Il tema dei rapporti dei compositori sovietici con il regime comunista è ancora oggi fonte di imbarazzi ed è difficile trovare chi riesca a parlarne con l'obiettività che si addice allo storico. Da una parte incombe il termine "compromesso", che di per sé esprime la rinuncia, a favore di interessi personali, all'idea d libertà creativa che solitamente si attribuisce agli artisti. Dall'altra c'è il valore estetico, spesso oggettivamente modesto o soffocato da esigenze retoriche, di quelle opere che del suddetto compromesso sono il risultato. L'argomento diventa tanto più spinoso quanto più chiama in causa compositori come Sostakovic e Prokof'ev, il cui genio è ampiamente riconosciuto, ma che al tempo stesso quel compromesso con il regime lo conobbero molto bene. Ma il compromesso, è bene ricordarlo, è un accordo ottenuto obtorto collo. E il regime staliniano il collo lo torceva davvero.
Una tarda dichiarazione di Sostakovic può essere illuminante
al riguardo:
Il 1936 fu l'anno delle prime purghe staliniane.Persecuzioni politiche, repressioni, arresti, omicidi. Nel gennaio dello stesso anno la "Pravda" attaccò duramente l'opera Lady Macbeth del Distretto di Mcensk di Sostakovic, andata in scena un mese prima, con un articolo dal titolo "Caos anziché musica".
È ancora Sostakovic a parlare del suo caso personale. Ma nel 1939 anche Prokof'ev fece la sua prima seria esperienza con la polizia di stato, quando si vide ritirare al Teatro Stanislavskij l'opera Semën Kotko prossima al debutto. Il regista era Vsevolod Mejerchol'd, uno dei maestri del teatro del '900, che sarà catturato, torturato e fucilato nel 1940.
Un'avvisaglia, molto più leggera se paragonata a tali crimini, si verificò nel 1937, anno del ventennale della Rivoluzione d'Ottobre, allorché Prokof'ev compose una Cantata celebrativa su testi di Lenin, Stalin, Marx e Engels. Anche in quell'occasione l'esecuzione non ebbe luogo, in quanto la partitura non fu ritenuta soddisfacente, sembra da Stalin in persona, che non vedeva la sua figura adeguatamente magnificata.
Si inserisce in questo clima anche l'Ouverture russa op. 72, composta nel 1936 ed eseguita l'anno successivo con grande successo. Non poteva andare diversamente per un pezzo che esalta la tradizione nazionale all'interno di una scrittura orchestrale movimentata, ma non priva di una certa prevedibilità.
Prokof'ev mette in campo ben sei temi: i primi tre hanno carattere di danza e li ascoltiamo subito, uno dopo l'altro. Il quarto è un motivo lirico e segna il primo rallentamento formale, che infatti è seguito da una breve sezione di elaborazione del materiale fin qui presentato. Il secondo snodo dell'Ouverture è dato dalla comparsa di un tema dai valori ritmici più dilatati ("Andante cantabile") condotto da viole e contrabbassi, poi ripreso dai violini e infine dagli ottoni, che richiama un canto della tradizione znamenny tipico della liturgia ortodossa. Il sesto ed ultimo motivo ricalca nuovamente un profilo di danza, e predispone al principio polifonico della graduale sovrapposizione dei temi proposti, che poi è il fine ultimo di questa pagina.
L'organico orchestrale è sfavillante e l'effetto della sovrapposizione tematica è grandioso soprattutto nel finale, nel quale i materiali convergono insieme in un'apparente poliritmia.
Prokof'ev dispone da par suo i pezzi sulla scacchiera. Ma sta giocando con Stalin. E con questo avversario, anche se si è più forti, la regola numero uno è: "perdere".