La sacra rappresentazione d'Abram e d'Isaac

Musica di scena in un atto con un prologo e tre quadri

Testo del libretto

Il testo, consultate le più antiche stampe detta Biblioteca Palatina di Firenze, fu esemplato sulle edizioni ugualmente autorevoli del Galletti e del D'Ancona. Nella grafia e nella punteggiatura si preferì accostarsi all'uso moderno, conservando le forme arcaiche quando la metrica e la rima lo imponevano; le poche che affiorano qua e là sono semplici e note, e giovano a conservare la patina del tempo senza disturbare gli uditori.

Alle didascalie dell'originate, che furono conservate quasi integralmente, vennero aggiunte quelle che si coordinano al commento musicale, suggerito esso stesso dalla interpretazione delle varie fasi del dramma.

Del testo furono omesse pochissime ottave, nelle quali l'autore popolaresco ripete e ragiona per il suo uditorio primitivo di fedeli. Non in queste parti si respira l'atmosfera di religiosità semplice e adorna e si gusta l'ingenuo sapore di cui è pervasa l'opera dello scrittore quattrocentesco.

Per non frammentare la cantata dell'angiolo sul monte, la seconda ripresa è stata collegati con la prima; per accompagnare il commento musicale, che intercala nella descrizione del triduo viaggio il ricordo di Sarra, si è immaginata una prima comparsa di questo personaglio, che annunzi, quasi, e prepari la scena della sua disperazione: per coordinare l'azione agli scomparti scenici quali vennero ideali per la più vivace interpretazione del dramma, il primo appello d'Isacco al padre è stato trasposto.

È quasi certo che, nella prima rappresentazione dell'"Abram e Isaac", fatta in Firenze, nella Chiesa di S. M. Maddalena, in luogo detto Cestelli, l'anno 1449, la scena si componeva di tante parti fisse, dette "luoghi deputati". Tale semplicità non essendo oggi conforme al gusto del pubblico, anzi nocendo all'impressione del complesso, si sono adottati i cambiamenti di scena, a cui sono avvezzi gli spettatori contemporanei. Ne apparvero necessari due: quindi l'opera è risultata divisa in tre parti; e nella prima, per il viaggio al monte del sacrificio, si è cercato inoltre l'ausilio dell'avanscena.

Onorato Castellino


L'ANNUNZIO DELLA FESTA

L'ANGELO ANNUNCIATORE
Nel Genesi la santa Bibbia narra
Come Dio volse provar l'ubidienza
Del Patriarca Abram sposo di Sarra
E per un angiol gli parlò in presenza:

E sì gli disse: togli il tuo figliuolo
Unigenito Isac, il qual tu ami,
E di lui fammi sacrificio solo:
E mostrerotti il monte, perché brami
Saper il loco; e non menare stuolo:
Và, ch'io tel mostrerò senza mi chiami:
Cammina per la terra aspra e diserta,
E fammi sol del tuo flgliuol offerta.

Isaac disse allora: o padre mio,
Dov'è, la bestia che debb'esser morta?
Abram rispose: il nostro grande Iddio
Provederà ch'ella ci sarà porta:
Fa' pur aver in lui tutto il disio,
E questo peso volentier sopporta.
Qualunque serve a lui con puro core
Sostiene ogni fatica per suo amore.

Questo parlar d'Isac era un coltello,
Che 'l cor del santo Abram feriva forte,
Pensando ch'al figliol suo dolce e bello
Con le sue propie man dovea dar morte:
Ma del servire a Dio avendo sete
Volse ubidir, siccome voi udirete.
L'Angelo si parte.

PARTE PRIMA.

Le case di Abram, sparse sullo spiazzo erboso, raccolte attorno alla corte, e chiuse di lontano da una bassa siepe.
A destra, l'abitazione del Patriarca e degli uomini. L'entrata ha, in luogo della porta, una tenda: nella parete verso la corte è una finestrella molto visibile.
A sinistra, s'intravvede la dimora di Sarra e delle ancelle: da lato, il pozzo.
In fondo, il monte.
All'aprirsi del velario è ancor notte. A poco a poco albeggia. Il chiarore dell'alba è però vinto da un vivo raggio che, scendendo dai cielo, va per la finestrella a scoprire in piena luce Abram che dorme, rivelando, accosto a lui, Isacco e i famigli.
Dentro quel raggio, scende l'Angiolo il quale chiama Abram.
L'ALTRO ANGELO
Abram, Abram, odi il divin precetto:
Con tutto il cor sincero Isaac prendi
Unigenito tuo figliol diletto,
Il qual tu ami, e sopra il monte ascendi,

Che tu vedrai dinanzi al tuo cospetto:
E di lui fammi sacrificio, e intendi
Ben quel ch'io dico, e va per via selvaggia,
E fa che 'l mio parlar invan non caggia

Abram come sente l'Angiolo, di subita si leva dal letto stupefatto ed inginocchiasi: e come l'Angiolo ha detta la stanza si parie.
Abram sta ginocchioni quasi non credendo a sè stesso, e conquistando con tremore, a poco a poco, la consapevolezza del sacrificio al quale Dio lo chiama.

ABRAMO
Come tu vedi, o santo Dio eterno,
I' son disposto a far quel che tu vuoi,
Quantunque alla mia mente paia scherno
Per quel che tu promesso avevi a noi,
Dicendo: Io farò patto sempiterno
Col tuo figliuolo, e si gli darò poi
Gran terre e gente senza alcun inganno
E molti re d'Isaac nasceranno.

Non debbe il servo del suo buon signore
Cercar ragion di suo comandamento.
Essendo Dio, tu meriti ogni onore,
Onde ubbidirti vo' con mio tormento.
Tu se' l'Onnipotente Creatore,
E puoi far vero ogni tuo parlamento;
E così debbo credere e sperare,
Ch'essendo morto il puoi risuscitare.

Detto questo, Abram ai rizza, e va, a chiama Isaac, e dice cosi:

Sta' su, Isaac mio, più non dormire,
Odi il voler del nostro eterno Dio:
Imposto m'ha ch'i' vada ad offerire
El sacrificio santo, giusto e pio:
Però disponti di voler venire
Ad aiutarmi far l'obbligo mio,
Abbi la volontà presta e non lenta,
E guarda ben che Sarra non ti senta.

Isaac si alza. Abram va e chiama due famigli e dice cosi:

State su, servi miei, fedeli e saggi,
Andate presto, e l'asino sellate;
Prendete tanto pan che ciascun n'aggi
Per giorni sei, quant'è necessitade;
Camminar voglio per luoghi selvaggi.
Sì dell'acque ancor vo' che portiate,
E sopra tutto fate in cotal forma,
Che non destiate in casa alcun che dorma.

I due servi sono andati dentro alla casa e ne escono, uno con l'otre vuoto e l'altro con una bisaccia ripiena: e si fanno innanzi ad Abram chi si apparecchia a dare altri comandi.

Fate d'aver di legno un gran fastello
Per poter fare il sacrificio santo;
Prendete ancor del'fuoco, ed un coltello,
E appresso a noi andrete innanzi alquanto:

Il primo servo corre al pozzo a riempire l'otre e l'altro alla stalla che s'immagina dietro la casa. Quest'ultimo ricompare conduccndo l'asino e un fascio di legne. Poichè tutti e due si sono accostati a caricar le robe sulla groppa della bestia, Abram interviene:

Fate con fatti appien quanto favello,
Sì che di voi mi possa poi dar vanto,
E, non essendo ben la bestia doma,
Curate sì che non caggi la soma.

I servi fanno quanto Abram dice, e mettono in punto l'asino e il coltello e le legne: Abram quando vede ogni cosa in punto, e poichè il figlio coi servi lo circondano rispettosi ed aspettanti, si volge a tutti e dice:

Camminiam dunque col divino aiutò,
Perocché in punto son tutte le cose,
E nessun per la via sia dissoluto
In suo' pensieri, o in parole oziose:
Ciascun ripensi s'egli è mai caduto
Contra ragione in cose viziose,
E d'ogni colpa a Dio chieghiam perdono,
Rendendo grazia a lui d'ogni suo dono.

I servi si pongono in cammino. Isaac, colpito dalla solennità di quei preparativi e dalla frettolosa partenza, indugia a dare uno sguardo alla sua casa e muove I passi verso la stanza della madre, dalla quale sta per allontanarsi senza prima darle un saluto. Abram gli ai accosta, quasi si sente vacillare, ma di colpo ai rianima, abbraccia il figliolo, gli addita il cammino, s'avvia con lui. La comitiva passa sul fondo incamminata verso la strada del monte, e scompare dagli occhi dello spettatore.
Or ecco Sarra si leva dal suo luogo: si guarda attorno come trasognata e presaga, corre alla camera di Abram e d'Isaac, e, non vedendoli mostra meraviglia. Il turbamento si muta in affanno, ed casa corre a cercar notizia di quanto è accaduto.
Scompare la vista delle case di Abram, e si torna a vedere la brigata che cammina verso il monte. Sono giunti ai piedi dell'erta. Sostano. Abram si accomiata dai servi.

ABRAMO
O cari servi miei, udite alquanto
Il mio parlar con l'intelletto vostro:
Essendo giunti a piè del monte santo
Nel qual faremo il sacrificio nostro,
Aspettateci qui coll'asin, tanto
Che noi andiam nel monte ch'i' vi mostro,
E quando avrem sacrificato, noi
Tornerem presto in questo luogo a voi.

I servi si allontanano alquanto e, trovato il luogo adatto, al sdraiano e riposano.
Abram ha levato dalla groppa dell'asino il fastello di legna, la pietra focaia, e il coltello: quindi dice a Isaac :

ABRAMO
O dolce Isaac, mio, caro figliuolo
Porta sopra di te questo fastello
E su nel monte vien meco tu solo,
Ed io porterò il fuoco e 'l gran coltello:
E per amor di Dio sostien tal duolo,
Che grazia ci è di poter servir quello.
Abbi sempre al ben far la voglia verde,
Perocché nessun ben giammai si perde.

Abram e Isaac, continuando la loro strada, scompaiono dalla vista degli spettatori.
In questo punto Sarra chiama tutti quegli di casa sua domandando di Abram e di Isaac piangendo, e dice così :

SARRA
O tutti quanti voi di casa mia,
Per Dio, udite quel che vi favello:
Ecci verun che sappi dove sia
El nostro Abram e 'l mio Isaac bello?
Già son tre giorni che gli andaron via:
Nel cor mi sento battere un martello;
E 'l lor partirsi senza farmi motto
M'ha di dolor la mente e 'l corpo rotto.

Uno de' servi risponde a Sarra e dice così:

SERVO
Madre benigna, reverenda e santa,
Di quel che parli non sappiam niente:
Veggendati sommersa in doglia tanta,
Di loro abbiam domandato ogni gente;
Di sapergli trovar nissun si vanta,
Ma ben crediam che fien qui prestamente:
Sempre si vuol, dove non è rimedio,
Sperar in Dio, fuggendo angoscia e tedio.

Dipoi Sarra si volge in altra parte e dice:

SARRA
O patriarca Abram, signor mio caro,
O dolce Isaac mio, più non vi veggio:
El riso m'è tornato in pianto amaro,
E, come donna, vo' cercando il peggio;
Signor del cielo, s'io non ho riparo
Di ritrovargli più, viver non chieggio.
Men doglia mi era di sterile starmi,
Che del marito e figliuol mio privarmi.

SERVO
Deh non dir più così, madonna nostra,
Che Dio non abbandona i servi suoi.

SARRA
I' veggio ben che la carità vostra
Vi fa parlar quel che vorresti voi.

SERVO
Caccia da te quel pensier che ti mostra
Che e' non possin ritornare a noi.

SARRA
Come mi posso contener del pianto,
Privata del marito e 'l figliuol santo?

Annotta. Sarra rientra nella sua casa, accompagnata e sostenuta dalle ancelle.

PARTE SECONDA.

Albeggia.
La luce del mattino scopre a poco a poco il vertice, poi i dorsi del monte.
A deatra appaiono, da un ronchio, salendo già stanchi, Isaac e Abram.
Isaac posa il fastelletto di legne e guarda il padre con nuove e ansiose interrogaaioni.

ISAAC
O reverendo padre, ecco le legne,
Ecco il fuoco e 'l coltel nella man vostra
Da poter far l'offerte sante e degne,
Ma l'animal ti priego, ora mi mostra.
Di mandrie o pecorai non veggio insegne,
Di chi dunque farem l'offerta nostra?
Noi siam qui in luogo silvestro e diserto;
Priego mi faccia di tal dubbio certo.

Abram gli risponde, e in questa risposta profetizza, non conoscendo la profezia:

ABRAMO
El nostro grande Iddio, figliuol mio buono,
Provederà dell'animal che dici:
Abbi il tuo cuor a lui, com'io ragiono,
Sì che sien grati i nostri sacrifici:
Chi vuol da Dio ricever gran perdono,
Ed acquistar suoi grandi benefici,
Con fede in verso lui la mente spanda,
E faccia volentier quel ch'e' comanda.

Abram vede che ormai è tempo di rivelare al figlio la cagione del misterioso viaggio; scioglie dunque il nodo della pena, e piangendo dice:

ABRAMO
O dolce e caro figliuol mio,
Odi 'l parlar del tuo piangente padre:
Con tanti voti, prieghi e gran disio,
Essendo vecchia e sterile tua madre,
Io ti acquistai dal magno eterno Iddio,
Nel nostro ospizio albergando le squadre
De' poveri, pascendogli del nostro,
Servendo sempre a Dio, com'io t'ho mostro.

Quando nascesti, dir non si potrebbe
La gran letizia che noi ricevemmo;
Tanta allegrezza nel cor nostro crebbe,
Che molte offerte a Dio per te facemmo;
Per allevarti, mai non ci rincrebbe
Fatica o spesa grande che ci avemmo,
E per grazia di Dio t'abbiam condotto
Che tu se' sano, ricco, buono e dotto.

Nessuna cosa stimai più felice
Che di vederti giunto in questo stato
Per poterti lasciar, come si dice,
Erede in tutto del mio principato;
E similmente la tua genitrice
Gran gaudio avea dall'averti allevato,
pensando fussi bastone e fortezza
Da sostener omai nostra vecchiezza.

Ma quello eterno Dio che mai non erra,
A maggior gloria ti vuol trasferire,
E non gli piace al presente, per guerra
O per infermità farti morire,
Ma piace a lui ch'i' ti debba offerire
Nel suo cospetto in santo sacrificio,
Per la qual morte arai gran beneficio.

Isaac, tutto sbigottito, piangendo risponde ad Abram, e dice così:

ISAAC
Come hai tu consentito, o padre santo,
Di dar per sacrificio sì gran dono?
Per qual peccato debbo patir tanto
Crudo tormento, senza alcun perdono?
Abbi pietà del mio innocente pianto,
E della bella età nella qual sono.
Se del camparmi non mi fai contento,
Io farò una morte, e tu poi cento.

O santa Sarra, madre di pietade,
Se fussi in questo loco io non morrei;
Con tanti pianti e voti ed umiltade
Pregherresti il Signor, ch'i' camperei.
Se tu m'uccidi; o padre di bontade,
Come potra' tu ritornare a lei?
Tapino a me, dove sono arrivato?
Debb'esser morto, e non per mio peccato!

Tutta è l'anima mia triste e dolente
Per tal precetto, e sono in agonia.
Tu mi dicesti già che tanta gente
Nascer doveva della carne mia:
Il gaudio volge in dolor sì cocente.
Che di star ritto non ho più balìa;
S'egli è possibil far contento Dio,
Fa ch'i' non muoia, dolce padre mio.

ABRAMO
facendo violenza al suo cuore angosciato, dice a Isaac:
El nostro Dio, che è infinito amore,
Sempre più che te stesso amor ti porta,
Ed ancor ti farà maggior signore,
Perché susciterà tua carne morta.
E non fu mai mendace parlatore:
Sicché di tua promessa or ti conforta,
E credi fermo quel che Abram ti dice,
Che tu sarai al mondo e 'n ciel felice.

ISAAC
rassegnato, anzi trasfigurato nell'accettazione del sacrificio, risponde:
O fedel padre mio, quantunque il senso
Pel tuo parlar riceva angoscia e doglia,
Pure, se piace al nostro Dio immenso
Ch'i' versi il sangue ed arsa sia la spoglia
In questo loco sopra il fuoco accenso,
Vo' far contenta l'una e l'altra voglia,
Cioè di Dio e di te, o dolce padre,
Perdendo tante cose alte e leggiadre.

Giusto non era che mai fossi nato
Se io volessi a Dio mal contradire,
O s'io non fussi sempre apparecchiato
A te, buon padre, volere obedire:
Io veggo ben che '1 tuo cuore è piagato
Di gran dolor pel mio dover morire;
Ma Dio che siede sopra il ciel empirlo
Ci premierà di questo tal martirio.

ABRAMO
bacia in bocca Isaac e dice:
La santa tua risposta, o dolce figlio,
Ha mitigato alquanto il mio dolore,
Dappoiché tu consenti al mio consiglio
Per obbedire al nostro gran Signore:
Dinnanzi a lui tu se' qual fresco giglio
Che dà suave e grande e buono odore;
E cosi sempre con Dio viverai,
Se questa morte in pace sosterrai.

Com'io ti dissi nel parlar di pria,
Volgi in verso di Dio tutte le vele.
Tu non morrai di lunga malattia,
Nè divorato da fiera crudele.
Ma nell'offerta, degna, santa e pia,
E per le man del padre tuo fedele:
Dunque, se dal mio dir non ti diparti,
Lasciati nudo spogliare e legarti.

Abram spoglia Isaac, e lo pone in tu l'altare, e gli lega le mani dietro e dice:

Se tutto 'l tempo che l'uom vive ai mondo
Facessi ciò che Dio gli avesse imposto,
E quando giugne a questo grieve pondo
Del suo morir non fosse ben disposto,
Non fruirebbe mai nel ciel giocondo
L'Eterno Dio, anzi sarebbe posto
Già nell' inferno in sempiterne pene;
Però priega il Signor che muoia bene.

ISAAC
alza gli occhi al cielo e piangendo dice:
O vero sommo Dio, se mai t'avessi
Per ignoranza in alcun modo offeso,
Priego che m'abbi i mie' vizi rimessi,
E fammi tanto del tuo lume acceso
Ch'e mie' pensier sien tutti in te impressi,
Per esser tra gli eletti in ciel compreso:
Dunque, se vuoi che sia teco congiunto,
Fammi costante e forte in questo punto.

Poi si volge al padre e dice:

O dolce padre mio, pien di clemenza,
Riguarda me condotto al punto stremo:
Priega l'eterno Dio che sua potenza
Mi faccia forte, perché alquanto temo:
Perdonami ogni mia disubbidienza;
Che d'ogni offesa con tutto il cor gemo;
Ma prima ch'io' patisca passione,
Priego mi dia la tua benedizione.

ABRAMO
alzando gli occhi ai cielo, dice questa stanza:
Da poi che t'è piaciuto, eterno Dio,
Avermi messo a questo passo stretto,
Col cor ti priego quanto più poss'io,
Che da te sia Isaac benedetto:

benedice Isaac

Con tutta l'alma e con ogni disio
Ti benedico, figliuol mio diletto.

Colla mano sinistra piglia Isaac per i capelli e nella man destra tiene il coltello.

E tu, Signore, poi che t'è in piacere,
Sia fatto in questopunto il tuo volere.

Abram alza il braccio per dare del coltello in su la testa a Isaac, e presto apparisce un Angiolo. Alle prime voci del cielo, Abram, smarrito, arresta il braccio, lascia cadere il coltello e cade a ginocchi.

ANGELO
Abram, Abram, non distender la mano
Sopra Isaac tanto giusto e pio,
E non versare il santo sangue umano
Del tuo figliuol fedel buon servo mio:
Tu non hai fatto il mio precetto vano,
Ed or conosco ben che temi Dio,
Dappoiché per amor non perdonavi
Al tuo figliuolo, al qual tu morte davi.

Abramo, col viso splendente di gioia, fa per alsarsi. Al nuovo appello dell'Angelo, aperte le braccia in segno di beatitudine, ascolta le celesti profezie.

VOCI DAL CIELO (Coro)
Abram, Abram, ascolta, el mio parlare.
Dice il Signor: per me proprio giurai,
Per quel che non volesti perdonare
Al tuo figiiuol, come te comandai,
El seme tuo farò moltiplicare
Come le stelle del ciel ch'i' creai.
Ed ancor come la rena del lito
Del mare, e questo e fermo stabilito.

El seme tuo possederà le porte
De' suo' nimici, e saran benedette
Tutte le genti di ciascuna sorte
Nel tuo ben seme, perchè si perfette
Son l'opre tue, ch'a tanta dura morte
Ponesti il tuo figliuol che forte stette,
A cui darò ricchezza e signoria,
Perchè ubbidisti alla gran voce mia.

L'Angiolo detto questo sparisce e Abram tutto lieto scioglie Isaac e dice:

ABRAMO
Lieva su ritto, o figliuol dolce e buono,
Alza il tuo core' al nostro eterno Dio,
E rendi grazie a lui di sì gran dono,
Che vedi quanto egli è clemente e pio.
Duo gaudii magni al presente in me sono
Che fanno giubilar tutto il cor mio;
L'un d'aver fatto ogni divin precetto,
L'altro vederti salvo e sì perfetto.

Isaac stando ginocchioni sull'altare ringrazia Dio dicendo:

ISAAC
O infinito amore, o sommo bene,
O carità eterna, o Dio immenso,
Ringraziarti vorrei qual si conviene,
Ma non mi basta il cor, la voce e il senso:
Campato m'hai da tante mortal pene,
Per tua pietà, che quanto più ci penso
Più mi ritrovo in eterno obbligato,
E forse temo non essere ingrato.

Isaac si veste, e discende l'altare, e Abram voltandosi vede uscire di tra i pruni un montone, e dice:

ABRAMO
Guarda se 'l nostro Dio è clementissimo,
Che conoscendo il nostro desiderio,
Ha provveduto d'un monton bellissimo,
E qui tra' pruni è posto in gran misterio;
Del qual vo' far sacrificio, santissimo
Per te, figliuol, che sei mio refrigerio;
E mentre che facciamo il sacrificio
Laudiamo Dio di sì gran beneficio.

Pigliano il montone, e lo sacrificano su l'altare.

ABRAM e ISAAC
Grazie rendiamo a te, Signor pacifico,
Che ci donasti tanta fortitudine;
Accetta questo don che ti sacrifico,
Il qual ponesti in quella solitudine;
Col cor ti priego e con lingua specifico,
Che ci conduchi a tua beatitudine;
E questo loco chiamo per memoria,
El Signor vede, a tuo trionfo e gloria.

Isaac prende 11 coltello in mano, e discende il monte giubilando e con allegrezza dicendo:

ISAAC
Tutto se' dolce, Dio Signore eterno,
Lume, conforto e vita del mio core:
Quando ben mi t'accosta allor discerno
Che l'allegrezza è senza te dolore:
Se' tu non fussi, il ciel sarebbe inferno,
Quel che non vive teco sempre muore:
Tu sei quel vero e sommo ben perfetto,
Senza il qual torna in pianto ogni diletto.
PARTE TERZA.

Si muta la scena.
Tornano alla veduta degli spettatori le case di Abram.
Iaaac e Abram ricompaiono allo svolto di sentiero per cui erano dapprima scomparsi.
Rapidamente, sul cominciare della salita vanno loro incontro i servi, e uno dice:

SERVO
Voi siate ben trovati, signor nostri,
Molto ci piace, Isaac, il tuo buon canto:
Nel giorno d'ier parevano i cor vostri
Pieni d'angoscia, di dolore e pianto;
Oggi con fatti e con parole mostri
D'esser in voi un magno gaudio santo,
Onde preghiam ci dica la cagione,
Se lecito è, di tal consolazione.

ISAAC
a' servi
Et sacrificio offerto in questo giorno
È stato tanto accetto e grato a Dio,
Per più cagion che l'hanno fatto adorno,
Che di cantar non si sazia il cor mio:
Ma quando a Sarra arem fatto ritorno
Adempirem il vostro buon disio.

SERVO
a Isaac
Giusto non era, nostra gran colonna,
Che cel dicessi in prima che a madonna.

Sarra, intanto, quasi obbedendo a un richiamo, e accorrendo alla voce di una della donne, è uscita dalle stanze, e va loro incontro. Prima abbraccia Isaac, e dipoi Abram, e piangendo dice:

SARRA
Dolce figliuol, conforto del mio core,
Nel tuo partir perché non mi parlasti?
O santo mio compagno e, buon signore,
In quanti affanni e pene mi lasciasti!
Ha meritato questo il grande amore
Ch'io v'ho portato, che voi mi celasti
Vostra partita? e son sei giorni stata
Più ch'altra donna afflitta e tributata.

Abram si pone a sedere e Sarra accanto a lui, e Isaac dice:

ISAAC
Risponder voglio, o santa genetrice,
Per consolar la tua afflitta mente:
In questo punto fatta sei felice
Più che donna che al mondo sia vivente:
Per ubbidire all'uom giammai non lice
Disubbidire a Dio onnipotente:
Dunque non ti doler, ma tutta lieta
Intendi ben nostra andata secreta.

El massimo monarca, eterno Dio
Volse il nostro fedel Abram provare,
E cornandogli che del corpo mio
Dovesse santo sacrificio fare.
E lui con un secreto mormorio
Mi fe' levar di notte, e camminare;
Avendo nel suo cuore impresso e sculto
Questo precetto, a tutti il tenne occulto.
Abram, di santa ubbidienza fonte,
Mi menò seco senza dirmi questo,
Ma quando fummo saliti in sul monte
Mi fe' il divin precetto manifesto,
E con buon modo e con parole pronte
A quella morte mi dispose presto,
E legommi le man nudo spogliato
E in su le legne m'ebbe collocato.

Alzando il braccio per volermi dare
Con questo gran coltello in su la testa,
L'angiol di Dio li cominciò a parlare
Prendendo la sua' man dicendo: questa
Morte non voglio che tu faccia fare
Al tuo figliuol, e non gli dar molestia:
Allor mi sciolse, e con gran riverenza
Rendemmo laude a Dio di tal clemenza.

Voltossi Abram, e vide un bel montone
Posto tra' pruni miracolosamente.
Il quale offerse con gran divozione
Sopra del fuoco per me innocente:
Di nuovo Dio gli fe' promissione
Di molti beni, e come tutta gente
Sarebbe nel tuo seme benedetta:
Dunque felice sei, madre diletta.

SARRA
meravigliandosi dice:
Pel tuo parlare io son tanto smarrita
Che li spiriti miei sento mancare:
Miracolosamente io t'acquistai,
Con miracol maggior sei ritornato,
Perché finiti son tutti i miei guai:
Con tutto il cor il Signor sia laudato:
Per satisfare al dolor ch'io portai
Vo' che si canti e balli in questo lato;
Ciascun in compagnia dell'Angiol buono
Ringrazi Dio di questo magno dono.

Tutti insieme, eccetto Abram e quei due Angeli, uno che annunciò la festa, e l'altro che gli apparì in sul monte, continuandosi il canto della lauda, fanno un ballo. Anche Sarra, arrendendosi al general tripudio, seconda la festa con brevi accenni di danza.

CORO
Se voi volete aver letizia molta
Servite a Dio con tutti e' vostri affetti:
Egli è quel fonte de' piacer perfetti
Che fa giocondo ogni suo servitore.
Chi serve a Dio con purità di core
Vive contento e poi salvato muore

Fatto il ballo, l'Angiolo licenzia il popolo.

ANGELO
Chiaro compreso avete il magno frutto
Dell'osservar tutti i divin precetti,
Perocché 'l nostro Dio signor del tutto
Ha sempre cura de' suo' servi eletti:
Se disporrete trarne buon costrutto
Terrete e' vostri cor da colpe netti;
E 'nnamorati di santa ubidienza,
Ciascun si parta con nostra licenzia.


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Ultimo aggiornamento 1 aprle 2020