Grande concerto in mi minore


Musica: Niccolò Paganini (1782 - 1840)
  1. Risoluto
  2. Adagio
  3. Rondò ossia Polonese
Organico: violino solista, orchestra
Composizione: prima del 1815
Prima esecuzione: Londra, King's Theatre, 15 luglio 1831
Edizione: inedito

Orchestrazione di Federico Mompellio e Francesco Fiore
Guida all'ascolto (nota 1)

Il recupero del Concerto in mi minore è tra i frutti più cospicui della vasta opera di ricognizione intrapresa in questi ultimi anni dall'Istituto di Studi Paganiniani di Genova al fine di individuare, raccogliere e sistemare le carte del sommo violinista, disperse ai quattro venti in archivi, biblioteche, collezioni di privati e antiquari d'ogni parte d'Europa e alla Library of Congress di Washington. Tra i manoscritti di musiche inedite che l'Istituto paganiniano ha recentemente riportato in patria, acquistandoli da un antiquario inglese, figura anche questo Concerto, o, per meglio dire, quanto di esso è stato a tutt'oggi reperito, ossia la sola parte del «violino principale», corredata di un accompagnamento per chitarra; il tutto in copie non autografe, dovute a mani diverse. La presenza della chitarra come deuteragonista nella riduzione che sostituisce la partitura orchestrale mancante, si comprende conoscendo la predilezione di Paganini per questo strumento (del quale era buon esecutore), e la sua consuetudine di servirsene per accompagnare il violino nei concerti da camera e laddove non fosse disponibile un'orchestra. Secondo l'uso del tempo, la parte del «violino principale» conservataci nel manoscritto, negli episodi dei «Tutti» si identifica con quella dei restanti «violini primi», mentre le sezioni dei «Solo» riportano la parte propria dello strumento solista, ancora concepito come «violino di spalla» e tenuto, in quanto tale, ad unire la propria voce a quella degli altri «primi» durante i passi per sola orchestra. In altre parole, del Concerto in mi minore, oltre alla parte solistica che fu suonata da Paganini, rimane tutta quella dei «violini primi» limitatamente alle introduzioni e ai vari raccordi a sola orchestra; ciò che ha reso più facile e meno arbitrario il lavoro di chi si è sobbarcato il compito di ricostruire la modesta compagine dell'orchestra paganiniana, sulla traccia della riduzione chitarristica e avendo a modello le superstiti partiture complete.

Il Concerto in mi minore è ascrivibile agli anni giovanili del musicista ed è databile intorno al 1815; lo studioso paganiniano Pietro Berri ne ipotizza un'esecuzione alla Scala di Milano, il 16 giugno del '15, ed un'altra al Teatro Sant'Agostino di Genova, l'8 settembre dello stesso anno. Con esso, il numero dei Concerti paganiniani pervenutici in forma più o meno completa assomma a sei, riportandoci al periodo anteriore alla composizione del primo, in re maggiore (1817). Siamo dunque agli anni eroici del genio strumentale paganiniano, che ha già compiuto la rivoluzione dei Capricci ed ora sta tentando la forma del concerto in lavori disuguali e improntati a sperimentalismo.

Il Concerto in mi minore si articola nei tre tempi della tradizione, con ampio privilegio accordato al primo, un Risoluto svolto nello schema sonatistico secondo il procedere che è tipico dei compositori strumentisti italiani o di formazione italiana: il principio dell'elaborazione tematica, proprio dei Viennesi, vi è sostituito cioè dalla libera efflorescenza di vaste sezioni costruite su formule virtuosistiche, in alternanza a semplici iterazioni dei materiali melodici. Il vago senso di disagio avvertibile in questo primo movimento, dove la divagante inventività paganiniana stenta a rivestirsi di panni curiali sonatistici nei quali non si riconosce, scompare nel successivo, breve Adagio, e nel Rondò alla polacca, forse il brano meglio riuscito, per il pieno e felice identificarsi della sostanza musicale con i suoi presupposti formali, la misura raggiunta dall'elemento virtuosistico (nel presente Concerto, peraltro, contenuto entro limiti più che discreti, rispetto almeno alle incandescenti accensioni delle opere successive e dei Capricci), la varietà e la generosità dell'invenzione melodica.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 gennaio 1977


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Ultimo aggiornamento 15 giugno 2017