La musica da chiesa russa, ricca di sonorità puramente vocali e senza alcun sostegno strumentale, risale agli inizi del X secolo, con la diffusione da Bisanzio, attraverso la Bulgaria, allora considerata la culla del Cristianesimo nel mondo slavo, dei sacri e dei libri dell'antica liturgia religiosa. Contemporaneamente in Russia si cominciò a coltivare uno stile con caratteristiche proprie e dominato dal canto cosiddetto znamennyi o znamennyi rospev, che sta ad indicare i segni di notazione posti sopra le parole del testo, secondo una linea melodica ben precisa e senza troppi abbellimenti. Anche se alcuni di questi testi, risalenti in gran parte al XIII e al XIV secolo, sono giunti sino all'epoca moderna, bisogna dire che la notazione znamennyi a tutt'oggi non è stata completamente interpretata.
Uno dei momenti importanti nella storia dell'evoluzione della musica religiosa russa è collegato con le riforme della Chiesa ortodossa, voluta dal patriarca Nikon nella seconda metà del XVII secolo, durante il regno di Alexei Mikhailovich, padre di Pietro il Grande. Tali riforme, combattute dal gruppo dei conservatori più fanatici, conosciuti come i Vecchi Credenti, assorbirono sotto il profilo musicale alcune influenze provenienti dalla cultura occidentale. Infatti venne usata la notazione musicale di tipo europeo e fu introdotta la musica polifonica nella forma di canto a parti separate. Canti serbi, bulgari e orientali, tradotti in lingua slava per essere divulgati nella chiesa, furono ammessi nella pratica dei servizi religiosi. Con Pietro il Grande e Caterina II, nel periodo compreso tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, si fecero più invadenti le influenze musicali occidentali, specialmente italiane, fino a quando Dimitri Bortniansky, vissuto tra il 1751 e il 1825, ritenuto il primo compositore russo di musica sacra, non sviluppò la sua attività per riportare in auge lo stile degli antichi russi. Per trent'anni Bortniansky svolse il suo lavoro a capo della Cappella della Corte Imperiale e scrisse numerosi canti liturgici, suscitando l'ammirazione dei cultori della tradizione corale russa. Su questa scia si posero i suoi successori, i compositori Peter Turchaninov (1779-1856) e Alexei Lvov (1790-1870), direttore della Cappella di Corte dal 1837 fino alla morte, più conosciuto in Occidente come l'autore del vecchio inno nazionale russo "Dio salvi lo zar". Nell'Ottocento e sull'onda del movimento nazionalistico anche in campo musicale sia Balakirev che Rimskij-Korsacov e Anatol Liadov studiarono a fondo l'antica musica liturgica russa, trasferendo spesso nelle loro composizioni modi e stilemi specifici di questo genere musicale, ripresi anche da altri artisti, come E. S. Azeev e Stefan Smolenskij, quest'ultimo tenace assertore della purezza del canto liturgico ortodosso. Alla fine del XIX secolo il maggiore centro per lo studio degli antichi canti russi fu la Scuola Sinodale Russa, che proclamò il ritorno alle fonti primigenie della musica corale. In particolare Alexander Kastalskij (1856-1926) attuò una radicale riforma della musica liturgica russa, sviluppando una nuova musica corale costruita orizzontalmente e basata sulle melodie del canto znamennyi. Dal canto suo Alexander Arkhangelskij (1840-1925) fondò nel 1880 a Pietroburgo un coro, con il quale effettuò numerose tournées in Russia e in Europa, contribuendo in maniera determinante a rendere popolare il canto a cappella e potenziando la varietà espressiva delle voci. Egli fu il primo direttore di coro ad impiegare un organico misto, sostituendo le voci dei ragazzi con le voci femminili. Non va inoltre sottovalutato il contributo dato allo sviluppo della musica liturgica russa da compositori di larga fama, come Alexander Grecianinov, Sergej Rachmaninov e Pètr I. Cajkovskij.
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Non c'è dubbio che Rachmaninov sia un epigono tardo-romantico e la sua musica ha sempre suscitato pareri discordi, tanto che Alfredo Mandelli scrisse che si può legittimamente parlare a proposito del caso di questo solitario, estroso e introverso compositore «come di uno dei tipici divorzi di opinione fra critica o una parte della critica, e pubblico, avvertendo che in occasioni del genere una fetta di pubblico, quella che intende essere colta e progredita, si affretta a seguire le opinioni negative dei severi censori». In realtà ciò che si suole rimproverare a Rachmaninov è di aver percorso le vie già battute da Cajkovskij, il quale iveva preconizzato un brillante avvenire al nostro compositore, quando si era esibito al pianoforte, ancora ragazzo, in una serata musicale moscovita. Coetaneo della generazione li Skrjabin, di cui fu condiscepolo al Conservatorio di Mosca, Rachmaninov assorbì profondamente gli insegnamenti di Aleksandr Siloti, Sergej Ivanovic Taneev e Anton Stepanovic Arenskij, appartenenti alla scuola di tipo accademico e tradizionalista e si orientò verso la ricca e multiforme opera di Chopin, Liszt, Anton Rubinstein, Otto Nicolai e Nikolaj Medtner, per non parlare del già citato e idolatrato Cajkovskij. Sta di fatto che il talento di Rachmaninov, sviluppatosi molto presto in entrambe le direzioni del pianismo concertistico (fu anche accompagnatore della violinista Teresa Tua) e della composizione, approdò subito a risultati importanti, tanto da collocarlo in una posizione di rilievo, specialmente nella storia della letteratura per pianoforte. Basti citare i cinque Morceaux de fantasie op. 3 (1892), comprendenti fra l'altro il celebre Preludio in do diesis minore, il cui successo fu enorme e offuscò le ulteriori e più significative creazioni dello stesso autore; e poi i quattro concerti per pianoforte e orchestra, soprattutto il secondo e il terzo, composti tra il 1891 e il 1927 seguiti dalla famosa Rapsodia sopra un tema di Paganini (1934). Meno felice è la sua produzione teatrale: quattro opere dimenticate, tra cui la Francesca da Rimini (1906) e Paganini 1939), la sinfonica (tre sinfonie, le danze e il poema L'isola dei morti, ispirato al fantasioso e visionario quadro omonimo di Boecklin), la corale e cantatistica (Le campane su poesia di Edgar Poe). Non si può dimenticare però il ciclo dei settanta Lieder, dove Rachmaninov si rivela uno dei melodisti più liricamente espressivi nel genere già elevato da Musorgskij ad altezze di insuperata poesia d'arte.
Di particolare valore sia sotto il profilo formale che
espressivo è la raccolta che va sotto il nome di Vespro in memoria di Stefan
Smolenskij, studioso della musica liturgica ortodossa
vissuto tra il 1848 e il 1909 e maestro della cappella imperiale di
Pietroburgo. Con questi canti di lode alla divinità,
innalzati nella chiesa ortodossa la sera prima della
festività (di qui il nome di Vespri), Rachmaninov ha
condensato con notevole abilità monodica e polifonica il
senso e lo stile della musica della chiesa ortodossa, riproponendo gli
accenti e le intonazioni delle antiche melodie cantate dal popolo
russo. Il lavoro, scritto nel 1915 e articolato in quindici canti
(stasera ne vengono eseguiti sette), raggiunge effetti di straordinaria
intensità psicologica e il coro si adegua con
semplicità e chiarezza al sentimento racchiuso nel testo
liturgico. In esso spira una severità e nobiltà
di concezione di penetrante efficacia emotiva, nell'incastro
calibratissimo tra voci chiare e scure del coro, secondo la
più pura tradizione della messa di rito orientale.