Sonata per pianoforte n. 2 in si bemolle minore, op. 36


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Allegro agitato
  2. Non allegro
  3. L'istesso tempo - Allegro molto
Organico: pianoforte
Composizione: Gennaio - Agosto 1913, rivista nel 1931
Prima esecuzione: Mosca, 3 Settembre 1913
Edizione: Gutheil, 1914
Dedica: M. Presman
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La grande Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36, è opera di grande complessità musicale, scritta dal compositore nel 1913 e poi rielaborata, con alcuni tagli, nel 1931, in modo da renderla più adatta all'esecuzione di fronte al pubblico. All'inizio siamo subito sorpresi dal primo tema dell'Allegro agitato che entra con impeto sulla scena con toni martellanti e perentori; come schegge appuntite echeggiano violentemente gli accordi che lo compongono e presto danno adito a ulteriori, convulse asserzioni. Questo tema viene però come riequilibrato dal secondo elemento, un'idea calma e serena, tranquilla, dalle armonie trasparenti. È proprio questo secondo tema che ogni volta interverrà come a stemperare l'impeto e lo slancio epico del primo elemento, alternandosi a esso nelle varie entrate, ogni volta variamente rielaborate e sviluppate.

Il secondo movimento, Non Allegro è definito da un delizioso e molto meditativo tema principale, seguito da una serie multiforme di varianti ed episodi che ci presentano ogni volta situazioni diverse ed inaspettate. Il profilo tematico, moderatamente discendente, ricorda qualche delicato corale, ma già dal primo episodio sentiamo di quali meravigliose trasformazioni sia capace di indurre ed ispirare. All'interno dei ritorni periodici del tema principale e dell'inserimento di episodi assistiamo anche all'inserto di elementi del primo movimento, con il primo ed il secondo tema mirabilmente trasformati e trasmutati che funzionano da collante formale e strutturale dell'architettura. Ora sentiamo una risonante cassa armonica sopra lucidi, cristallini accordi, ora un delizioso canto spiegato reso via via più appassionato, mosso e coinvolgente, ora ci piombano addosso fibrillanti scalette, ora ecco un attacco martellante ed impetuoso che pare voler travolgere ogni ostacolo, ora ecco il tema principale del Non Allegro addolcirsi in un caldo abbraccio. Questo tempo, che sta a metà strada dell'intera sonata, è un po' il fulcro formale del brano, il vero punto di volta, prima del brusco irrompere dell'ultimo movimento.

Il terzo tempo è un Allegro molto dallo slancio rabbioso. Ancora una volta gli elementi tematici sembrano direttamente derivare da una sapiente opera di permutazione ritmico melodica ricavando profili ed assonanze con il primo e secondo tema del primo movimento. In pochi attimi siamo precipitati in un furioso ribollire di suoni. Talvolta il volto digrignante del tema principale è permutato in spunti più briosi, divertiti e vivaci, eppure sempre energici. Nella parte centrale del movimento l'agitazione lascia spazio a un momento più lirico. Si ammorbidiscono i toni e un meraviglioso spunto cantabile echeggia come una soave poesia. Che incanto di suoni! Ecco ora che il canto diventa palp¬tante, si arricchisce del peso degli accordi che vengono lasciati riverberare dolcemente. D'improvviso torna però il rutilante tema principale con il suo profilo così accidentato. Nel momento di straordinaria enfasi dell'epilogo le ultime asserzioni sono grandiosamente pronunciate sopra tornite armonie, prima che una sorta di stretta finale (Presto) spinga velocemente questa bellissima Sonata a conclusione nelle ultime asserzioni, rese però ora maestose e raggianti dal netto virare del piano tonale al modo maggiore. Questa pagina, così grandiosa e tecnicamente impervia, ebbe come celebre interprete Vladimir Horowitz, la cui esecuzione fu sempre ritenuta da tutti esemplare. Lo stesso Sergej Rachmaninov ebbe un giorno a dire: «Egli suona la mia seconda sonata meglio del suo compositore». Un vero e indiscutibile imprimatur d'autore.

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1915 Skrjabin scomparve, a quarantatré anni, per setticemia causata probabilmente dalla puntura d'un insetto. Rachmaninov deecise di onorarne la memoria - e di aiutarne finanziariamenle la vedova e gli orfani - tenendo in varie località un recital con musiche di Skrjabin. Era di un anno più giovane di Skrjabin, Rachmaninov, ed era stato suo compagno di studi nel conservatorio di Mosca. All'inizio degli anni Novanta risalivano le prime importanti composizioni di Rachmaninov, all'inizio degli anni Novanta le prime importanti composizioni di Skrjabin. Entrambi collocavano nel pianoforte il centro dei loro interessi, entrambi ricavavano dall'attività di pianisti concertisti la parte preponderante dei loro guadagni.

Simili, dunque, per molti aspetti. Ma i loro padri spirituali erano diversi: Skrjabin discendeva da Chopin, Rachmaninov da Liszt. E i loro ardenti ammiratori avevano in comune solo il disprezzo dell'"altro". Rachmaninov, pur criticatissimo dalla falange degli skriabinisti, portò a termine il compito che si era prefisso. E tuttavia segnò il suo distacco dal collega fissando come limite per il suo programma skrjabiniano la Sonata n. 5. La Sonata n. 2 op. 36 di Rachmaninov, scritta nel 1913, è contemporanea della Sonata n. 10 di Skrjabin. Chi legge l'una e l'altra si trova di fronte a due mondi diversi, addirittura opposti, o forse inconciliabili.

La diversità più evidente consiste nel fatto che la Sonata di Skrjabin, come già detto, è in un tempo solo, mentre quella di Rachmaninov è in tre tempi, con secondo e terzo collegati. Evidente è la diversità del linguaggio: innovativo, e personalissimo quello di Skrjabin, tradizionale - ma non epigonico! -quello di Rachmaninov. La Sonata n. 10 è contemporanea degli schizzi per il Mistero, il grande progetto di cerimonia parareligiosa da svolgere per una settimana sulle pendici dell'Himalaya, in un palazzo di cristallo circondato da un lago. La Sonata n. 2 di Rachmaninov è contemporanea della Sinfonia-Cantata "Le campane", su testo di Poe tradotto da Balmont. Quattro tempi: campane d'argento della nascita, campane d'oro delle nozze, campane di bronzo della guerra, campane di ferro della morte. E chi fa rintoccare le campane di ferro è uno spirito maligno che abita nella torre. Un lavoro catastrofico, dunque. Ma nel 1915, mentre Skrjabin, morendo, lascerà appena abbozzato il Mistero, Rachmaninov scriverà i Vespri per coro a cappella, lavoro che utilizza in parte i canti liturgici della Chiesa Ortodossa.

Di fronte alla tragicità della storia - l'Europa è precipitata nella Guerra Mondiale - Skrjabin si rifugia dunque nel sogno di una palingenesi, di un riscatto universale, mentre Rachmaninov riscopre la religione positiva dei padri. La Sonata n. 2 si colloca al limite estremo della poetica eroica di Rachmaninov, e tra la Sonata e la Sinfonia-Cantata passa la stessa differenza che corre tra la Quarta e la Quinta Sonata di Skrjabin, ottimistica la prima, pessimistica la seconda. La Sonata di Rachmaninov, che inizia in si bemolle minore, termina in si bemolle maggiore, con l'apoteosi trionfante del secondo tema del finale, e quindi con la più classica delle catarsi.

Avevo detto che la retorica espositiva è perfetta, nella Quarta di Skrjabin. Lo è, altrettanto, nella Seconda di Rachmaninov. Il primo tempo è basato sul radicale contrasto di due temi principali, drammatico il primo, lirico, quasi cantilenante il secondo. Lo schema generale è tradizionale, molto tradizionale, ma vari particolari strutturali appaiono inconsueti, come, starei per dire, un insolito atteggiamento della Vergine o un tratto inatteso dell'ambientazione in un'Annunciazione che segue lo schema iconografico tradizionale.

Il secondo tempo, meditativo, prepara la lotta del terzo tempo che al secondo è collegato. Il terzo tempo, con i suoi ritmi agitati e marziali, simboleggia la lotta tra i due principi opposti di cui parlava Beethoven, il principio di opposizione e il principio implorante. "Vince" il secondo, come dicevo, ed è anche prevedibile che vinca, ma la progressione verso la vittoria è superbamente condotta da un artista che, pur applicando formule ormai storicizzate, riesce a farle rivivere.

La Sonata, composta nel 1912, fu eseguita per la prima volta da Rachmaninov stesso a Mosca, il 13 dicembre 1913. Nel 1931 Rachmaninov la ritoccò ampiamente, sia intervenendo sulla struttura (questa seconda versione è più breve della prima per circa un quarto di durata), sia semplificando la scrittura pianistica, che nella prima versione era faticosissima per l'esecutore. La maggior parte dei pianisti sceglie la seconda versione. Vladimir Horowitz, non interamente soddisfatto né della prima né della seconda, preparò nel 1943 una terza versione, quella che eseguì poi di frequente e che è conservata in disco, e per la quale, a suo dire, ottenne da Rachmaninov la piena approvazione.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36, pur risalendo a molti anni prima, quando Rachmaninov non aveva ancora lasciato definitivamente il suo paese d'origine, è stata concepita e iniziata molto lontano dalla Russia, per l'esattezza a Roma, dove all'inizio del 1913 il musicista trascorse alcuni mesi con la sua famiglia: «A Roma mi è riuscito di affittare lo stesso appartamento su Piazza di Spagna che ha usato per molto tempo Modest Caikovskij e che è servito a suo fratello come rifugio temporaneo dai suoi numerosi amici. È formato da alcune stanze tranquille e ombreggiate e appartiene a un onesto sarto. Con mia moglie e le bambine alloggiavamo in una pensione e ogni mattina mi recavo nell'appartamento per comporre, rimanendovi fino alla sera. Non c'è niente che mi aiuti come la solitudine. Per me è possibile comporre soltanto quando sono solo e niente dall'esterno ostacola il flusso delle idee. L'appartamento su Piazza di Spagna era ideale per questo. Passavo tutto il giorno al pianoforte o alla scrivania, e non lasciavo la penna fino a quando il sole calante non aveva colorato d'oro i pini sul Monte Pincio. Lì ho lavorato alla mia Seconda Sonata per pianoforte e alla Sinfonia corale Le campane».

Questo piacevole e proficuo soggiorno romano venne bruscamente interrotto dalla forma di tifo che colpì le sue due bambine, costringendo i Rachmaninov, che non si fidavano dei medici italiani, a rientrare in fretta a Berlino per farle curare; non appena fu possibile, si spostarono a Ivanovka, in Russia, nella tenuta di campagna della famiglia della moglie del compositore. Qui Rachmaninov potè ritrovare quella tranquillità di cui aveva goduto a Roma e che gli era indispensabile per poter comporre; in una sua lettera da Ivanovka del 29 luglio si legge: «Negli ultimi due mesi ho lavorato per tutto il giorno. Quando mi sento troppo stanco, salgo in macchina e guido per circa 50 verste all'aria aperta sulla strada principale. Respiro l'aria e benedico la libertà e il cielo azzurro. Dopo un simile bagno d'aria mi sento più fiducioso e più forte».

La tranquillità di Ivanovka e i benefici del contatto con la natura portarono i loro frutti: durante l'estate Rachmaninov terminò sia la cantata Le campane che la Seconda Sonata per pianoforte. La Sonata fu presentata al pubblico per la prima volta a Mosca da Matei Pressmann, che era stato suo compagno di studi nella classe di Zverev, il 3 dicembre del 1913, tre giorni dopo che il compositore aveva diretto la prima della cantata Le campane op. 35, e fu pubblicata da Gutheil nel giugno del 1914 con dedica a Pressmann.

Nel giro di pochi anni Rachmaninov iniziò a comporre sempre meno e a dedicarsi sempre più all'attività concertistica come pianista e direttore d'orchestra. Agli inizi degli anni Trenta, quando ormai divideva la sua vita fra la Svizzera e gli Stati Uniti e come autore era giunto a un silenzio quasi totale, decise di rivedere drasticamente alcune sue composizioni degli anni precedenti. Una delle "vittime" fu il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra, composto nel 1891: «Guardando ai miei lavori giovanili mi accorgo di quanto c'è di superfluo in essi. [...] Ho riscritto il mio Primo Concerto; adesso va davvero bene. [...] E incredibile quante stupidaggini ho fatto a diciannove anni».

Ma questa esigenza di maggiore essenzialità non investì solo le opere giovanili e interessò anche la Seconda Sonata, scritta all'età di quarant'anni: «Perfino in questa Sonata ci sono troppe voci che si muovono simultaneamente ed è troppo lunga. La Sonata di Chopin dura diciannove minuti, e dice tutto ciò che c'è da dire». Rachmaninov tagliò circa centoventi battute, semplificando la scrittura ed eliminando i passaggi più esageratamente virtuosistici: in questa nuova versione, che rimane comunque di una difficoltà spesso improba, la Sonata fu pubblicata da Tair nel novembre del 1931.

Sembra però che ancora nel 1940 Rachmaninov non fosse pienamente soddisfatto del risultato ottenuto, giungendo ad accettare che Vladimir Horowitz presentasse in pubblico e incidesse in disco una "sua" versione della Sonata in si bemolle minore.

Tra i motivi che nel 1931 indussero Rachmaninov a "semplificare" la sua Seconda Sonata non va però dimenticata anche l'artrite che in quel periodo aveva colpito le sue mani, costringendolo a ridurre drasticamente l'attività concertistica. Se da un lato la malattia gli offrì, suo malgrado, la tranquillità necessaria per tornare momentaneamente a comporre (e il frutto furono le Variazioni su un tema di Corelli per pianoforte), dall'altro gli fece intravedere una prospettiva davvero sconvolgente: «I vasi sanguigni sulla punta delle dita hanno iniziato a rompersi e si sono formati dei lividi. A casa non ne ho parlato molto, ma può accadermi durante qualunque concerto. [...] Probabilmente è l'età. Ma toglimi anche questi concerti e per me sarà la fine».

Articolata in tre movimenti che si succedono senza soluzione di continuità, la Sonata inizia con un appassionato Allegro agitato in cui attraverso una scrittura altamente virtuosistica e servendosi del contrasto fra le atmosfere espressive dei due temi principali Rachmaninov dà vita a una pagina intensa ed emozionante. Sette battute di Non allegro introducono direttamente all'incantevole Lento centrale, la cui malinconica melodia in 12/8 - che poi si va via via, animando e gonfiando nel corso di una serie di variazioni - sembra rievocare quella del Momento musicale in si minore op. 16 n. 3 del 1896; ma i toni, che lì erano quelli un po' declamatori di una disperazione livida e cupa, si fanno qui più distesi e misurati, evocando un'atmosfera pervasa da uno spleen delicato. Il ritorno delle sette battute di transizione (L'istesso tempo) prelude all'esplosione dell'Allegro molto finale, in cui la Sonata ritrova lo slancio impetuoso del movimento d'apertura ma in un contesto espressivo sempre più brioso e positivo, fino alle trionfali pagine conclusive in tonalità maggiore.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 250 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 27 maggio 2005
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 aprile 1997


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Ultimo aggiornamento 5 dicembre 2014