Trio elegiaco n. 2 in re minore per pianoforte, violino e violoncello, op. 9


Musica: Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
  1. Moderato. Allegro vivace
  2. Quasi variazione. Andante
  3. Allegro risoluto
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: 25 ottobre - 15 dicembre 1893
Prima esecuzione: Mosca, Sala piccola del Conservatorio, 31 gennaio 1894
Edizione: Gutheil, 1894, - Breitkopf, 1907
Dedica: «In memoriam P.I. Cajkovskij»

Revisionato nel 1907
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Rachmaninov è una delle ultime incarnazioni della figura di concertista-compositore dell'epoca tardoromantica, secondo la tradizione di un Liszt e di un Busoni, e si può dire che il suo nome sia legato più all'attività di interprete (pianista e direttore d'orchestra) che non a quella di autore e creatore di musica, anche se la sua produzione è abbastanza rilevante e comprende tre lavori teatrali (tra cui il più noto è Francesca, da Rimini), due oratori, tre sinfonie, diversi poemi sinfonici, un numero cospicuo di liriche vocali e quattro concerti per pianoforte e orchestra. Infatti Rachmaninov fu un formidabile virtuoso della tastiera e riversò principalmente nelle composizioni per pianoforte (di morceaux e préludes ne scrisse molti) tutto il suo mondo espressivo e il suo temperamento solitario e introverso, incurante e quasi sprezzante verso tutto ciò che fermentava come novità nella vita musicale nel periodo compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale.

È vero che l'autore delle celebri Danze sinfoniche ebbe sempre un atteggiamento distaccato e a volte polemico nei confronti del gruppo dei Cinque e in special modo di Musorgskij, ma non si può negare che anche in Rachmaninov, che subì l'influsso della musica di Cajkovskij, il quale aveva preconizzato all'illustre pianista quando era ragazzo un radioso avvenire artistico, si avverta il segno di un russismo folclorico e popolaresco con una netta predisposizione verso una visione della vita carica di struggente malinconia e di dolente tristezza, che è un po' il filo rosso dell'anima poetica slava. Non per nulla Rachmaninov, pur avendo lasciato il suo paese allo scoppio della Rivoluzione del 1917, gode in URSS di larga stima e le sue composizioni sono pubblicate in edizioni critiche ed eseguite spesso nelle sale da concerto.

Il gusto per la frase elegante e di intonazione sentimentale, nel contesto di una forma chiara e precisa nelle sue componenti melodiche e ritmiche, è presente nel Trio élégiaque in re minore op. 9, che è il secondo con lo stesso titolo scritto da Rachmaninov nel 1893, un anno dopo il famoso Preludio in do diesis minore per pianoforte con il quale si affermò internazionalmente il nome del musicista. Anche in questo caso l'obiettivo del compositore è di dare risalto alla specifica personalità dei tre strumenti in un gioco di misurato equilibrio tra le parti nelle quali quello che conta è l'espressione dello stato d'animo dell'artista. L'abilità e l'originalità del compositore si rivela soprattutto nel movimento centrale, dove predomina il concetto della variazione, largamente introdotto dall'autore in molti suoi lavori sinfonici, più largamente conosciuti di questa pur pregevole pagina cameristica. Al di là della freschezza e scorrevolezza tematica, il Trio si lascia ammirare per la suadente e morbida evocazione di un mondo armonico acquisito culturalmente da ciascuno di noi e le cui sincere emozioni sono dettate dagli impulsi del cuore, nel rispetto delle scelte estetiche di scuola romantica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Pianista eccelso, tra i più grandi in un'epoca che non è stata certo avara di virtuosi della tastiera degni d'entrare nella leggenda, Sergej Rachmaninov ha faticato molto a farsi accettare come compositore, soprattutto in occidente. Il pubblico era poco o niente interessato ai suoi lavori più ambiziosi - da cui egli sperava d'ottenere il pieno riconoscimento della propria statura di compositore - ed era disposto ad applaudire soltanto le sue composizioni pianistiche, meglio se suonate da lui stesso. Peggio ancora, la critica lo giudicava il retrogrado rappresentante d'un romanticismo ormai esausto o lo considerava addirittura un compositore della domenica, che si ostinava a scrivere musica senza rassegnarsi al destino che ne aveva fatto uno straordinario interprete ma non un grande creatore. Rachmaninov invece si considerò sempre innanzitutto un compositore, sebbene la sua vena creatrice si fosse affievolita fin quasi a inaridirsi, dopo che la rivoluzione del 1917 lo spinse all'esilio in America, rescindendo il cordone ombelicale con la terra e la cultura russe.

Rachmaninov considerava la composizione il mezzo per esprimere gli aspetti più soggettivi e intimi della propria personalità, condividendo totalmente la concezione tardoromantica della musica come una confessione che - secondo le sue stesse parole - "nasce solo dal cuore e si rivolge al cuore", che "è amore" e "ha per sorella la poesia e per madre la sofferenza", che deve "esprimere la personalità dell'autore, il suo paese natale, i suoi amori, la sua religiosità" ed essere "la somma totale delle sue esperienze". In realtà come compositore ha toccato tematiche più ampie di quel che potrebbero far credere le sue sincere ma fin troppo dirette e semplicistiche dichiarazioni di poetica, come rivelano lavori fino a ieri trascurati, quali l'opera Il cavaliere avaro, il poema sinfonico L'isola dei morti, i cori a cappella della Liturgia di San Giovanni Crisostomo e del Vespro. Anche per il Rachmaninov più popolare, quello dalla vena melodica turgida e dal lirismo espanso, disprezzato fino a ieri dalla critica perché troppo "facile", è giunto il momento della rivalutazione, come è accaduto in anni relativamente recenti a Ciaikovskij, un tempo ritenuto "facile" e sentimentalistico e ora considerato anche dalla critica più sofisticata uno dei musicisti più importanti della seconda metà del XIX secolo.

Slmilmente a Ciaikovskij, Rachmaninov incarna le contraddizioni della vecchia Europa alla fine del diciannovesimo secolo, quando le ultime passioni e gli ultimi entusiasmi dell'età romantica si spegnevano nel senso d'impotenza, nel pessimismo e nella nevrosi, cui molti cercavano di reagire abbarbicandosi ad affetti e valori in dissolvimento: questa difficoltà a entrare in sintonia con i tempi nuovi e a capire dove il mondo e l'umanità stessero andando, insomma questo rifiuto della modernità, è tipico di certe frange della cultura russa, ma è anche un atteggiamento in realtà modernissimo.

La stretta affinità tra Ciaikovskij e Rachmaninov ebbe anche manifestazioni concrete: Ciaikovskij consigliò e incoraggiò il più giovane collega quando questi era soltanto un promettente neodiplomato del conservatorio di Mosca e gli promise anche di favorire l'esecuzione di alcune sue opere. Si può facilmente comprendere che colpo fu per il ventenne Rachmaninov l'improvvisa morte del più anziano musicista: subito si mise a comporre un trio dedicandolo "alla memoria d'un grande artista", seguendo le orme di Ciaikovskij stesso, che nel 1882 aveva composto a sua volta un trio per la morte di un altro musicista, Nikolai Rubinstein. Anche nella scelta del titolo Elegiaco si deve vedere un commosso omaggio a Ciajkovskij, che aveva intitolato Pezzo elegiaco il primo movimento del proprio trio.

Questo Trio n. 2 in re minore per pianoforte, violino e violoncello op. 9 fu iniziato il 25 ottobre 1893 e completato il 15 dicembre; il 31 gennaio 1894 ebbe luogo la prima esecuzione, nella piccola sala dell'Assemblea della Nobiltà a Mosca, con l'autore al pianoforte. La rapidità della composizione non significa che Rachmaninov non soffrì i dubbi e le esitazioni che sempre lo assalivano, come accadeva a Ciajkovskij: «Ho tremato a proposito di ogni frase; m'è successo di cancellare tutto quello che avevo fatto, di pensare e ripensare tormentosamente a quello che bisognava fare». E subito dopo l'esecuzione fece ancora una serie di piccole e grandi correzioni, cui altre seguirono nel 1907 e nel 1917.

Il movimento più complesso è il Moderato-Allegro vivace, che si apre con un lamento del pianoforte, poi ripreso dai due strumenti ad arco, con una gravita e una solennità che hanno qualcosa del canto ortodosso. L'intensità aumenta, preparando il passaggio fortissimo con cui il pianoforte si slancia virtuosisticamente in primo piano. Quest'Allegro vivace diventa Meno mosso ed emerge allora il canto del violoncello. La successiva sezione, Allegro moderato, presenta un tema di tre sole note discendenti (la diesis, sol, fa), che segnerà tutto il movimento, sia con la sua linea melodica sia col suo aspetto ritmico che accenna una marcia. Questo piccolo tema, diventando allo stesso tempo più espressivo e più energico, conduce al punto culminante dell'esposizione, un Presto che, per le catene di accordi cromatici del pianoforte, anticipa i futuri concerti di Rachmaninov. Modulazioni dal modo maggiore al minore creano dei contrasti tumultuosi e imprimono nuova energia al discorso, finché una cadenza pianistica conduce a un Andante dal tono di preghiera, che reintroduce il Lamento dell'introduzione, in tempo Moderato. Un ulteriore sviluppo, che esalta le differenze di registro fra i tre strumenti, cerca di ritrovare lo slancio dinamico del precedente Presto, ma il movimento si chiude semplicemente ed inesorabilmente sul breve motivo ricorrente.

Come nel trio di Ciajkovskij, anche qui il secondo movimento è in forma di variazioni. In tempo Andante il pianoforte presenta il tema, ricavato dalla fantasia per orchestra La roccia dello stesso Rachmaninov: un modo di ringraziare Ciajkovskij, che si era offerto di dirigere la prima esecuzione di quella composizione. La prima delle otto variazioni (Allegro) coinvolge tutte e tre gli strumenti, con il pianoforte in funzione principalmente di appoggio ritmico ai due archi. Il successivo Lento, è una cadenza per pianoforte solo, uno dei più bei pezzi scritti per il suo strumento dal ventenne Rachmaninov. Seguono un Allegro scherzando, in cui si può cogliere un richiamo al Notturno D 897 di Schubert, e un Moderato, che, ripropone l'atmosfera del Lamento del primo movimento. La successiva variazione (Istesso tempo) può essere considerata un commento del Lamento, con l'elegiaca melodia del violoncello sorretta dal tremolo del violino e dagli accordi del pianoforte. La sesta variazione (Allegro vivace) è un altro solo del pianoforte, che riprende uno sviluppo della Roccia e ricorda Ciajkovskij. Seguono un Andante e un Moderato, in cui il protagonista è ancora il pianoforte, ora però affiancato dagli altri due strumenti. Conclusa la serie delle otto variazioni, torna il tema, dapprima presentato in canone dai tre strumenti e poi ripetuto un'ultima volta da violino e violoncello soli.

Nettamente più breve dei due precedenti, il terzo e ultimo movimento (Allegro risoluto - Moderato) è intenso e conciso. Segue il principio ciclico, attingendo gran parte del suo materiale melodico al Moderato iniziale. Viene nettamente in primo piano la tecnica concertante del pianoforte di Rachmaninov, con accordi folgoranti che introducono vari cambiamenti di tempo e con una possente cadenza solistica che prepara il ritorno del Lamento iniziale, intonato dai due strumenti ad arco sugli accordi profondi del pianoforte, che ne prolungano la funebre risonanza nel tempo e nello spazio.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 gennaio 1987
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 novembre 2004


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Ultimo aggiornamento 22 maggio 2013