Sinfonia n. 3 in do minore, op. 44


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Moderato
  2. Andante
  3. Allegro agitato
  4. Andante mosso. Allegro moderato
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, rullante, piatti, tamburo basco, tam-tam, castagnette, campane, archi
Composizione: 1928
Prima esecuzione: Parigi, 17 maggio 1929
Edizione: Édition Russe de Musique, Parigi, 1931
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le delusioni per la mancata rappresentazione dell'opera L'Angelo di fuoco, scritta dal 1922 a Ettal in Germania e tratta su libretto dello stesso musicista dal romanzo del poeta simbolista russo Valeri Jakovljevic Brjusov (1873-1924), spinsero Prokof'ev a utilizzare le pagine sinfonicamente più robuste della partitura, a cominciare dai travolgenti interludi, per la sua Terza Sinfonia in do minore op. 44, completata nel 1928 ed eseguita per la prima volta a Parigi nel 1929 sotto la direzione di Pierre Monteux. Quindi per capire meglio l'atmosfera espressiva e l'accesa tensione strumentale della sinfonia è opportuno rifarsi all'opera originale, il cui soggetto si dibatte in un mondo di diavolerie, pregiudizi, esorcismi, fanatismi e inquisizioni. In questo ambiente, di un espressionismo delirante e allucinante, domina la figura di una donna, Renata, in cui convivono in forma confusa e travolgente i rapimenti mistici e le crisi di erotismo isterico, caratteristiche di una certa tendenza popolare pseudoreligiosa controriformista nella Germania di Lutero. Renata si innamora di un angelo di fuoco, ma è soltanto il simbolo dei suoi sogni di adolescente; ella cerca ansiosamente tra gli uomini la persona che potrà dare pace ed equilibrio al suo spirito tormentato, ma si imbatte soltanto in esperienze dolorose e in delusioni tragiche. Allora si rivolge alla magìa e la sua mente è percorsa da ossessioni psicopatiche, da incubi e da estasi febbrili. Si rifugia in un convento per trovare pace al suo animo sconvolto e coinvolge le suore del monastero in riti indemoniati, furibondi e peccaminosi. All'Inquisitore che l'accusa per la sua assurda e pericolosa condotta, Renata grida la sua profonda fede cristiana e inutilmente si ribella in un accesso di epilessia che contamina le altre suore. Sarà condannata al rogo come strega.

La partitura operistica ha un valore che si arricchisce di tutte le più raffinate acquisizioni della tavolozza strumentale, di tutti i più sottili accorgimenti della dialettica sonora, senza ignorare spregiudicatezze timbriche e armoniche, pur abbastanza distanti dalle astrattezze deformanti di un esasperato espressionismo. In essa si realizza una esperienza musicale di straordinaria efficacia teatrale, avvertita subito da due sensibilissimi direttori d'orchestra, come Sergej Kussewitzky e Bruno Walter (quest'ultimo avrebbe voluto presentarla all'Opera di Stato di Berlino), e fatta conoscere al pubblico solamente nel settembre del 1955, nella celebre edizione data alla Fenice di Venezia sotto la direzione di Nino Sanzogno, con la regìa di Giorgio Strehler e nella interpretazione nel ruolo principale di Dorothy Dow. Da allora L'Angelo di fuoco ha percorso molta strada e occupa un posto preminente nella produzione operistica contemporanea.

La Sinfonia n. 3 vuole essere una sintesi strumentale estratta da alcune scene dell'opera e improntata a quello stile di Prokof'ev densamente ritmico e coloristico. Il primo movimento (Moderato) alterna atmosfere distese e sospese ad altre più accentuate e drammatiche sotto il profilo orchestrale. Il secondo tempo (Andante) si richiama all'inizio del quinto atto del testo operistico e descrive la quiete del convento in cui si rifugia Renata nel tentativo di scacciare dal proprio corpo gli influssi negativi di Satana. Nel terzo tempo (Allegro agitato) si ritrovano situazioni psicologiche del secondo atto, quando appare a Renata in una visione magica la persona amata, il conte Enrico, avvolto nel mantello dell'Angelo di fuoco. Nel movimento conclusivo (Andante mosso) sono riferiti spunti tematici dello stesso secondo atto, con lo scontro fra il bene e il male, sottolineato da un'orchestra ora dolcemente cantabile e ora tagliente e aspra, ma del resto saldamente ancorata alla terraferma tonale della musica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quanto a Prokofiev non si può certo parlare di fortuna. Non riusci neanche a vedere in scena «L'angelo di fuoco», delle sue creature la più impressionante e del Novecento tra le più inquietanti. Vagò dall'America, all'Europa portandosi dentro la sua terra e quando, per coerenza morale, decise di rientrarvi a ritrovare le radici perdute, invece che una salutare «recherche», iniziò una Via Crucis le cui «poste» avevano i nomi dei funzionari di Stalin e la crocifissione finale quello di Zdanov.

Su Prokofiev e Stravinsky un nemico di Plutarco potrebbe dunque scrivere «Le vite divergenti». E non solo per il destino biografico opposto.

L'atteggiamento morale e culturale di Prokofiev resta, per esempio, legato agli artisti e scienziati che identificavano le tendenze moderne in arte con le aspirazioni rivoluzionarie in politica: ai costruttivisti e ai suprematisti, a Gabo, a Malevic e a Majakovsky; cioè a quegli intellettuali russi che credettero nella rivoluzione d'ottobre e che l'involuzione burocratica di poi ridusse al suicidio. Se si potessero, per esempio, visualizzare certe strutture tra classiche e romantiche (e con lo spasimo di avanguardia frustrata) delle prime sinfonie di Prokofiev salterebbe fuori, pari pari, un'architettura di Tatlin (magari il «Progetto 1920» per il monumento alla III Internazionale).

Prokofiev, a differenza di Stravinsky, resta quindi profondamente russo. Forse è il musicista che è andato più vicino a Dostojevsky, e non solo perché ha musicato «Il giocatore». Parente degli ossessi dostojevskiani è un personaggio come Renata ne «L'angelo di fuoco». E l'intera partitura mescola colore russo e gotico contrappunto: la lava dal demonismo russo in un'aura spettrale di trascendenza faustiana. È inoltre attaccata con cordone ombelicale all'opera russa, al Ciaikovsky della «Dama di picche», al Mussorgski 'diavolesco' della «Fiera di Sorocinski»; e la visionaria potenza delle scene di demonismo ha come controsoggetto episodi di comicità gogoliana. E russo è questo rifugio nel grottesco che svela la timidezza di Prokofiev e insieme il suo rapporto inibito col latente romanticismo che galleggiava in fondo a un'ambigua avanguardia.

Se poi si pensa che «L'angelo di fuoco» è interamente scritto all'estero c'è da meravigliarsi che Prokofiev abbia resistito quindici anni prima di tornare definitivamente in patria. Perfino la sua ambiguità tra romanticismo e classicismo nasce dal travaglio stesso della cultura russa di quegli anni. L'Avanguardia ricca, agli inizi, di intensa sperimentazione, di ansie rinnovatrici e di 'eroici furori' si scontra, a poco a poco, con i problemi reali posti dalla costruzione del socialismo, si stempera e si frantuma tra un'ala 'formalista' (Leonidov) e un'ala 'produttivista' (Tatlin, Ginzburg) e, quando nell'organizzazione statuale sovietica prevale l'ideologia burocratica, finisce per 'franare' nell'Accademia. Qualcosa di peggio, certo, del classicismo di Prokofiev; ma un itinerario-diagramma che in parte può spiegare come nel musicista coesistano violenze armoniche e dinamiche 'da modernismo' e più 'ragionevoli' disposizioni classicheggianti.

E d'altronde il Novecento senza l'Ambiguità non sarebbe il Novecento. E Prokofiev è un artigiano alla maniera dei grandi maestri del passato (del Settecento specialmente). Ma 'l'estetica dell'artigiano' è, per l'appunto, la più novecentesca delle trovate del Novecento.

E Prokofiev la attua con costanza e regolarità nella sua produzione sinfonica che ricopre tutto l'arco della sua carriera dal 1917 al 1952 e ne segna l'evoluzione attraverso le tappe delle sette sinfonie.

La «Terza sinfonia in do minore» nasce, come la seconda, nel soggiorno parigino, in quel terreno cioè da cui il neoclassicismo musicale dilagava in tutta Europa come 'contraltare' storico all'eversione dell'espressionismo, che aveva fatto esplodere la cultura mitteleuropea nel secondo decennio del secolo. L'operazione sembrava legittima, ma proprio innocua non lo era. Satie e Cocteau in Francia, Hindemith in Germania e Casella in Italia proclamavano la necessità di ritornare all'ordine e, senza volerlo, favorivano un'Arcadia che il secondo conflitto mondiale avrebbe smascherato, costringendo lo struzzo europeo a tirar fuori la testa di sotto terra.

Ma Prokofiev a Parigi, nel 1928, scrive la «Terza sinfonia», di folgorante compiutezza formale, ma che neoclassica non è davvero. E potrebbe essere stata, composta tranquillamente a Pietroburgo. Parte del materiale tematico della sinfonia è tratto dall'opera «L'angelo di fuoco», terminata nel 1927, il cui soggetto proveniva dal romanzo del simbolista russo Brjusov, che in pratica aveva intrecciato la vecchia leggenda di Faust col non meno famoso «Processo della strega». La sinfonia mantiene quindi, dietro le quinte di elaborata e solida architettura, un dramma invisibile, una tensione inquieta, che non diventa drammaticità aperta, solo grazie al fatto che in Prokofiev il carattere drammatico non è mai soggettivo ma essenzialmente 'obiettivo'. Cioè rifiuta il concetto di lotta interiore caro ai romantici e postromantici da Beethoven a Mahler.

Non per nulla Prokofiev componeva musica per films e la migliore della storia del cinema.

La Terza sinfonia in do minore op. 44 è dedicata al musicista russo Miaskovsky e si svolge in quattro tempi. Prokofiev preferiva che fosse ascoltata senza riferirsi a «L'angelo di fuoco» ma certo non è facile scindere certi episodi di suggestione 'da atmosfera sovrumana', che affiorano dovunque, dalla loro naturale consanguineità con l'opera teatrale. E poi non c'è niente di male. Prokofiev temeva la musica a programma per timore di passare da romantico. Noi no.

In ogni modo la «Terza sinfonia», stilisticamente organica com'è, coerentissima in tutte le sue parti e autonoma drammaturgicamente, è, come le altre sei sinfonie, al disopra di ogni sospetto. «Talvolta — faceva notare l'autore — le mie sinfonie corrispondono a un sentimento generico ma 'a programma' non sono».

Il primo movimento (Moderato) ci introduce subito al clima generale della sinfonia, quasi fosse una sigla, alternando esplosioni aggressive e quasi selvagge con alcuni interludi lirici. La musica descrive, cioè, il clima della prima scena dell'opera teatrale, gli alti e bassi psicologici del personaggio di Renata, il suo tormento spirituale di amore e di disperazione, mentre i pesanti accordi degli ottoni che l'accompagnano sono tratti da un passaggio in cui Ronald, il cavaliere che ama Renata, canta «Libera me, Domine, de morte aeterna». Il tema seguente, condotto da corni e violini, dipinge il desiderio di Renata per Madiel, il misterioso angelo di fuoco. La parte principale del movimento è tratta dalla scena del duello tra Ronald ed Enrico, il seduttore della giovane visionaria.

Il secondo movimento (Andante) si snoda attraverso temi di suggestivo raccoglimento. Sembra quasi che descriva lo struggimento e la malinconia di un ambiente tipicamente slavo. In effetti riprende l'episodio dell'ingresso di Renata in convento e la musica suggerisce una quiete quasi religiosa.

Il terzo movimento (Allegro agitato), con glissandi selvaggi, atmosfere raggelate e spettrali, ci riporta al clima del secondo atto dell'opera, quando Renato e Ronald ricorrono alla magia nera nel tentativo di scoprire il luogo dove si trova Enrico.

L'ultimo movimento (Andante mosso) oscilla ancora tra ritmi di grande dinamismo, tensione e passaggi di distesa tranquillità sonora. Presenta affinità tematiche con la scena in cui Ronald visita il mago Agrippa e con il quieto interludio che la precede.

La «Terza sinfonia» ebbe la prima esecuzione a Parigi il 17 maggio del 1929, diretta da Pierre Monteux. Majakovsky undici anni prima aveva offerto a Prokofiev un libro con la dedica «Al presidente della sezione musicale della terra».

L'espressione è altisonante; ma se si pensa a un compositore, che nel Novecento conserva intatta la pienezza di umanità e di fantasia, si è tentati di sottoscriverla.

Lamberto Bartoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 12 aprile 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 12 aprile 1978


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Ultimo aggiornamento 14 febbraio 2019