Sonata per la gran viola in do minore, MS 70


Musica: Niccolò Paganini (1782 - 1840)
  1. Introduzione: Larghetto. Recitativo a piacere
  2. Cantabile: Andante sostenuto
  3. Tema con Variazioni (tema, tre variazioni e coda) - Andantino
Organico: viola solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, grancassa, piatti, archi
Composizione: Londra, aprile 1834
Edizione: Istituto Italiano per la Storia della Musica, Roma, 1983 (viola e orchestra); Zimmermann, Francoforte s. M., 1986 (viola e chitarra)
Guida all'ascolto (nota 1)

Tra i recuperi succeduti a una certa Paganini-renaissance che in questi ultimi anni ha messo in subbuglio biblioteche e fondi privati, ripescandone cose più o meno interessanti, emerge per l'intrinseco valore, la rarità di contributo ad una letteratura quantitativamente non certo cospicua e la curiosità documentaria, la Sonata «per la grande viola», pervenutaci autografa nella duplice versione con orchestra e con accompagnamento di chitarra (senza contare una terza fonte, non autografa, consistente in una riduzione per viola e pianoforte). Secondo una tradizione tipica di certe scuole violinistiche italiane, e tuttora perdurante, anche Paganini usava esercitarsi con la viola per irrobustirvi la mano sinistra sulla tastiera, più ampia di quella del violino, e ne consigliava la pratica agli allievi. Re Mida dell'archetto, il diabolico Genovese finì per contagiare anche la viola, come la chitarra, della propria incontenibile libido virtuosistica. Si comprò una bagattella di strumento firmato da Stradivari (e sciaguratamente andato disperso), dalle dimensioni superiori al normale, anche se pare che la sua cassa armonica fosse inferiore ai 47 centimentri della «viola medicea» custodita al Conservatorio di Firenze.

Con la sua «grande viola», come era solito chiamarla, Paganini tenne diversi concerti, ed è risaputo che incaricò Berlioz di scrivergli qualche cosa. Quello che ne seguì è altrettanto noto. Paganini (e quando mai virtuoso lo fu di un lavoro altrui, a sé destinato?) si dichiarò insoddisfatto della composizione di Berlioz, cui non restò che utilizzare quel materiale per l'Aroldo in Italia. Il pezzo, allora, Paganini se lo scrisse da sé, e, nell'aprile del 1834, lo eseguì per la prima volta a Londra, ottenendone un successo paganiniano. La Sonata si articola come una specie di «Fantasia», presentando una successione di movimenti culminanti nelle conclusive, acrobatiche variazioni. Un breve «Larghetto» introduttivo è seguito da un Recitativo-Aria, secondo uno schema assai caro a Paganini ed evidentemente ricalcato dal melodramma. Alla melodia del Cantabile, tutto molle fluire di seste e terze parallele della viola su accompagnamento di terzine, tiene dietro, in funzione di ideale «cabaletta», il temino alla Rossini da cui scaturisce il gioco pirotecnico delle variazioni sempre più vistosamente difficili. All'orchestra (è superfluo notarlo) qui, come del resto nei Concerti, non rimane gran che da dire. Meglio pensare alla chitarra, maneggiata, si presume magistralmente, da una delle innumerevoli «amatrici» e zelanti accompagnatrici del Nostro.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 gennaio 1977


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Ultimo aggiornamento 3 giugno 2017