Aleko

Opera in un atto

Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
Libretto: Vladimir Nemirovic-Dancenko, dal poema Gli zingari di Puskin

Ruoli:
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, piatti, grancassa, arpa, archi
Composizione: 13 Aprile 1892
Prima esecuzione: Mosca, Teatro Bolscioj, 9 Maggio 1893
Introduzione (nota 1)

Il diciottenne Sergej Rachmaninov, allievo di Anton Arenskij al Conservatorio di Mosca, aveva avuto l'incarico di mettere in musica, come prova per l'esame di diploma, il libretto che Nemirovich-Dancenko aveva tratto dal poema Gli zingari di Puskin. Il tempo concesso era di tre mesi. Ma il giovane compositore, che cominciò scrivendo le due danze gitane, dopo tre settimane aveva già ultimato il lavoro. Fortemente impressionati dal risultato, gli esaminatori lo premiarono anche con la Medaglia d'oro dell'Istituto e l'editore Karl Gutheil, su suggerimento di Cajkovskij, ne acquistò i diritti di pubblicazione per 500 rubli.

L'opera è ambientata in un campo di zingari: Aleko scopre che la moglie Zemfira lo tradisce con un giovane zingaro e uccide i due amanti. La comunità degli zingari lo condanna perciò a vagare per sempre da solo.

Aleko risente dell'influenza melodica di Cajkovskij (soprattutto nelle due arie ricche di patetismo di Aleko e del padre di Zemfira) e dei modelli operistici italiani - la romanza del giovane zingaro ricorda la siciliana di Turiddu in Cavalleria rusticana . L'opera ebbe una certa popolarità (le due danze gitane godettero di esecuzioni concertistiche) anche grazie a Fëdor Saljapin, che interpretò più volte il ruolo del protagonista e incise anche la cavatina "Ves'tabor spit" ('Il campo dorme').

Susanna Franchi

Sinossi

Luogo dell'azione: Un campo di zingari

Una banda di zingari ha piantato le tende per la notte sulla riva di un fiume. Sotto una luna pallida, accendono fuochi, preparano un pasto e cantano la libertà della loro esistenza nomadica. Un vecchio Zingaro racconta una storia. Molto tempo fa, egli amava Mariula che lo ha abbandonato per un altro uomo, tenendosi la loro figlia Zemfira. Zemfira ora è cresciuta, ha un proprio figlio e vive con Aleko, un russo che ha abbandonato la civiltà per la vita degli zingari. Nel sentire questa storia, Aleko è indignato che il padre di Zemfira non si sia vendicato su Mariula. Ma Zemfira non è d'accordo. Per lei, come per la madre, l'amore è libero, e lei stessa è già stanca del possessivo Aleko ed ora ama un giovane zingaro, uno del suo popolo. Dopo le danze delle donne e degli uomini, gli zingari vanno a dormire. Zemfira viene vista con il suo giovane amante, che bacia con passione prima di scomparire nella propria tenda per guardare suo figlio. Aleko entra e Zemfira lo deride, cantando del suo amante selvatico. Da solo, Aleko rimugina sulla catastrofe del suo rapporto con Zemfira e del fallimento del suo tentativo di fuga dal mondo ordinario. Quando arriva l'alba, egli sorprese Zemfira insieme al suo amante. In un tormento di gelosia li uccide. Il rumore delle azioni violente sveglia tutti gli zingari, i quali, scoprendo la tragedia, non capiscono il perché delle azioni sanguinose di Aleko. Gli zingari abbandonano dunque Aleko, lasciandolo solo ad affrontare la sua disperazione.

Guida all'ascolto (nota 1)

Se il capostipite della musica russa è Michail Glinka (1804-1857), il padre spirituale del côté operistico è il poeta Aleksandr Puskin (1799-1837), creatore della letteratura classica nazionale, cui si deve altresì la formazione della lingua letteraria russa. Dal variegato lascito di Puskin derivano le migliori opere della tradizione russa: Boris Godunov di Musorgskij, Dama di picche ed Evgenij Onegin di Cajkovskij, Gallo d'oro di Rimskij-Korsakov, Mavra di Stravinsky, per citare solo alcuni titoli.

(E pensare che Puskin, amante soprattutto del balletto, disdegnava l'attività di librettista, e non si occupò di musica se non come ascoltatore inesperto, né collaborò con operisti, salvo il caso isolato della Rusalka, scritta probabilmente per la musica di Esaulov. Infatti così rimproverava l'amico Vjazemskij in una lettera del 4 novembre 1823: «Ma come hai potuto scrivere un'opera e in essa assoggettare l'arte poetica alla musica? Sia onore a chi onore merita. Neppure per Rossini avrei mosso un dito»).

La bellezza musicale del verso puskiniano e la sua forza fonetica stanno alla base della sua diffusione fra i compositori russi. In una lettera del 3 luglio 1877 alla signora von Meck, Cajkovskij spiegava bene quanto è chiaro a tutti gli ammiratori dell'opera russa: «Puskin, in virtù del suo genio, esce molto spesso dai limiti dell'arte poetica e penetra nel regno infinito della musica. ... vi è, nell'essenza stessa dei suoi versi, ovvero nella successione dei suoni, qualcosa che penetra nel profondo dell'anima. Questo qualcosa è per l'appunto la musica».

L'attitudine puskiniana di "raccontare" in versi e addirittura di ripercorrere vicende che partono da una poesia narrativa è presente anche nel poemetto intitolato Gli zingari (1824-25), che si formò intorno alla Canzone di Zemfira, un canto danzato di uno zingaro bessarabico, che costituisce il nucleo centrale della vicenda. Il poeta si era dedicato a questo lavoro all'epoca del suo trasferimento dal sud (Caucaso, Kisnèv, Odessa), dove era in esilio, al governatorato di Pskov, nel nord dell'immenso paese. Dalla permanenza in quelle regioni lontane era sorto nel poeta un particolare interesse per popoli di cultura e tradizione differenti: in quei tempi aveva scritto anche il racconto Prigioniero del Caucaso.

In particolare, il tema degli zingari - queste genti libere, istintive, difficilmente assoggettabili a regole diverse da quelle ataviche della tribù - non poteva non affascinare l'animo romantico di Puskin, nel quale vibrano, attraverso i ricami di un'insuperata raffinatezza letteraria, passioni incontrollabili, sfrenata sensualità, tenerezza sentimentale e un veemente antiautoritarismo, ravvisabili persino in elementi biografici, come la passione del gioco e dei duelli. Colpì sicuramente la fantasia del poeta questa vicenda di adulterio palese, vissuto pienamente, senza il rispetto di convenzioni, ipocrisie e sotterfugi: un dramma della gelosia, in cui il tradito è apertamente beffato, che si conclude, fatalmente, con il doppio omicidio degli amanti e l'allontanamento dell'assassino - il compagno "legittimo" - da parte di un popolo che non vuole vendette o punizioni perché non conosce le leggi e ama la libertà, ma non può convivere con chi ha versato sangue.

Per inciso, il tema della femmina zingara, che non può adattarsi alle convenzioni coniugali, e neppure fingere di rispettarle, ha avuto una certa fortuna musicale: basti pensare alla Carmen di Bizet o alla Volpe astuta di Janàcek, di cui è protagonista "assente" una sensuale gitana, presente pure nel geniale ciclo da camera Il diario di uno scomparso dello stesso Janàcek.

Sebbene vi siano soggetti puskiniani destinati a maggiore successo operistico, gli Zingari hanno avuto una certa fortuna fra i compositori. Questo piccolo poema sulla vita nella Russia meridionale - una specie di Cavalleria rusticana orientale - era già divenuta progetto operistico" nel 1838: autore, che non portò tuttavia a termine il lavoro (malgrado molte vecchie fonti russe lo dessero per fatto), era Walther von Goethe, nipote del poeta. Nella seconda metà del secolo alcuni autori lo hanno musicato: uno dei primi fu il russo G. A. Lisin, che lo mandò in scena nel 1876. Il soggetto, breve e diretto, è stato spesso utilizzato per lavori scolastici: nel 1892, oltre all'Aleko di Rachmani-nov, sullo stesso libretto di Nemirovic-Dancenko furono composte opere anche da Leo E. Konjus e Nikita S. Morozov. Poco dopo (1894) ancora un russo, M. M. Zubov, trasformò Cygany in opera. Due anni più tardi fu la volta del tedesco P. Juon, che compose una sua Aleko nel 1896. K. M. Galkauskas, uno studente della classe di Rimskij-Korsakov, scrisse l'opera Gli zingari come esame di diploma nell'anno accademico 1907-8. Entro questa tradizione scolastica viva nei Conservatori russi, pure Sostakovic bambino - fermamente deciso a bruciare le tappe - si dedicò all'opera Gli zingari (1915-18) tra gli otto e i dodici anni, per distruggerla quando s'incapricciò più tardi delle correnti modernistiche. Prima di lui, tre italiani avevano preso in considerazione il tema: V. Sacchi, con una rappresentazione a Milano nel 1899, il vicentino Andrea Ferretto, che vide andare in scena a Modena nel 1899 i suoi Zingari, e infine Ruggero Leoncavallo, il quale scrisse per Londra l'opera Zingari (1912), deformando tuttavia la vicenda, con i nomi dei personaggi cambiati. Nel citare i due balletti Gli zingari, entrambi del 1937, di Sergej Vasil'enko e di V. K. Sorokin, non pensiamo certo di avere esaurito la fortuna teatrale di questo poema puskiniano, che non ha comunque mai trovato chi potesse superare la forma originale.

La più nota di tutte queste variazioni musicali sul soggetto è stata tuttavia l'Aleko di Rachmaninov che, come già accennato, venne scritta come saggio scolastico dal compositore, allora diciannovenne, su indicazione del suo insegnante Anton Arenskij. Si narra che, malgrado vi fossero due mesi di tempo, Sergej Vasil'evic completò l'opera in soli diciassette giorni, talché Arenskij gli disse: «Se vai avanti di questo passo, puoi comporre ventiquattro atti in un anno!». Invece Rachmaninov si sarebbe poi dedicato prevalentemente al pianoforte, per il quale scrisse numerose pagine e di cui fu interprete mirabile, e consegnò ai posteri solo due altre opere, entrambe del 1906, brevi e di non grande rilievo: Il cavaliere avaro, ancora da Puskin, e Francesca da Rimini, da Dante.

Aleko, terminata il 13 aprile 1892 e ritoccata fino al 7 maggio successivo (data della "consegna"), valse a Rachmaninov una medaglia d'oro. L'entusiasmo di Cajkovskij, che analizzò la partitura ritrovandovi parecchi modi musicali a lui familiari, spinse immediatamente l'editore Gutheil a offrire al giovane musicista cinquecento rubli per la pubblicazione, e il Teatro Bol'soj a metterla in scena già nell'estate. In seguito Cajkovskij, sempre convinto della bontà del lavoro, suggerì di replicarla unitamente alla sua ultima opera Jolanta (questo accoppiamento è ancora in uso: è stato riproposto, per esempio, al Teatro Regio di Torino nella stagione 1979-80).

In seguito, alcune parti staccate dell'opera, come le danze, vennero inserite in concerti sinfonici, contribuendo a far nascere intorno ad Aleko un'autentica popolarità, che finì per irritare addirittura Rachmaninov, non ignaro dei difetti della partitura. I trionfi a Mosca degli anni 1899 e 1904, va ricordato, furono dovuti soprattutto all'interpretazione e al nome del protagonista: il basso Fèdor Saljapin.

Prima di passare alla descrizione dell'opera, è ancora necessario accennare al nome del librettista: Vladimir Nemirovic-Dancenko (1858-1943) che allora, nel 1892, era un bravo critico e letterato, e in seguito, dopo l'incontro con Stanislavskij (1897), sarebbe divenuto animatore del "Teatro d'Arte di Mosca", contribuendo in modo determinante alla nascita del grande teatro russo "di regìa".

La vicenda dello zingaro esiliato Aleko è triste e tragica. Egli ha da Zemfira un figlio, ma la donna ha iniziato ad amare un Giovane zingaro. Zemfira è libera come sua madre Mariula, che abbandonò anni addietro il padre con Zemfira bambina, per fuggire con un altro zingaro. Zemfira non fa mistero pubblicamente di detestare Aleko, sotto gli occhi del quale intreccia duetti d'amore col suo amante. Come se non bastasse, lo provoca, decantandogli l'ardore del Giovane Zingaro.

Aleko, che l'ama ancora, ricorda con struggente nostalgia i giuramente ascoltati dalla donna quando era lui l'oggetto della sua passione. Durante un'ennesima provocazione degli amanti li pugnala: prima lui, poi lei. Di fronte al sangue versato, il padre di Zemfira, il vecchio e saggio capo tribù, ingiunge all'assassino di allontanarsi. Aleko resta solo con la sua disperazione.

Aleko avrebbe potuto divenire, nel clima di idealizzazione romantica del mito degli zingari, un canto dell'infedeltà, come metafora dell'ispirazione alla libertà selvaggia. Invece si trasformò, italianamente, in un'opera di gelosia e coltello, con una coppia di soprano e tenore che si amano, e un baritono che pone fine al loro spensierato idillio. Aleko è un'opera notturna, in cui Rachmaninov rivela già quella sua tipica propensione per l'ombroso umor nero che trapela da melodie e armonie romantiche intrise di esotismo. Considerarla una caricatura in formato ridotto di un'opera russa dell'Ottocento è tuttavia forse ingiusto, poiché vi si ascoltano pagine notevoli.

Nell'opera, Cajkovskij e Borodin sono gli autori più imitati. Ma la melodia di Rachmaninov, a differenza di quella cajkovskijana, è molto più votata al pessimismo introverso che all'eleganza suadente. L'autore ha l'ingenuità drammatica di allungare le parti accessorie, come danze e cori (ove ricalca Borodin), e porre minore attenzione ai nodi drammatici della vicenda. Aleko non ha mai esplosioni di collera e persino il doppio omicidio non viene evidenziato con forza.

Tuttavia, malgrado gli scompensi formali, vi sono parti belle: il racconto del vecchio, all'inizio, introduce un'aura di disgrazia di notevole interesse drammatico. Il congedo dei due amanti, sottolineato dalla voce romantica del corno, è particolarmente toccante. Curiosa, più avanti, la forma in cui si alternano le strofe melodiche di Zemfira e gli scontrosi recitativi di Aleko. Cuore palpitante dell'opera è la scena della solitudine del protagonista, introdotta da una variante molto suggestiva del tema di Zemfira. Questa gemma romantica, ricca di sensuali frammenti wagneriani e notturne alonature dell'orchestra, vale, da sola, l'ascolto dell'opera intera: una copia di Cajkovskij più commovente dell'originale. Anche l'intermezzo per orchestra, che segue e sottolinea l'amaro soliloquio di Aleko, è pagina variopinta e ricca di fascino.

La rivisitazione musicale di movenze folkloristiche russe lascia spazio, nella partitura, a frequenti arcaismi. L'uso dell'arpa, quando accompagna sezioni di canto strofiche, dona a queste parti un carattere di ballata, restituendo molto bene all'epicità della poesia il suo primitivo significato di rivisitazione colta del verso popolare. Ci sono momenti in cui si sente la responsabilità dell'allievo di fronte ad una commissione d'esami: il contrappunto scolastico, affidato al coro nel momento in cui s'è compiuto il doppio omicidio, sebbene non disadatto, rientra presumibilmente in questo genere di preoccupazioni accademiche.

Abbastanza convincente è il "belcanto" romantico affidato agli adulteri, dei quali il Giovane zingaro, volutamente privo di spessore psicologico, pare un'eco sbiadita della giovanile e zingaresca irresponsabilità di lei. Aleko è invece tutto tratteggiato con quel "fiero cipiglio" che Stravinsky spiegherà essere la caratteristica portante dell'uomo Rachmaninov, quando i due musicisti, contemporanei e diversissimi, si frequentarono a Hollywood, anch'essi, come Aleko, esuli e lontani dalla patria.

Franco Pulcini


(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 gennaio 1989


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Ultimo aggiornamento 20 gennaio 2012