10 preludi per pianoforte, op.23


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Largo in fa diesis minore
  2. Maestoso in si bemolle maggiore
  3. Tempo di minuetto in re minore
  4. Andante cantabile in re maggiore
  5. A la marcia in sol minore
  6. Andante in mi bemolle maggiore
  7. Allegro in do minore
  8. Allegro vivace in la bemolle maggiore
  9. Presto in mi bemolle minore
  10. Largo in sol bemolle maggiore
Organico: pianoforte
Composizione: 1901 - 1903
Prima esecuzione: Mosca 10 Febbraio 1903, Rachmaninov (pf.) [solo i n. 1, 2 e 5]
Edizione: Gutheil, Febbraio 1904
Dedica: A. Ziloti
Guida all'ascolto dei primi sette preludi (nota 1)

Strano destino quello di Rachmaninov, amato dal pubblico per la sensibilità armonica e la vena melodica inesauribile e, per le stesse caratteristiche, ritenuto un epigono del Romanticismo da critici e colleghi. Nella Russia di fine Ottocento vi sono ottimi musicisti usciti dalle Accademie, con una grande preparazione tecnico artigianale ma talvolta "ingenui" dal punto di vista culturale; Rachmaninov credeva in un Romanticismo acritico in cui il suo esuberante senso melodico trovava un'espressione diretta senza porsi problemi riguardo alla forma o al mezzo espressivo. Le innovazioni linguistiche dei suoi contemporanei lo lasciavano indifferente (o poco disponibile) e considerava "cerebrali" musicisti come Debussy, Ravel, Skrjabin e Schönberg. Ciò non significa che non si ponesse problemi di carattere formale (spesso rivedeva le proprie partiture sottoponendole a tagli e revisioni) ma è certo che si possono apprezzare di più le sue doti nelle pagine di dimensioni ridotte piuttosto che nelle composizioni dalla forma più elaborata, come ad esempio le Sinfonie.

Pur avendo uno straordinario talento pianistico, Rachmaninov fu sempre interessato alla composizione e vinse, a soli 19 anni, la medaglia d'oro del Conservatorio di Mosca. Incoraggiato da Cajkovskij e da un contratto con l'editore Gutheil, vedeva nella scrittura musicale il mezzo più immediato di espressione: «Per me - affermava - comporre era come parlare, e spesso la penna riusciva a malapena a seguire il rapido volo delle mie idee musicali». Tanta naturalezza però si scontrò con i gusti del pubblico che decretò un solenne fiasco alla sua prima Sinfonia scritta a ventiquattro anni. «Mi sentivo come uno che aveva sofferto un colpo apoplettico e perduto per molto tempo l'uso della testa e delle mani»; fu necessario l'intervento di un "ipnotizzatore" per tirar fuori il compositore da questo stato di prostrazione e ridar vita al suo talento.

La nuova stagione creativa si aprì con il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra seguito dalla Sonata per violoncello e pianoforte, la Cantata La primavera, le 12 Canzoni (op. 21), le Variazioni su un tema di Chopin e i 10 Preludi (op. 23). Pubblicata nel 1904, la raccolta dei 10 Preludi fu pensata per formare, insieme ai 13 dell'op. 32 e al Preludio in do diesis minore op. 3 n. 2, un ciclo di 24 Preludi che abbracciassero tutte le tonalità. A partire da Bach, con il suo Clavicembalo ben temperato, molti musicisti erano rimasti affascinati dalla possibilità di comporre su ogni nota della scala (12 semitoni intesi nell'accezione maggiore e minore) proprio con l'idea di poter sondare le caratteristiche di ogni singola tonalità (ricordiamo tra gli altri esempi celebri, i 24 Preludi op. 28 di Chopin, i 24 Preludi op. 11 di Skrjabin e il Ludus Tonalis di Hindemith). In Rachmaninov l'influenza chopiniana è molto forte anche se i suoi Preludi sono più lunghi e strutturalmente più complessi di quelli del compositore polacco. La libertà formale, connaturata al genere del Preludio, è sfruttata appieno e in queste pagine troviamo decine di idee melodiche e formule tecniche inconsuete; le atmosfere sono in continua mutazione e accanto al sentimento nostalgico (frutto di una delicata melodia adagiata su una tonalità minore) troviamo momenti rudi o ironici (caratterizzati da veloci accordi ripetuti su e giù per la tastiera).

Nel concerto odierno verranno eseguiti soltanto i primi sette dei Dieci Preludi op. 23, un numero sufficiente per dar conto, dell'enorme capacità espressiva e dell'inesauribile fantasia del compositore. Nel n. 1 (Largo in fa diesis minore) il tema frammentato affidato alla mano destra si intreccia con la melodia della sinistra offuscata dall'accompagnamento per quartine; l'incrocio della mani permette al compositore di sfruttare appieno tutti i registri della tastiera alternandoli continuamente. Nel n. 2 (Maestoso in si bemolle maggiore) continui arpeggi della mano sinistra coprono quasi metà della tastiera e, in mezzo a cascate di note dall'acuto al grave, emergono i temi principali. Nel n. 3 (Tempo di minuetto in re minore) la scrittura per grandi accordi rimanda alle sonorità dei cori russi; l'armonia è piuttosto originale e l'assenza di "arabeschi" strumentali permette di assaporarne tutte le sfumature. Nel n. 4 (Andante cantabile in re maggiore) sembra di sentire l'eco di Chopin grazie all'idea, tutta classica, di affidare il canto alla mano destra e l'accompagnamento alla sinistra. Il n. 5 (Alla marcia in sol minore) è forse il più famoso dei dieci, non solo per il tipo di scrittura pianistica molto robusta (con accordi fitti e ribattuti e forti accenti sul tempo debole della battuta), ma soprattutto per il modo in cui è costruito, tipico di Rachmaninov. La composizione segue infatti una curva espressiva nella quale l'elemento iniziale (eroico e baldanzoso) viene ripetuto ossessivamente in un crescendo dinamico pieno di energia, interrotto da una parte centrale più cantabile. Nel n. 6 (Andante in mi bemolle maggiore) si intrecciano due linee melodiche, una con note veloci alla mano sinistra, l'altra con note lente affidate alla destra. Si annulla così il principio del "canto e accompagnamento" grazie al sottile gioco di rifrazioni tra regione grave ed acuta della tastiera. Il n. 7 (Allegro in do minore) è tra i più difficili tecnicamente e richiede una grande scioltezza e leggerezza delle mani: l'indicazione metronomica prescrive l'esecuzione di più di otto note al secondo, una richiesta plausibile se si trattasse di note vicine, ma in questo caso le note sono spesso lontane e apparentemente impossibili da raggiungere.

Fabrizio Scipioni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 Marzo 2003


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Ultimo aggiornamento 8 giugno 2011