte di una giovine donna nel ricordo del suo amore, eccetera. Alcune, già composte ed eseguite dall'autore, non si sono trovate tra i manoscritti.

Boris Christoff

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Stassoff attribuisce a sé il merito di aver dato a Mussorgsky l'idea di questo ciclo. Lui insisteva però per la composizione di «Danze russe della morte», tratte da soggetti storici. In questo senso cercava di convincere tanto Golenichteff-Kutuzoff quanto Mussorgsky. Dati però i principi sui quali quest'ultimo tracciò la sua strada fin dai primi anni, tutti gli aspetti della vita umana gli servivano a far musica. La morte fu argomento delle sue prime canzoni per arrivare poi a momenti di inaudita drammaticità nel «Boris Godounov». Egli conosceva la danza macabra di Liszt, conosceva il re degli Elfi di Schubert, «Dies Irae» di Berlioz, ma cercava altro. Doveva creare secondo il suo concetto filosofico della morte, che trovò nelle stupende liriche del suo lontano cugino Golenichteff-Kutuzoff, che a sua volta era ispirato dai concetti mussorgskiani. Mussorgsky riusci infatti a descrivere la lotta tra l'uomo e la morte con impressionante drammaticità nel «Boris Godounov» e in queste lìriche.

Tutte e quattro le canzoni sono divise in due parti; la prima dà suoni all'ambiente e la seconda al dialogo o al monòlogo.

Mussorgsky tratta della morte con rancore, in quanto essa appare sempre prima del tempo. Insaziabile divoratrice della vita umana, la morte tutto distrugge con tutti i mezzi: carezze, nenie, menzogne, e l'atmosfera che la circonda è sempre pervasa di quel gelido soffio che prelude la fine.

Boris Christoff

Testi

Ninna Nanna

Il bimbo geme...
Ancor la candela manda un fioco chiarore.
La madre che ha cullato la sua creatura
non ha preso sonno.
E presto assai picchia alla porta
la morte pietosa. Toc!
La madre allor trasale paurosa...
«Madre, temuto hai assai!
Pallida l'alba s'affaccia ai vetri...
Ti sei stancata coi tuoi preghi, col pianto.
Riposati un poco, io veglierò per te
Non hai saputo calmare il tuo bambino
Canto più dolcemente di te».
«Taci! Il bimbo mio s'agita, geme,
e mi spezza il cuore».
«Eh! con me si calmerà assai presto.
Nanna, oh nanna oh, oh!».
«Più lieve è il soffio,
Il visino è bianco...».
«Ma taci taci ahimè!
Buon segno è questo, si calma il dolore.
Nanna, oh nanna, oh, oh».
«Via, via di qua maledetta!
Così tu uccidi il mio tesor!».
«No. Darò un sonno tranquillo al bimbo.
Nanna oh nanna, oh, oh!».
«Grazia! Deh, smetti di cantare un solo istante l'atroce canzone!».
«Vedi? La quieta canzone l'ha assopito. Nanna, oh nanna, oh, oh!».


Serenata

Languido incanto, notte azzurrina,
fremito di primavera...
Ascolta la malata,
la testa china,
sussurra la sera.
Al sonno non chiude l'occhio lucente,
la vita è voluttà;
La Morte in mezzo alla notte silente
le canta la serenata:
«Nelle tenebre d'un servaggio severo
sfiorisce la tua gioventù;
Ma di una forza mirabile,
io, cavaliere ignoto, ti libererò.
Levati e guardati: di bellezza
splende il tuo diafano volto,
rosee le guance, dalla chioma ondulata,
il tuo corpo come nube è avvolto.
Dagli occhi tuoi l'azzurro chiarore
brilla più del cielo e del fuoco;
Ha il soffio tuo del meriggio il calore!...
fanciulla m'hai sedotto.
Il tuo orecchio dal mio canto è preso,
la tua voce mi chiama!
Pel gaudio estremo è giunto il cavalier
per l'ora della voluttà!
Il tuo corpo è fragile
e tu fremi, lasciva,
Ti soffocherò nella mia stretta forte,
senti il mio sussurìo d'amore...
ah, taci... sei mia!»


Trepak

Boschi, praterie, deserto intorno.
La tempesta geme e stormisce;
La cruda morte là nel buio cupo
qualcuno ahimè seppellisce:
E' così.
Nell'oscurità la morte abbraccia un mugik
e assieme a lui incomincia col danzare il trepak,
intonandogli questa canzone:
«Ahi Mugik! vecchio pio, il vino t'ha ubriacato
e su la strada t'ha trascinato,
l'uragano intanto si è scatenato,
e nel bosco addormentato t'ha trascinato.
Spinto da disperazione e da duolo
su questa radice dormi figliuolo
con la bianca neve ti riscalderò
e un incanto intorno a te intesserò.
Bianca tormenta, inizia col tuo furore
il turbine tempestoso lascia udire il suo suono.
Canta una fiaba lunga come la notte
così che l'ebbro dorma
un profondo sonno.
O voi foreste, e cieli,
e nubi, tenebre, vento,
nevischio lieve, formate una coltre di piuma di neve,
e come un bambino coprite il vecchio.
Dormi, o amico, felice dormi!
L'estate è giunta, è in fiore!
Sui campi sorride il sole,
e le falci lavorano,
si diffonde il canto, i colombi volano ».

Il Condottiero

La pugna infuria, brillano l'armi
gli avidi cannoni ruggono,
soldati vanno, cavalli volano
e fiumi rosseggianti muggono.
Il ciclo arde, si combatte;
il sole scende, si pugna sempre!
L'occaso è smorto,
ma si battono ancor i nemici con furore.
Sul campo scende la notte.
Le schiere nel buio si dileguano...
Tutto tace
nella nebbia scura lamenti si levano al cielo.
Allora nel chiarore lunare
sul suo cavallo delle pugne,
di bianche ossa in un brillare,
apparì la Morte
e nel silenzio ode i gridi e le preghiere,
e piena d'appagato orgoglio
come un condottiero d'armate vittoriose
il campo tutto percorreva.
Salì su un colle e guardò,
poi sorridendo s'arrestò.
Su la pianura delle pugne levò la sua voce fatale:
Finita è la pugna! Io tutti ho vinto!
Tutti i guerrieri ho respinto!
La vita vi divise ed io vi placo.
Levatevi, ch'io vi veda, o morti!
Con marcia trionfale voi sfilerete,
i miei soldati io voglio contare:
poi nella terra le ossa porrete, per l'eterno riposo.
Gli anni invisibili poi passeranno,
le vostre gesta si scorderanno.
Io non vi scorderò e con gran fragore
la vostra morte io festeggerò!
Con pesante danzare l'umida terra calpesterò,
così che l'ossa vostre la tomba giammai possan lasciare,
né voi giammai vi possiate levar!

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 marzo 1973
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 24 maggio 1978


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Ultimo aggiornamento 5 dicembre 2018