Quarto Concerto in re minore


Musica: Niccolò Paganini (1782 - 1840)
  1. Allegro maestoso (re minore)
  2. Adagio flebile con sentimento (fa diesis minore)
  3. Rondò galante: Andantino gaio (re minore)
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, grancassa, archi
Composizione: 1829 - 1930
Prima esecuzione: Francoforte, Stadttheater, 26 aprile 1830
Edizione: inedito
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È nel 1828 che Niccolò Paganini, al culmine della sua carriera di concertista, abbandona l'Italia per impegnarsi in una tournée europea che lo terrà distante complessivamente per oltre sei anni dalla penisola. Nel 1828 il violinista si esibì a Vienna, Praga e Varsavia; e qui trovò fra il pubblico uno Chopin diciannovenne, che si affrettò a scrivere il Souvenir de Paganini. In seguito compì un giro in Germania, per essere acclamato negli anni successivi ancora a Parigi e in Inghilterra. La tournée europea di quegli anni non solo sottopose il violinista-compositore a una faticosissima pianificazione di impegni, ma rese anche necessario l'ampliamento del suo repertorio. In questa prospettiva si spiega la stesura di un nuovo Concerto, il Quarto, da usarsi nelle "accademie" pubbliche e private come preziosa variante rispetto ai precedenti. Nel febbraio 1830 Paganini poteva annunciare da Francoforte, in una lettera a un amico genovese, il completamento della partitura, eseguita il 26 aprile nella stessa città, con il consueto trionfo (va ricordato che nel nostro secolo il Concerto fu riproposto solamente nel 1957 da Arthur Grumiaux, che ne mise insieme la parte solistica e quella orchestrale, tramandata separatamente). Una esibizione di due settimane prima doveva lasciare un'impressione indelebile sul giovane Robert Schumann. Quest'ultimo dato è, in un certo senso, emblematico dell'influenza dell'arte di Paganini; per la giovane generazione romantica - per Schumann, ma anche per Liszt e Chopin - Paganini si proponeva come un modello da emulare; la contìnua tensione verso il superamento dei limiti tecnici appariva come una lezione di affermazione prepotentemente individualistica della personalità - e in questo risiede il significato altìssimo del suo virtuosismo, oggi fortunatamente non più inteso nell'accezione culturalmente riduttiva di tempi non ancora lontani. Eppure, accanto all'anima romantica e rivoluzionaria, l'arte di Paganini ne ha una classicistica e tradizionalista, che si traduce in un retaggio artigianale ancora legato ad una prassi in qualche modo settecentesca. Non a caso i suoi sei Concerti rimangono saldamente ancorati alla dialettica del Concerto classico, accogliendo ingenti suggestioni operistiche, soprattutto rossiniane.

Nel caso del Quarto Concerto è probabile che il contatto con la prassi musicale tedesca, che poteva vantare orchestre di qualità, stimolasse il compositore a curare con particolare attenzione la veste orchestrale, che si avvale di un certo spessore sonoro e di una sicura varietà nell'alternanza delle famiglie strumentali. Protagonista, comunque, è ovviamente il violino, che non esibisce mai un virtuosismo puro e fine a se stesso. Anzi, la natura del violino di Paganini, in questo Concerto come altrove, è dualistica. Da una parte troviamo l'espressione cantabile, elegiaca, affidata a una melodiosità pura e lirica; dall'altra parte invece il solista fa ricorso alle mirabolanti trovate destinate a stupire le platee europee, ma questi ultimi momenti sono convogliati in sezioni ben definite della partitura, in modo da acuire la tensione espressiva prima del ritorno, liberatorio, dei temi principali. La predominanza del solista ha anche un'altra conseguenza sull'organizzazione formale della partitura. Infatti, piuttosto che seguire i procedimenti tipici della scrittura di scuola tedesca, basati sulla elaborazione di pochi temi di base, Paganini preferisce basarsi su una logica paratattica, ovvero sulla successione e sull'avvicendamento di numerosissime melodie. Da questo deriva la straordinaria piacevolezza melodica del Concerto, frutto non di banalità creativa - come pure a lungo si è sostenuto rispetto all'invenzione del compositore - bensì di un preciso calcolo sugli effetti di tensione e compiacimento da ottenersi sull'ascoltatore.

L'Allegro maestoso che apre il Concerto comprende una vasta introduzione orchestrale, due episodi del violino, e una cadenza; ciascuno dei momenti solistici è preceduto e seguito da nuovi interventi dei "tutti". Il movimento si apre con una frase scattante dei violini, accompagnata in contrattempo da "colpi" orchestrali; il secondo tema è una variante della prima idea che si presenta in maggiore con un aspetto lirico, nonché affidato ai fiati; un ponte, chiuso sempre da pizzicati, lascia il posto a una nuova enunciazione del primo tema, e poi alla coda. Già nel primo intervento del solista troviamo l'alternanza fra le due fisionomie del violino di Paganini, quella intimistica e quella volitiva, che si alternano compiutamente e con equilibrio per tutto il movimento; lo sviluppo include nuovo materiale tematico, mentre la riesposizione è abbreviata e omette il primo tema. In mancanza dell'originale, la cadenza viene fornita dall'interprete.

Il secondo tempo è un Adagio flebile con sentimento che, in un elenco manoscritto di pezzi da stamparsi, fu affiancato dall'autore col disegno di un cuoricino; segno che questo movimento ha qualche sotterranea relazione con un legame sentimentale del violinista, intrecciato con la baronessa Helene von Feuerbach. Sebbene aperto con una severità degna della Marcia funebre dell"'Eroica" di Beethoven, questo Adagio è pervaso da un fraseggio levigato e sentimentale, ed è tutto incentrato su una atmosfera elegiaca, che certo deve più di un dettaglio alla celebre preghiera di Maometto Secondo (1820) e Assedio di Corinto (1826) di Rossini. Si tratta di un semplice Lied, con due sezioni gemelle inframezzate da una distensiva sezione in maggiore.

Il finale, (Rondò galante. Andantino gaio), il tempo più virtuosistico, è una sorta di remake della celebre "Campanella" del Concerto n. 2 con la presenza di un triangolo che si fa udire insistentemente sul refrain, un tema in 6/8 di ascendenza tzigana. Questo refrain oscilla fra il modo minore e quello maggiore, e viene alternato con due episodi assai differenti; non mancano le risorse prodigiose del violino, come l'episodio basato sugli armonici "doppi" alternati con passaggi in "saltato"; un effetto seducente, prima dell'ultima ripresa del refrain.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto in re minore n. 4 viene composto tra il 1829 e i primi mesi del 1830 durante la frenetica tournée nelle città tedesche. Da Francoforte Paganini così scrive all'amico Pietro Germi informandolo sulla sua presente attività compositiva: «Ho finito il Concerto in re terza minore [il quarto concerto] e ne ho cominciato un altro in la terza minore, [il quinto concerto] ma non ho tempo di finirlo, dovendo ancora strumentare l'altro.... Ho scritto pure una sonata con variazioni in beffa sulla corda G [= sol], che devo pure strumentare». Se si considera che Paganini non dà alcun concerto per circa due mesi e mezzo dopo il 19 gennaio del 1830, si può ben immaginare che egli fosse in gran parte assorbito dal comporre. Ripresa l'attività concertistica, si esibisce in tre concerti a Francoforte e, nell'ultimo di questi, (26 aprile del 1830), esegue per la prima volta il suo quarto concerto.

Il primo movimento, Allegro maestoso, inizia come di consueto con l'orchestra che espone il materiale tematico del maestoso movimento e funge da introduzione. Anche in questo concerto a un primo tema (in re minore) energico, quasi marziale, esposto dagli archi, segue una seconda idea più lirica nella tonalità della relativa maggiore (fa maggiore) enunciata dai legni, per poi ritornare alla tonalità d'impianto e concludere l'introduzione sul motivo iniziale del primo tema. Il solista riprende la testa del primo tema dell'orchestra ma poi lo svolge in maniera assolutamente libera, inventando nuove figurazioni di arpeggi, volatine, scale e altre ancora. Lo stesso percorso segue il secondo tema, una piacevole melodia accompagnata dal pizzicato degli archi; la sua cantabilità operistica cede però per due volte il posto a un pirotecnico sfoggio di passi a corde doppie e si conclude su una cadenza seguita da un nuovo intervento del tutti che ricapitola parte dell'introduzione. Il nuovo episodio del solista vede la riproposizione del primo tema in la minore che si apre repentinamente a improvvisi e appassionati squarci lirici per poi riprendere un corso di nuovo caratterizzato da acrobazie virtuosistiche. Come già nel precedente concerto la sezione conclusiva del movimento vede la riesposizione del secondo tema e dell'intera sezione corrispondente trasposto alla tonica ma nel modo maggiore. Il tutti riepilogativo serve a preparare la cadenza del violino e quindi portare a conclusione il movimento. Il secondo movimento, Adagio flebile con sentimento in fa diesis minore, in forma ARA, ha un patetismo commosso che ricorda il tono elegiaco del miglior Bellini. Introdotto da poche ma solenni misure del tutti, il solista dispiega una mirabile melodia di ampio respiro e di purissima cantabilità, rappresentazione strumentale del canto accorato di una eroina del melodramma romantico e il compositore limita molto le fioriture senza cedere alla tentazione di gratuiti virtuosismi. La sezione centrale (B) in la maggiore è una variante di questa melodia e presenta verso la fine un intenso e appassionato dialogo tra il solista e gli ottoni. Ritorna quindi abbreviata la prima parte e, nella coda, il dialogo tra il solista e l'orchestra e su di esso si conclude il movimento.

Il Rondò galante (Andantino gaio) riecheggia nel carattere, nella struttura e nella strumentazione il Rondò «della Campanella» con il tintinnio del triangolo che sostituisce i rintocchi del campanello. Anche qui il brano si articola nella forma ABACA, ovvero un ritornello intercalato da due strofe. Inizia il violino con l'esposizione della prima frase del tema, seguito subito dall'orchestra, quindi di nuovo il solista che la ripete variandola con delle aggiunte di diverse e nuove figurazioni ornamentali.

Il primo episodio, quasi interamente affidato al solista, si caratterizza subito per una serie di scintillanti passaggi virtuosistici, (arpeggi fin nel registro sovracuto e un ardito impiego del balzato). Ritorna quindi il ritornello sempre con l'alternanza solo-tutti-solo-tutti. L'episodio seguente è annunciato inaspettatamente da alcuni squilli di tromba e vede il violino impegnato a realizzare un particolare effetto timbrico basato sugli armonici doppi prima di lanciarsi nella parte finale in acrobatici arpeggi. Senza soluzione di continuità è ancora il solista a riesporre per l'ultima volta il ritornello con lo stesso gioco di alternanza con l'orchestra sino alla conclusione del movimento.

Nino Schillirò

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La composizione del quarto concerto di Nicolò Paganini è legata ad un episodio sentimentale, un'ennesima storia d'amore a non lieto fine di cui è cosparsa la vita del violinista. Nel 1829 durante il suo soggiorno a Norimberga, Paganini conobbe una giovane donna Helene von Feuerbach, moglie del Barone von Dobeneck che, innamoratasi di lui, decise di divorziare e di convertirsi al cattolicesimo in previsione di un suo matrimonio con l'artista genovese. Sebbene Paganini ne ricambiasse il sentimento, tuttavia interruppe bruscamente ogni rapporto alla sua partenza dalla Germania. Una lieve traccia di questo amore però sopravvive nel piccolo disegno di un cuore tracciato accanto all'«Adagio», secondo tempo del concerto, che figura con altri pezzi in un elenco di brani da stampare redatto dallo stesso Paganini.

I problemi legati alla forma del concerto con solista che impegnarono Paganini furono più o meno gli stessi che si presentarono a Chopln ed anche a Liszt. Mentre nel concerto beethovenlano il rapporto tra compagine orchestrale e solista veniva risolto sul piano dialettico dei contrasti e sull'equilibrato sfruttamento dei mezzi sonori, con Paganini ed anche con Chopin si assiste ad un divario insanabile fra solista ed orchestra a tutto vantaggio del primo. Come Liszt, Paganini ha un concetto trascendentale della tecnica del suo strumento. Se è vero che la tastiera lisztiana si è vertiginosamente arricchita di nuove possibilità espressive e tecniche, sfoggiando con regale padronanza una miriade di nuovi preziosi ornamenti, lo stesso vale per il violino di Paganini, fonte dei più impensati e riposti sortilegi tecnici. È dunque naturale che artisti virtuosi di uno strumento come questi, concentrino al massimo la loro attenzione e il loro interesse proprio sulle qualità e le risorse estreme offerte dallo strumento. Nei loro concerti si assiste perciò alle vittoriose e travalicanti imprese del violino o del pianoforte che davvero non ha tempo di indugiare per instaurare un dialogo con un'orchestra trattata il più delle volte con convenzionale e frettolosa correttezza.

Paganini circondava le sue composizioni di un grande mistero, non solo per mantenere salda la sua reputazione di virtuoso demoniaco, ma anche per precise ragioni economiche e di mestiere. Non pubblicando le sue musiche, Paganini si proteggeva dagli imitatori e da eventuali concorrenti, Aveva l'abitudine di distribuire le parti orchestrali immediatamente prima del concerto per recuperarle subito dopo l'esecuzione. Teneva per sé senza farla vedere a nessuno la parte solista. E' questa una delle ragioni che ha contribuito a rendere la scrittura strumentale sommaria e poco elaborata poiché la partitura doveva essere letta a prima vista anche da complessi orchestrali poco esperti.

L'orchestra del concerto n. 4 non viene meno a questa generica funzione di accompagnamento. Nonostante certe fragorose perorazioni, essa non supera mai quel grado di sottomissione assegnatole dal compositore. Il quarto concerto venne terminato in Germania nel febbraio del 1830. Fu eseguito per la prima volta dallo stesso autore a Francoforte sul Meno il 26 aprile dello stesso anno. Il concerto ebbe molte esecuzioni. Durante la tournée In Germania Paganini invitò Ludwig Spohr che era a Kassel, ad assistere ad una prova generale.

La partitura manoscritta fu scoperta nel 1936, ma solo nel 1954 si trovò a Parigi la voce solista fra le carte lasciate da Giovanni Bottesini,

Articolato in tre movimenti, il concerto inizia con un «Allegro maestoso» che si apre con una introduzione strumentale energicamente scandita dai violini. Questa uscita strumentale prepara adeguatamente il clima sonoro in cui farà la sua apparizione il violino solista. Sin dalla sua entrata il violino emerge come il vero protagonista e arbitro di tutte le situazioni musicali. Il suo tema viene sviluppato e variato in una sorta di gioco ritmico frenetico dove vengono impiegati i più ingegnosi espedienti tecnici, da cui deriva buona parte del carattere virtuosistico. Il secondo movimento è l'«Adagio flebile con sentimento», in fa diesis minore. È una pagina assai bella, ricca di espressione, sottolineata da quell'intenso patetismo che urgeva nell'animo di Paganini, causato dalla sua relazione amorosa con Helene von Feuerbach. Il brano ha il carattere di un'appassionata confessione ed apre uno spiraglio di luce viva nella complessa e spesso contraddittoria psicologia dell'artista. Il «Rondò galante: Andantino gaio» con cui si conclude il concerto, è In netto contrasto con la pagina precedente. Tutto il movimento è pervaso dal più autentico «furor» paganiniano. il virtuosismo brillante e trascendente, questa sfida dell'uomo contro i limiti contingenti, riprende il sopravvento.

Antonio Mazzoni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 novembre 1997
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 76 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto delMaggio Musicale Fiorentino, Firenze, Teatro Comunale, 15 novembre 1975


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Ultimo aggiornamento 18 aprile 2019