Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte, op. 19


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Lento - Allegro moderato
  2. Allegro scherzando
  3. Andante
  4. Allegro mosso
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: estate - 12 dicembre 1901
Prima esecuzione: Mosca 2 dicembre 1901
Edizione: Gutheil Breitkopf, marzo 1902
Dedica: Brandukov
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Rappresentante del conservatorismo formale insieme a Glazunov e Medtner e in aperta polemica con l'estetica populista e rinnovatrice del gruppo dei Cinque, Rachmaninov ha sempre goduto del favore del pubblico e nello stesso tempo è stato costantemente e violentemente osteggiato dalla critica colta o per lo meno da una parte importante di essa, che non ha mai gradito la sua posizione di epigono postromantico, eclettico e di sfumata civetteria salottiera. Appartenente alla generazione di Scriabin, di cui fu condiscepolo al Conservatorio di Mosca, Rachmaninov rimase in una posizione isolata e perseguì con coerente ostinazione una sua strada più tradizionale che moderna, nel solco di un romanticismo favorito dalle sue inclinazioni e dalle sue preferenze verso le opere di Chopin, Liszt, Anton Rubinstein, Otto Nicolai e soprattutto del suo idolo più amato, Ciaikovsky.

Il suo nome resta legato ai quattro concerti per pianoforte e orchestra, specie il secondo e il terzo, alle liriche da camera, ai pezzi per pianoforte, fra cui il celebre Preludio in do diesis minore, che ebbe un successo strepitoso e diede risonanza internazionale all'autore, e ad alcune pagine per violino o violoncello e pianoforte dove la sua eleganza di melodista e di cesellatore della frase musicale si afferma in modo netto e preciso. La Sonata op. 19 è sotto questo profilo abbastanza indicativa per capire la personalità di Rachmaninov, anche se risale al suo periodo giovanile; l'autore la compose nel 1901, nel corso di una delle tante tournées da lui compiute come pianista in Russia e in Europa. La Sonata non è tra le composizioni più eseguite di questo musicista ed ha uno sviluppo piuttosto ampio ed articolato.

L'iniziale tema in tempo 3/4 è affidato al violoncello e acquista ben presto un andamento più allegro che vede il pianoforte sostenere con scale arpeggiate e piglio vigoroso la espressiva frase melodica. Il dialogo fra i due strumenti si infittisce e diventa molto mosso e ricco di effetti brillanti, dopo una linea pianistica ascensionale di derivazione lisztiana. Il secondo movimento è pieno di chiaroscuri in un gioco di diminuendo e di crescendo tra i due strumenti, che danno vita ad una serie di figurazioni armoniche in cui il pianista ha la possibilità di dispiegare con eloquenza la sua presenza virtuosistica. Più semplice e cantabile è l'Andante successivo, dove Rachmarìiriov si abbandona al suo tipico crepuscolarismo che troverà nei Preludi il momento più emblematico della sua personalità di compositore. Ritmicamente saldo e punteggiato da armonie di gusto tardoromantico è l'Allegro finale, che si scioglie in una elegante e vivacissima coda, molto variopinta e frastagliata nella sua tessitura sonora.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Al contrario di quanto sta accadendo per alcuni musicisti - inutile farne i nomi - il cinquantenario della scomparsa di Rachmaninov (nonché centoventesimo della nascita) sta trascorrendo nella quasi indifferenza. Persino nel suo paese, dov'era amato al punto che durò pochissimo l'ostracismo che seguì alla sua dichiarazione di condanna del comunismo, ora hanno problemi ben più gravi da affrontare. Il suo arcifamoso Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra, per la malcapitata propensione a confluire nelle colonne sonore di numerosi film (il colpo di grazia glielo diede quello con Marilyn Monroe, Quando la moglie è in vacanza), è quasi scomparso dai programmi e persino i pianisti tendono a preferirgli il quasi coetaneo (tra loro non corrono neanche dodici mesi di differenza) Skrjabin, giudicato più moderno. L'opera in un atto Aleko, che piaceva a Ciaikovski, gode per sua fortuna di qualche considerazione anche da parte delle istituzioni concertistiche; per contro, l'altra più importante, Il cavaliere avaro da Pushkin, che due anni fa la Sagra Musicale Umbra aveva intenzione di introdurre per la prima volta in Italia, dovette essere cancellata dal cartellone per sopravvenuta mancanza di fondi.

In questa temporanea caduta d'interesse per la musica di Rachmaninov, la proposta della Sonata per violoncello e pianoforte in sol minore op. 19, trascuratissima anche nei periodi delle maggiori fortune del compositore russo, viene a collocarsi, più che atto riparatorio, come un'affascinante e sorprendente riscoperta. La data di scrittura, 1901, è garanzia di una pienezza di mezzi mai più superati, anche se l'autore aveva soltanto ventotto anni. Il 1901, non va dimenticato, è anche l'anno del Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra, con il quale la Sonata ha in comune alcuni passaggi.

Rachmaninov compose musica da camera soprattutto negli anni di conservatorio. E' una produzione scarsa, ma in questo campo neanche gli altri musicisti russi furoso molto più prolifici. Tra questi pochi lavori, è curioso come il violoncello occupi un posto di tutto riguardo. Se ne occupa per la prima volta a diciassette anni, per amore della lontana cuginetta quindicenne Vera Skalon - con la cui famiglia aveva trascorso un'estate in campagna - dedicandole una delle sue prime cose, la Romanza per pianoforte e violoncello. Le composizioni che seguirono sono un Pezzo per la stessa formazione strumentale, un Trio élégiaque del 1892, cui ne seguì un altro l'anno successivo, in memoria di Ciaikovski, e 2 Pezzi ancora per violoncello e pianoforte. In tutte, oltre all'inconfondibile taglio accademico e a un contenuto inequivocabilmente salottiero, risulta evidente uno squilibrio tutto in favore del pianoforte.

Va però osservato che, dal secondo Trio élégiaque, partner costante del giovane Rachmaninov nelle esecuzioni pubbliche di questi lavori è il celebre violoncellista Anatol Brandukov, che allora si avvicinava alla quarantina ed era da poco rientrato a Mosca dopo una decennale permanenza a Parigi. E' abbastanza possibile che il gran salto di qualità raggiunto con la Sonata op. 19, dedicata tra l'altro allo stesso Brandukov, sia il risultato delle frequentazioni e delle conversazioni con questo virtuoso e, forse, dei suoi consigli.

Anche qui, tuttavia, è avvertibile un leggero squilibrio, ma in questo caso lo si può senz'altro ritenere responsabile soltanto dell'originalità e del fascino di questa straordinaria composizione, densa di colori drammatici e ricca di effetti virtuosistici. Dopo un lento solitario ingresso del violoncello che precede l'esposizione del primo tema, il pianoforte interviene perentorio con un secondo tema di sapore schumanniano e, sino alla fine del secondo tempo, non rinuncia più ad una funzione di protagonista, mentre l'altro strumento deve contentarsi di un ruolo d'accompagno. Altrove però il dialogo si fa più articolato o, come nell'Andante, pianoforte e violoncello si scambiano i ruoli con splendidi risultati.

Può apparire inspiegabile, se non singolare, che dopo la riuscita di questo pezzo il compositore russo non si sia più cimentato in musiche per pianoforte e violoncello. La spiegazione sta forse nel fatto che, dopo Brahms, questa classicissima formazione cessò di interessare i musicisti, più attratti da altre soluzioni linguistiche. Il caso di Rachmaninov era destinato a rimanere un esempio sporadico, insieme a quelli di Debussy, Strawinsky e pochi altri.

Ivana Musiani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata per violoncello e pianoforte op. 19 di Sergej Rachmaninov si inserisce a pieno titolo tra quelle partiture fondamentali per questo tipo di formazione, per quanto ancora non sia molto eseguita. Siamo di fronte a una composizione dalle enormi proporzioni, sia strutturali (è formata da quattro ampi movimenti) sia tecnico-musicali. È il 1901 e il ventottenne Rachmaninov, dopo importanti problemi di salute, sta lavorando contemporaneamente al Concerto per pianoforte n. 2. Quest'ultimo lavoro influenza non poco l'opera 19; oltre a risentirne timbri, melodie e armonie, se ne rinviene l'idea strutturale: al pianoforte è chiesto uno sforzo tecnico titanico, quasi fosse una partitura solisti¬ca, e al violoncello si richiede un suono e un'idea orchestrale. Una sfida enorme che si evidenzia sin dalle prime battute.

Il primo movimento si apre con un Lento in cui subito i due strumenti si mettono in dialogo: il pianoforte, con un piccolo disegno ascendente alla mano destra e una successione accordale alla sinistra; il violoncello, con note lunghe interrotte da piccole imitazioni del disegno pianistico. Il clima oscuro e pacato di quest'inizio viene interrotto dal pianoforte che introduce l'Allegro moderato. Un tappeto di semicrome sostiene e increspa il tema esposto dal violoncello. Poche battute più avanti i due strumenti si danno il cambio: il pianoforte da solo espone il secondo tema, più calmo e pensieroso. "L'area" di questo tema, fortemente lirica, ricorda molto per struttura armonica il secondo movimento del Secondo concerto per pianoforte (il dialogo tra clarinetto e orchestra). Lo sviluppo non presenta nuove idee tematiche, ma un approfondimento di quanto sentito nell'esposizione. Il pianoforte è molto impegnato con una scrittura spesso accordale e il violoncello sugli acuti, in un crescendo di tensione che sfocia nella ripresa e nella conclusiva coda.

Il secondo movimento - Allegro scherzando - è in do minore. Nella prima sezione è caratterizzato da un moto perpetuo di terzine di ottavi al pianoforte nel registro grave, note legate "a due" e accordi che passano dalla mano destra alla sinistra. Il violoncello ha delle terzine o crome legate "a due". In quest'inizio si ritrova la scrittura schumanniana o quella di Schubert nell'ultimo movimento del Quartetto "La morte e la fanciulla". In contrapposizione a questa prima sezione si inserisce una seconda, molto luminosa (in mi bemolle maggiore), contraddistinta da un canto spianato del violoncello su un accompagnamento di arpeggi del pianoforte. Queste due zone di ombra e luce che si alternano contraddistinguono tutto questo movimento.

L'acme della Sonata però si palesa nell'Andante del terzo movimento. Mai come in questo tempo i due strumenti dialogano così tanto, intrecciandosi, passandosi le idee melodiche. E sempre il pianoforte a introdurre il tema, con il violoncello a rispondere per poi volteggiare verso registri estremamente distanti tra di loro. Il carattere è profondamente crepuscolare e lo si ritroverà, con accenti molto simili, nei Preludi pianistici dello stesso Autore.

Il quarto e ultimo movimento - Allegro mosso - è in sol maggiore e si apre con una modulazione ai toni lontani rispetto agli impianti tonali degli altri mo¬vimenti (sol minore, do minore, mi bemolle maggiore) che produce un cambio di modo rispetto al primo movimento e un'"affinità di terza" con il penultimo. È un rondò-sonata dal carattere brillante. Il pianoforte introduce il tema, molto nervoso, ripreso dal violoncello. Poche battute e compare il secondo tema in re maggiore, al violoncello, molto più di-steso e cantabile. Da qui si apre una lunga sezione rielaborativa dal piglio appassionato e drammatico. Prima dell'ampia coda finale c'è tempo per ascoltare tutto il materiale tematico, si susseguono varie sezioni dalle diverse agogiche e si giunge a un Meno mosso, statico, riflessivo, un piccolo respiro prima del Vivace che in un costante crescendo dinamico concluderà il brano affermando la luce della tonalità di sol maggiore.

Mario Leone


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 18 gennaio 1974
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 febbraio 1993
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 331 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 30 luglio 2018