Nel 1905 Maurice Ravel, ormai trentenne, prese parte per la quarta volta e ultima volta al concorso per il "Prix de Rome". Dopo due prove eliminatorie venne escluso. Il verdetto fu drastico e un membro della commissione esaminatrice disse esplicitamente: «Il signor Ravel può anche ritenerci dei vecchi tromboni, ma non ci farà mai passare per imbecilli». Eppure in quel periodo di tempo Ravel aveva scritto Jeux d'eau, i Miroirs, la Sonatina, il Quartetto, Shéhérazade e il Quartetto in fa per archi. Il mondo musicale francese era dominato allora dalla inquietante presenza di Debussy e il suo Après-midi d'un faune aveva sconvolto tutti i piani dell'ordine costituito in fatto di arte. Non c'è da meravigliarsi quindi che Introduction et Allégro costituisca una specie di rispettoso omaggio a Debussy con l'uso dell'arpa e del flauto, che sono i due strumenti debussiani per eccellenza. La ricerca di "una concretezza formale", di "una sensibilità armonica perdutasi dopo i claviccmbalisti del XVII e del XVIII secolo", la "instaurazione della melodia in Francia" (tanto per usare le parole di Ravel), già perseguite dal compositore nella Sonatina e nel Quartetto, si stemperano e si diluiscono in questo lavoro in figurazioni rapsodiche, dominate dal gusto dell'improvvisazione. La preziosità dei timbri prescelti, sullo sfondo neutro degli archi, offre lo stimolo al musicista per compiere quell'operazione di cesello strumentale in cui si distinse per intelligenza e valore artigianale di gran classe. È vero che il brano prende lo spunto dalla sigla espressiva debussiana, ma in esso c'è tutta la personalità di Ravel e la sua sensibilità di elegante e raffinata inventiva, tesa ad evidenziare la qualità e il peso specifico di ogni strumento, nell'ambito di un discorso di magia cameristica.
Ennio Melchiorre