Canti della stagione alta

Concerto per pianoforte e orchestra

Musica: Ildebrando Pizzetti (1880 - 1968)
  1. Mosso e fervente, ma largamente spaziato
  2. Adagio
  3. Rondò: Allegro
Organico: pianoforte solista, ottavino, flauto, oboe, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, grancassa, piatti, tam-tam, archi
Composizione: Villa Amonn di Oberbozen, 12 luglio - 3 settembre 1930
Prima esecuzione: Roma, Teatro Augusteo, 2 aprile 1933
Edizione: Ricordi, Milano, 1933
Guida all'ascolto (nota 1)

Singolare figura quella di questo nostro musicista: compositore del nostro tempo senza dubbio, ma che nessuna teoria preconcetta, nessuna tendenza estetica più o meno alla moda, nessuna modificazione (altro dire: arricchimento) al linguaggio musicale ha fatto sviare dalla meta che s'era prefissa, né dalla via che intendeva percorrere. Fra i compositori del tempo nostro è forse il solo, il cui sviluppo sia stato dominato da una coerenza, da un profondo bisogno di sincerità tanto da farne quasi un «isolato». In lui l'espressione musicale nasce da una vera e sentita necessità interiore, nasce da un'emozione, e sotto questo aspetto si potrebbe dire che la più gran parte della sua produzione è autobiografica; ma di certo autobiografismo rifiuta il pittoresco, l'anedottico, il sentimentalismo spicciolo e contingente. La musica di Pozzetti è autobiografica perché rispecchia veramente la vita interiore dell'artista, purificata dalle scorie della cronaca quotidiana. Per questo la sua arte non ci lascia mai indifferenti: perché è sempre una espressione umana, quindi autentica.

I Canti della stagione alta, composti nel 1930, se stanno fra le due esperienze decisive del Concerto dell'estate e del Concerto per violoncello e orchestra, non si presentano come un «concerto» per pianoforte e orchestra, ma come una composizione, musicale dove il pianoforte è protagonista: la ricchezza e l'eloquenza della parte orchestrale stanno allo stesso livello dell'ampiezza e dell'intensità melodica della parte pianistica. Ma è sempre il pianoforte che conserva il suo ruolo di protagonista: a lui infatti sono affidate le esposizioni di entrambi i temi del primo tempo: ancora a lui è affidato il canto dell'Adagio che l'orchestra fiorisce di episodi e disegni secondari. E sul finire dell'Adagio s'incatena senza soluzioni di continuità il Rondò finale, il cui tema annunciato dall'orchestra è continuato e integrato dal pianoforte; a questo segue un episodio lento: poi la ripresa del tema e del tempo iniziale fino al largo che conclude l'opera con un richiamo allo spirito melodico che anima il I tempo.

Domenico De Paoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 5 aprile 1964


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Ultimo aggiornamento 17 novembre 2016