L'azione si svolge a Toledo nel secolo XVIII.
L'orologiaio Torquemada esce, come ogni giovedì, a
regolare gli orologi della città, lasciando nella sua
bottega il mulattiere Ramiro, che gli aveva portato un orologio da
accomodare. La moglie di Torquemada, Concepcion, è solita
ricevere gli amanti durante l'assenza del marito e, per
levarsi di torno Ramiro, lo prega di portare una delle due pesanti
pendole in camera sua. Arriva il baccelliere Gonzalve, spasimante di
Concepcion, e recita dei carmi all'amata, ma
poiché sta ritornando Ramiro, per liberarsene la donna lo
convince ad andare a riprendere la pendola per sostituirla con
un'altra. Appena il mulattiere si allontana, Concepcion fa
entrare l'amante nell'orologio che dovrà
essere portato in camera sua. Giunge intanto un altro spasimante della
donna, il banchiere Iñigo Gómez; mentre
Concepcion si allontana per controllare che Ramiro abbia trasportato di
sopra la pendola giusta, Don Iñigo pensa di fare uno scherzo
alla donna e si nasconde nella pendola rimasta. Intanto la donna si
adira con Gonzalve che non fa altro che declamare versi e, quindi,
prega nuovamente Ramiro di riportare la pendola - che fa
troppo rumore - nella bottega, e di portare in camera sua
l'altra. Don Iñigo decide di dichiararsi alla
donna, ma rimane incastrato nella pendola; Ramiro riporterà
anche questa nella bottega. Intanto Concepcion, ormai stufa dei due
spasimanti che perdono tempo solamente a parole, e conquistata dalla
forza e dal buon carattere di Ramiro, si apparta con lui. Gli altri due
escono dalle rispettive pendole proprio nel momento in cui arriva
Torquemada e, per non essere scoperti, devono spacciarsi per
acquirenti. Ora Concepcion è rimasta senza orologio nella
sua camera ma, come consiglia lo stesso Torquemada, sarà
Ramiro che, passando al mattino sotto il suo balcone con la mula, le
darà l'ora.
Due sono i motivi che hanno spinto Ravel a musicare la commedia "L'Heure espagnole" di Franc-Nohain (pseudonimo dello scrittore Maurice-Étienne Legrand) che nel 1904 aveva riscosso un buon successo di pubblico. Il carattere brillante, ironico e umoristico del soggetto e la possibilità di fondere insieme lo stile di conversazione e il lirismo un pò ridicolo che avvolge l'intera storia, ambientata in una orologeria della vecchia Toledo del XVIII secolo. Né va dimenticato inoltre come con questa scelta Ravel mirasse ad un'affermazione sul palcoscenico dell'opera, accogliendo il desiderio espresso da suo padre, Joseph, gravemente malato. Contrariamente ai tempi di lavoro piuttosto lunghi del compositore, lo spartito per canto e pianoforte dell'Heure espagnole, fu scritto tra maggio e ottobre del 1907. Una volta terminata l'orchestrazione, Ravel sottopose l'opera al giudizio del direttore dell'Opéra-Comique, Albert Carré. Questi espresse diverse riserve, sia sul soggetto ritenuto abbastanza scabroso per quei tempi e sia sulla qualità della musica che escludeva le arie tradizionali, secondo il gusto del pubblico. Dopo qualche anno di attesa fu l'intervento decisivo di madame Jean Gruppi, moglie di un influente ministro del governo dell'epoca e alla quale l'opera è dedicata (il musicista ha scritto in calce alla partitura queste parole: "Hommage de respectueuse amitié"), a far rappresentare l'Heure espagnole all'Opéra-Comique il 19 maggio 1911 (il padre di Ravel era morto già da tre anni). L'accoglienza fu contrastata e musicisti e critici espressero in prevalenza giudizi taglienti e negativi, specie per la tessitura vocale dei vari personaggi. Satie parlò di un canto dell'usignolo con il mal di denti e un critico autorevole disse ferocemente che la musica della commedia raveliana era un esempio di "maltusianesimo melodico". Al di là di ogni esagerazione polemica, va detto che L'Heure espagnole non è un'opera scritta secondo i canoni consueti con arie, recitativi e scene d'insieme a più voci, se si esclude il quintetto finale, pagina di magistrale eleganza compositiva. Lo stesso Ravel, che aveva sperimentato questo tipo di musica di conversazione con la versione cameristica delle "Histoires naturelles" di Jules Renards (1906), si difese in risposta ai suoi oppositori in questi termini: «La lingua francese, come ogni altra, possiede i suoi accenti e le sue inflessioni musicali, e non vedo perché non ci si debba servire di queste risorse per arrivare ad una corretta prosodia». Del resto quello che conta è il risultato estetico raggiunto da Ravel in questa sua opera in un atto, da cui si sprigiona un sottile gioco di timbri e di effetti strumentali che appartengono alla ben nota intelligenza creatrice del compositore del Bolèro.
L'Heure espagnole è una gustosa pochade, con rime strambe e con arguti doppi sensi, senza tuttavia cadere nella volgarità. Al centro della vicenda, articolata in una introduzione orchestrale, in ventuno scene e in un quintetto conclusivo, c'è una piacevole e vivace donna, Concepción, moglie insoddisfatta dell'orologiaio Torquemada. Ella aspetta con impazienza i giovedì mattina quando il marito deve uscire di casa per controllare gli orologi pubblici della città e ne approfitta così per accogliere i suoi corteggiatori. Un giorno, proprio quando Torquemada sta uscendo arriva un cliente per farsi riparare l'orologio guasto. È l'aitante e robusto mulattiere Ramiro, che si dice disposto ad attendere il ritorno dell'orologiaio. Concepción aspetta i suoi corteggiatori e per levarsi dai piedi Ramiro lo invita a trasportare al piano superiore una della grosse pendole situate nella bottega. Ramiro lo fa con estrema facilità e nel frattenpo arriva lo studente Gonzalve, vanitoso e tutto preso dai suoi sogni poetici. Concepción fa finta di aver cambiato idea e chiede a Ramiro di portare al piano superiore l'altra pendola, dove rinchiude Gonzalve per farselo trasportare in camera da letto. Il mulattiere non si scompone più di tanto e assolve al suo compito con rapida disinvoltura. Il che impressiona favorevolmente l'astuta e pruriginosa Concepción. Frattanto arriva in bottega l'altro spasimante dell'orologiaia, Don Inigo Gomez, un goffo e grasso banchiere, che per fare un sorpresa a Concepción si infila con mille sforzi, per nascondersi, nell'altra pendola rimasta nella bottega. Restata sola in camera sua con Gonzalve, Concepción è delusa per l'inconcludenza dello studente e allora prega di nuovo Ramiro di riportare la pendola con Don Inigo al piano di sopra. Sempre più ammirata dalla forza muscolare di Ramiro la bella Concepción gli chiede se è disposto questa volta a recarsi nella sua camera da letto senza pendola in spalla. Il che avviene poco prima che torni Torquemada, felice di trovare tanti clienti ad aspettarlo. Concepción e Ramiro ridiscendono nella bottega dopo il loro incontro amoroso e il mulattiere offre un'ultima prova della sua forza fisica: con uno strattone tira fuori dalla pendola il banchiere che esclama meravigliato: «Quale energia!». Infine, tutti insieme i cinque personaggi traggono la morale della storia: «Nelle vicende d'amore arriva sempre l'amante giusto. Stavolta è toccato al mulattiere».
Musicalmente la partitura dell'Heure espagnole è il frutto della raffinata sensibilità strumentale di Ravel, a cominciare dall'introduzione orchestrale in cui viene descritta l'atmosfera della bottega di Torquemada tra rumori sommessi di orologeria su un basso continuo, lacerato ogni tanto da rintocchi di campane, da suonerie di orologi e da fischi di uccelli meccanici. In questo ambiente un pò sonnnolento si muove irruente e dominatrice Concepción, tutta presa dalla sua agitazione amorosa, espressa da qualche aria, o quasi-aria, di pungente carica drammatica. Caricaturale è la parte affidata a Gonzalve con gorgheggi e vocalizzi che si richiamano, alla lontana, all'antico bel canto di coloratura, mentre a Ramiro toccano due arie di risonanza spagnola: la prima quando racconta a Torquemada la storia dell'orologiaio che aveva salvato la vita allo zio torero e la seconda quando si ferma a contemplare la bellezza capricciosa di Concepción. Non meno ingegnosa è la raffigurazione musicale del borioso banchiere Don Inigo Gomez, caratterizzato in modo pomposo da una frase dei corni. Comunque, più che a veri personaggi è meglio pensare a marionette e automi, all'interno di una piacevole parodia d'opera, contrassegnata dal quasi-parlando del recitativo buffo italiano. Temi e spunti melodici non mancano, insieme ad efficaci sottolineature strumentali con qualche staccato in ritmo quasi rag-time e carezzevoli movimenti di valzer, ma certamente nel polifonico quintetto finale Ravel mostra la sua straordinaria acutezza compositiva basata su una razionalità discreta e ben calcolata, ma non per questo meno comunicativa e aperta al sorriso dell'ascoltatore.
Ennio Melchiorre