Rhapsodie espagnole (Rapsodia spagnola)

Versione per orchestra

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
  1. Prélude à la nuit - Très modéré (la minore)
  2. Malaguena - Assez vif (la minore)
  3. Habanera - Assez lent et d'un rythme las (fa diesis minore)
    (arrangiamento per orchestra del n. 9; vedi 1895)
  4. Feria - Assez animé (do maggiore)
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, sassurrofono o controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, grancassa, piatti, triangolo, tamburello, castagnette, tamburo militare, tam-tam, xilofono, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: 1 febbraio 1908
Prima esecuzione: Parigi, Théâtre Municipal du Châtelet, 5 marzo 1909
Edizione: Durand, 1908
Dedica: à mon cher maître Charles de Bériot

Vedi al n. 66 del 1907 la versione per due pianoforti ed al n. 9 del 1895 la versione originale di Habanera
Guida all'ascolto (nota 1)

Una fotografia dell'epoca di Daphnis et Chloè (1909), ritrae Ravel al pianoforte accanto a Nijinskij, che incrocia le mani in un passaggio. Stravinskij sosteneva che il ballerino adorato da Diaghilev - e primo coreografo del Sacre - non possedesse nemmeno i rudimenti della musica. Stava in posa? In effetti, Ravel in quella foto sorride.

E ancora in un quattro mani Maurice viene colto da un visitatore di rispetto mentre suona la Rhapsodie espagnole e le da gli ultimi ritocchi prima di eseguirla in pubblico. E, nel 1907, Manuel de Falla, appena arrivato a Parigi, prega l'amico Ricardo Vines di fargli conoscere la giovane promessa che considera la Spagna sua "seconda patria", non fosse altro che per essere nato (Ravel) a Ciboure, paese basco a pochi chilometri dal confine.

Arrivato a casa di Vines, Falla ascolta in anteprima il nuovo pezzo e commenta: «La Rhapsodie mi confermò subito l'enorme impressione già avuta dalla Sonatine, ma mi sorprese per il suo autentico carattere spagnolo. In perfetto accordo con ciò che io penso (e all'opposto di quanto aveva fatto Rimskij nel suo Capriccio), l'ispanismo di Ravel non era affatto ottenuto mediante una pedissequa utilizzazione di documentazioni popolari, ma con un libero impiego di ritmi, melodie modali ed evoluzioni proprie della nostra lirica popolare; elementi che non alteravano affatto le caratteristiche musicali dell'autore, anche se in questo caso egli adoperava un linguaggio melodico totalmente diverso da quello usato nella Sonatine».

Falla, spagnolo autentico e al di sopra di ogni sospetto, corrobora l'opinione diffusa e non controversa: Ravel, come Bizet, non fu un turista. La sua Spagna, anche nella Rhapsodie, non è un acquerello di maniera. I caratteri "folk" della musica che adorava - riflesso condizionato della lingua che la madre parlava in casa - erano elementi strutturali dell'invenzione, soprattutto quelli ritmici, presi come spunti e utilizzati come elettroshock per riplasmare la Forma.

La Rhapsodie espagnole non sfugge alla regola raveliana generale: la prima veste in cui venne concepita e presentata al pubblico, nonché edita, è quella pianistica; l'orchestrazione seguirà di due anni. Il che, a suo modo, l'apparenta al Concerto in re - e al Concerto in sol - che nasceranno vent'anni dopo.

Le quattro parti in cui è articolata sono la conversione della Sonata nella plasticità dell'immagine. Nel Prelude a la nuit, con la ripetizione di un disegno quasi minimalista di quattro note - fa, mi, re, do diesis - emerge una delle strutture mentali (pianistiche) di Ravel. L'iterazione non era per lui solo colore e passione, ma eco di riti tribali destinati a entrare nella musica del nostro secolo, così pesantemente condizionata dal ritmo, come prolungamento ma anche come antidoto: la sospensione del tempo. Nel disegno persistente e misterioso, da thriller, c'è Rave una verità musicale antica - l'immobilità attraverso il movimento, come nel Bolèro -, su cui l'orchestra si riversa con onde debussiane.

La Malaguena stacca la seconda parte di netto, con un intreccio di ritmi sfalsati, scale e note ribattute. Ma l'idea che sembra aver generato tutta la Rhapsodie è troppo bella per essere abbandonata. Verso la fine della Malaguena riappare la magnifica ossessione: fa-mi-re-do diesis, fa-mi-re-do diesis.

Come Andante di questa corporea anti-Sonata, Ravel introdusse di peso la Habanera composta dodici anni prima (nei Sites auriculaires), anch'essa piena di stranezza e di mistero nelle pause insistite. Ravel non negò l'autoimprestito, anzi scrisse chiara la data, 1895, come messaggio a Debussy, che nella sua Soirée dans Grenade del 1903 si era ispirato alla Habanera. Non viceversa.

La Feria, su cinque idee intrecciate fra loro, non cita ma fa letteralmente divampare, accesi dall'orchestra, lo spirito della danza e l'anima della Spagna nella loro dimensione più autentica. Uno splendido gioco di finti finali trascina l'orchestra in plasticità questa volta non impressionistiche, e si apre così nel primo Ravel quella vena esotica che riapparirà spesso, senza bisogno di preavviso o giustificazione, in brani come la Chanson espagnole, Don Quichotte à Dulcinèe, lo stesso Bolèro, e con riferimenti diversi nella Tzigane, nelle Chansom madécasses. Influenzato, Ravel, da Saint-Saëns. Influenzati, da lui, anche il Debussy di Ibéria e lo spagnolissimo Falla.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 28 Marzo 2009


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Ultimo aggiornamento 24 marzo 2016