L'infanzia evocata da Ravel in Ma Mère l'Oye è quella serena, fantastica, fiabesca ma anche quella stretta dalle angosce puerili, spaventata, impotente. All'interno della raccolta si va dunque da pagine innocenti come Pavane o Laideronnette ad altre inquietanti come Les entretiens de la Belle et de la Bète o Le Jardin féerique; Petit Poucet, in fondo, segna il momento mediano, quello della favola che diventa racconto pauroso, in bilico tra angoscia e avventura, con le sue semplici scale ascendenti che si fanno sempre più lunghe ed importanti a suggerire lo smarrimento del bimbo di fronte ad una foresta troppo complicata da decifrare senza briciole di pane.
L'ambiguità dello sguardo rivolto al mondo infantile si riflette nella scrittura orchestrale, estremamente raffinata, piegata ad annotare con precisione gli effetti timbrici desiderati anche in brevi brani apparentemente innocenti: il peso di ogni nota nell'insieme è calcolato con grande accuratezza, non c'è un raddoppio ingiustificato, non un amalgama che non dia risultati estremamente preziosi.
La genesi di Ma Mère l'Oye è risaputa: Ravel compose l'originale partitura per pianoforte a quattro mani nel 1908, in omaggio a Mimie e Jean, figli degli amici Godebski. Mimie, adulta, ha rievocato la consuetudine del musicista amico di famiglia, che era solito prenderla sulle ginocchia per narrarle di Laideronnette, della Bella e della Bestia e di un topo regolarmente triste. La famiglia Godebski abitava per lunghi periodi in una casa di campagna presso Valvins, La Grangette, dove i visitatori arrivavano lungo un sentiero di due chilometri nel bosco, da percorrere a piedi partendo dalla stazione ferroviaria.
La Pavane racconta della Fata Benigna, che culla il sonno della principessa. Lo stratagemma usato da Ravel per accrescere l'aura di mistero è l'uso del modo eolico che, privo della risoluzione della sensibile sulla tonica, mantiene costantemente sospeso lo srotolarsi della melodia.
In Petit Poucet (dalla favola di Perrault riassunta, come le altre, in epigrafe sulla partitura), oltre allo smarrimento del protagonista, è divertente ascoltare gli appelli degli uccellini.
Laideronnette (da Serpentin vert di Marie-Catherine Comtesse d'Aulnoy) è segnata dall'orientalismo del modo pentatonico, che diventa subito potentemente evocativo.
La vicenda de La Belle et la Bète è ridotta all'osso, ad una sorta di dialogo amoroso nel corso del quale la Bella finisce per cedere alle suppliche della Bestia. Il vero volto dell'affascinante principe prenderà forma quando un glissato farà dissolvere l'incantesimo.
Nel Jardin féerique il principe azzurro ha risvegliato con un bacio la principessa addormentata, e tutto un paese di meraviglie sonore si unisce dunque al gaudio, esultando.
Nicola Campogrande