Sonata per pianoforte n. 3 in la minore, op. 28


Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
Organico: pianoforte
Composizione: 1917 (prima versione 1907)
Prima esecuzione: San Pietroburgo, 15 aprile 1918
Edizione: Gutheil, Parigi, 1918
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Nel mio tempo libero continuavo a comporre con piacere come prima, mentre gli esercizi di armonia rappresentavano un compito noioso, ancor meno interessante delle lezioni di geografia, ad esempio. Nelle mie composizioni mi sforzavo di non usare volutamente ciò che avevo imparato di armonia e di staccarmene liberamente». Non si può dire che Sergei Prokofiev serbasse un bel ricordo dei suoi anni di studio al Conservatorio di San Pietroburgo, dove ebbe fra i suoi maestri Anatol Ljadov per il contrappunto e la fuga e Nikolai Rimskij-Korsakov per la strumentazione. In effetti, fin dagli esordi il giovane Prokofiev si era segnalato come un autentico enfant terrible della musica russa, pieno di talento, spavaldo, aggressivo, provocatorio, martellante, ricco di contrasti, proprio come la musica che scriveva in quegli anni. Alle prime esecuzioni pubbliche, il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra, scritto nel 1912, era stato definito da un critico «musica dura, grossolana, primitiva e stonata» e aveva indotto il critico della «Peterburgskaja Gazeta» a ritenere il suo autore un pazzo degno della camicia di forza. Quel pazzo, però, aveva un enorme talento: formidabile pianista («dalle dita e dai polsi d'acciaio», come scrisse di lui nel 1918 un critico statunitense), formatosi sotto la guida di Anna Esipova che era stata allieva di Leschetitzky, nel 1914, a ventitre anni, riuscì perfino ad aggiudicarsi l'ambitissimo Premio Rubinstein, nonostante la strenua resistenza di Aleksander Glazunov, all'epoca direttore del Conservatorio di Pietroburgo, che vedeva in lui l'esponente di una «linea pericolosa»; in quell'occasione, oltretutto, il giovane Prokofiev osò sfidare la giuria presentando non un Concerto di Mozart o di Liszt, come fecero tutti gli altri concorrenti, ma proprio il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra, appena pubblicato da Jürgenson.

«Ma questo è una bestia feroce!», avrebbe detto di lui il pittore José Maria Sert rivolto a Sergei Diagilev, seduto al suo fianco in una sala londinese, ascoltandolo suonare il suo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra, composto nel 1913; proprio quello stesso Concerto che Aleksander Siloti, direttore d'orchestra e sommo pianista, allievo di Liszt e cugino di Rachmaninov, si rifiutò di dirigere, motivando la sua scelta con il fatto che mentre «la musica di Debussy esala un profumo, questa, invece, puzza». Un autorevole critico russo, Leonid Sabaneev - che a onor del vero era un acceso sostenitore di Skriabin - giunse ad affermare che in Prokofiev, «come in Petrushka, al posto dell'anima c'è segatura» e perfino la madre del compositore rimaneva spesso sconvolta dal suo linguaggio: come quando un giorno, mentre il figlio stava com-ponendo l'opera Il giocatore (1915-16)., piombò nella sua stanza e gli chiese preoccupata: «Di' un po', ti rendi conto di che cosa stai pestando sul pianoforte?».

Proprio a questi anni giovanili risale la Sonata n. 3 in la minore, composta nella primavera del 1917 e pubblicata da Gutheil a Parigi nel 1918 come op. 28, che reca il sottotitolo "D'après des vieux cahiers" ("da vecchi quaderni"), comune anche alla Sonata n. 4, sempre del 1917, poiché come quella rielabora un tentativo di Sonata risalente agli anni del Conservatorio, e in particolare al 1907. Sicuramente meno modernista e trasgressiva rispetto ad altre opere che l'avevano preceduta, se non è dunque particolarmente «innovativa» questa Sonata presenta tutte e tre le altre «linee fondamentali» che Prokofiev riconosceva nella propria musica: quella «lirica», quella «classica» e quella «motoria». Articolata in un unico movimento, la Sonata in la minore si apre con slancio, come se una porta si spalancasse all'improvviso, su degli accordi di mi maggiore (Allegro tempestoso) che introducono un'idea agitata e nervosa; il fibrillante dinamismo di questo esordio si placa solo per lasciar posto al secondo tema (Moderato), una melodia ingenua e delicata in pianissimo, che rappresenta per contrasto quasi una visione di sogno. Anche lo sviluppo, aperto bruscamente da un'idea per moto contrario all'insegna di un meccanicismo percussivo, è caratterizzato dal dualismo fra tensione e lirismo. Splendida è la comparsa della ripresa, con il ritorno della ritmica agitazione molecolare dell'inizio che prende gradualmente forma dall'indistinto pulviscolo sonoro che emerge dallo spegnersi dell'eco di un lungo accordo dissonante, per poi agitarsi fino a una coda (Poco più mosso) la cui bruciante lucentezza sembra quasi sprigionarsi dal contatto fra le mani del pianista e una tastiera elettrificata, attraversata dall'alta tensione.

Carlo Cavalietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La produzione pianistica, anche se non estesa, insieme a quella operistica e teatrale, occupa una posizione importante nell'atttività artistica di Prokof'ev, che sin da ragazzo, quando era ancora allievo dell'eccellente didatta Anna Essipova al Conservatorio di Pietroburgo, compose molti pezzi per pianoforte raccolti in «vecchi quaderni» e utilizzati successivamente nelle prime Sonate dedicate a questo strumento. Pianista di straordinario fascino e di travolgente bravura, Prokof'ev fu educato alla scuola e al rigore formalistico dei classici, da Scarlatti ad Haydn, da Schumann a Beethoven, ma nello stesso tempo spinse al limite estremo le risorse percussive dello strumento, dimostrando, in polemica con il raffinato impressionismo di Debussy e con il simbolismo poetico di Skrjabin, una netta preferenza per le sonorità martellanti e i temi accentuatamente ritmici. In tal modo i suoi lavori pianistici rispecchiano un pensiero musicale personalissimo, espressione di una sensibilità moderna, tutta tesa a scavare nei problemi esistenziali dell'uomo del nostro tempo. Infatti quello che colpisce subito nel pianismo, anche degli anni giovanili, di Prokof'ev è la ricerca di tensioni ritmiche fortemente scandite e l'affermazione di un dinamismo vorticoso e sfrenato, che si realizzano con tonalità audaci e taglienti, asciutte dissonanze e armonie impreviste e non tradizionali, che rendono il discorso più efficacemente drammatico e aggressivo. Con questo non va dimenricato che anche nei pezzi pianistici Prokof'ev si richiama al melos russo, alla grande tradizione popolare del suo paese, intesa come elemento di riferimento ad una cultura ben precisa nei suoi connotati e mai come citazione esteriore ed astratta.

Per comodità critica corrispondente ad alcune caratteristiche della personalità e dell'arte di Prokof'ev si suole dividere il suo corpus pianistico in tre periodi: il primo periodo russo che va dal 1908 al 1918 comprende la Sonata n. 1 op. 1 (1909), la Sonata n. 2 op. 14 (1912), la Sonata n. 3 op. 28 (1917), la Sonata n. 4 op. 29 (1917), i Quattro studi op. 2 (1909), i Quattro pezzi op. 4 (1910-1912), la Toccata op. 11 (1912), i Sarcasmi op. 17 (1912-'14), le Visioni fuggitive op. 22 (1915-1917), I racconti della nonna op. 31 (1918); il secondo periodo, che è quello trascorso in parte in America e riferentesi agli anni 1918-1932, comprende la Sonato n. 5 op. 38 (1923), le due Sonatine op. 54 (1931-1932), i due brani intitolati Choses en soi op. 45 (1928) e i Sei pezzi op. 52 (1930-1931); il terzo periodo sovietico va tra il 1933 e il 1953 e riunisce la Sonata n. 6 op. 82 (1939-1940), la Sonato n. 7 op. 83 (1939-1942), la Sonato n. 8 op. 84 (1939-1944), la Sonato n. 3 op. 103 (1947) alle quali si aggiunge la revisione della Sonata n. 5 compiuta nel 1952-'53.

La Sonata n. 3 appartiene quindi al periodo russo; è in un solo tempo e utilizza il materiale di una Sonata scritta nel 1907. Lo stesso Prokof'ev la presentò per la prima volta a Pietroburgo in un concerto dell'aprile del 1918. In essa appare evidente l'interesse del'autore per la Toccata di Schumann e per le sonorità geometriche de Il clavicembalo ben temperato, ma si avverte una felice inventiva tematica e un vivace temperamento sonoro, non alieno da certe schiarite liriche. Nel complesso si tratta di una pagina costruita con un costante compiacimento per quelle iterazioni ritmiche che sono tipiche del pianismo di questo compositore, ritenuto un assertore del «cubismo musicale». Non a torto un critico russo ha paragonato la Sonata n. 3 all'austera imponenza di un grattacielo gigantesco e uniforme sostenendo che «si resta colpiti dall'unità di pensiero, dalla violenza degli sviluppi e dall'energia del temperamento che vi si manifesta e congiunge il senso della contemplazione ai più bruschi accessi di collera».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 30 marzo 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 aprile 1983


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Ultimo aggiornamento 18 aprile 2013