Sonata in do maggiore per violoncello e pianoforte, op. 119


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. Andante grave
  2. Moderato
  3. Allegro, ma non troppo
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: 1949
Prima esecuzione: Mosca, Sala Piccola del Conservatorio "Ciajkovskij", 1 marzo 1950
Edizione: Muzgiz, Mosca, 1951
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La musica da camera non rappresenta nella produzione di Sergej Prokof'ev il campo d'azione più significativo, che deve probabilmente essere individuato nel teatro musicale. In particolare le composizioni dedicate al violoncello sono piuttosto esigue. Troviamo nel catalogo del compositore la giovanile Ballata, op. 15 (1912) per violoncello e pianoforte, il Concerto in mi minore op. 58 (1933-38), una trascrizione di un Adagio dal balletto Cenerentola (1944), e, soprattutto, quattro lavori risalenti agli ultimi anni di vita: la Sonata in do maggiore op. 119 (1949), la Sinfonia Concertante op. 125 (1950-52), e due lavori incompiuti, il Concertino op. 132 e la Sonata in do diesis minore. Questo tardivo incremento dei lavori violoncellistici deve essere messo in relazione con la stretta frequentazione da parte di Prokof'ev - che era un grande virtuoso di pianoforte e aveva una minore confidenza tecnica con gli archi - di un giovane violoncellista, destinato a diventare uno degli artisti più significativi della nostra epoca, Mstislav Rostropovic. E Rostropovic collaborò anche attivamente, con suggerimenti di carattere tecnico, alla stesura della parte violoncellistica di questi lavori; prassi del tutto comune, nell'arco di molti secoli, fra i compositori e gli strumentisti dedicatari di determinati spartiti.

Nel gruppo di queste tarde opere violoncellistiche l'unica che si è guadagnata una fama internazionale è appunto la Sonata op. 119; anche questo spartito tuttavia è stato coinvolto nei severi giudizi che, da tanta parte della critica, sono stati rivolti verso gli ultimi lavori di Prokof'ev. I motivi di questi giudizi vanno ricercati probabilmente negli stessi eventi della vita del compositore. Vissuto in Occidente fra il 1918 eil 1936, Prokof'ev fece poi ritorno in patria aderendo al regime comunista, anche se alla decisione di questo ritorno concorsero probabilmente più motivazioni affettive, di attaccamento verso la terra d'origine, che politiche. Ciò nonostante il compositore fu vittima, insieme a Sostakovic, di una delle più dure purghe culturali operate da Stalin e da Zdanov nel 1948; l'accusa era quella di «deviazioni formalistiche», contro quelle opere che non fossero di immediata accessibilità. Prokof'ev fu costretto ad una umiliante autocritica, e, secondo molti, la sua vena inventiva risultò fortemente concussa dall'ossequienza verso i precetti zdanoviani.

Tuttavia uno sguardo a tutta la cameristica di Prokof'ev mostra senza ombra di dubbio come la stesura di spartiti segnati in qualche modo da un equilibrio "classico" non sia solamente una caratteristica degli ultimi anni, ma una precisa scelta poetica. L'anticonformismo che tanta parte ha nello stile di Prokof'ev si riflette soprattutto nel rapporto con il pianoforte, protagonista di lavori sperimentali sotto il profilo formale ed espressivo. Nei lavori polistrumentali, invece, prevale la tendenza a reinterpretare le forme del passato, nel segno di un soggettivismo che conferisca loro una peculiare connotazione.

È questo il caso anche della Sonata op. 119, che rientra del tutto coerentemente in questo progetto. Vi troviamo innanzitutto un rapporto di collaborazione e non di competizione fra i due strumenti, e un trattamento della linea violoncellistica che si rifà in qualche modo a quella sintesi di eleganza ed espansività melodica tipica di Brahms o Cajkovskij. Naturalmente il rapporto con la forma classica subisce una rilettura che mette in secondo piano il rigore dell'elaborazione. Ne è un esempio convincente lo stesso primo tempo della Sonata per violoncello, che si apre con una melodia intorno all'accordo di do immediatamente connotativa del clima espressivo della Sonata, ampio e meditativo, lontano da episodi ironici e graffianti. Tutta l'esposizione del movimento, nonostante l'avvicendamento di diversi temi (un secondo tema dagli echi popolari, esposto dal pianoforte, una nuova idea elegiaca del violoncello) e la dialettica strumentale, si mantiene in questo clima espressivo, che viene contraddetto solo dal tempo più rapido della sezione dello sviluppo e dalle brevi increspature della coda.

In posizione centrale si colloca un Moderato che ha funzione e forma di Scherzo. Vi compaiono delle melodie infantili e un tema di marcia; il tutto segnato da una scrittura apertamente giocosa per gli effetti percussivi del pianoforte e per l'impiego dello strumento ad arco, con pizzicati e staccati che si alternano con brevi arcate. La sezione del Trio è invece un Andante dolce fortemente contrastante per la sua intonazione cantabile e intensamente lirica. Nel finale possiamo riscontrare uno dei procedimenti più cari al tardo Prokof'ev (si veda la Settima Sinfonia), il ritorno di materiale melodico appartenente ai tempi precedenti, che attribuisce una solida unità ciclica all'intero spartito. Ma l'unità è soprattutto nelle scelte espressive, perché questo movimento, con il suo tematismo eclettico, diversificato, opera una sorta di sintesi coerente dei vari atteggiamenti dello spartito; vi troviamo alternate, con una incostanza un poco rapsodica, la vena elegiaca e quella giocosa, fino a una coda che ambisce a una gestualità e a una densità di carattere quasi sinfonico.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata op. 119 che conclude virtualmente l'opera cameristica di Prokofiev, nasce nel 1949 ed è il solo prodotto compiuto di una felice collaborazione nata fra il compositore giunto al culmine della fama e prossimo al termine della propria parabola, e un giovane, splendido virtuoso violoncellista chiamato Mstislav Rostropovic. Composta espressamente per Rostropovic, che intorno a quegli anni incominciava a far parlare di sé nel mondo musicale russo, la Sonata in do maggiore fu eseguita a Mosca dall'autore, al pianoforte, e dal dedicatario, cui si deve la supervisione della parte violoncellistica; ben presto il lavoro uscì dai confini sovietici e venne acquisito al repertorio moderno dei maggiori violoncellisti. L'opera s'inscrive nel linguaggio e nel mondo poetico dell'ultimo Prokofiev; uno stile che fu severamente giudicato dalle avanguardie degli anni 50 come regressivo e disimpegnato ma che oggi, venute meno anche in estetica le fedi inconcusse nel progresso e nell'impegno (soprattutto perché riesce sempre più difficile dare un significato plausibile a tali parole), possiamo rileggere con mente più serena.

Semplicità di scrittura, privilegio accordato ai valori melodici, una calma e serena discorsività discretamente intrisa di lirismo sembrano i caratteri generici di una composizione che, come spesso avviene nell'ultimo Prokofiev, predilìge i momenti lenti o moderati, dove il violoncello a proprio agio può effondere la sua specifica cantabilità. Così nel primo tempo, il quale, al pari dei successivi, volentieri accoglie episodi in contrasto con la sezione principale: come quello basato su una animata figurazione in quartine di sedicesimi, che a metà ed alla fine del brano agita alquanto le acque tranquille. Il "Moderato" appare concepito idealmente come un tradizionale Scherzo, con una prima parte alquanto percussiva ed un Trio cantabile. L' "Allegro ma non troppo" conclusivo riesce magistralmente a mantenere, anzi ad esaltare, cammin facendo, l'iniziale fervido slancio lirico, in un disegno costruttivo di grande articolazione dinamica, culminante in un "Andantino" le cui grandi bellezze melodiche sono affidate al canto dello strumento ad arco con sordina. Né poteva mancare, nel trascinante finale, l'accumulo di passi di bravura con grande sfoggio di difficoltà tecniche (tanto che la parte contiene una "lectio facilior" per i violoncellisti che non fossero in grado di superarle), omaggio all'incomparabile virtuoso.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 gennaio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 gennaio 1981


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 18 giugno 2016