Adagio e variazioni per violoncello e orchestra, P 133


Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
  1. Adagio (si maggiore)
  2. Poco meno adagio
  3. Quasi recitativo
Organico: violoncello solo, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, arpa, archi
Composizione: 1921
Edizione: Bologna, Pizzi, 1922
Dedica: Antonio Certani
Guida all'ascolto (nota 1)

Respighi è stato il più popolare e amato dei musicisti della cosiddetta generazione dell'Ottanta, con Pizzetti, Malipiero e Casella, perché seppe creare un tipo di musica fatta di chiarezza di immagini e di immediatezza di espressione, oltre che ricca di una intuizione e di una sensibilità di raffinata educazione classicista. Allievo di Torchi e di Martucci nel 1899 a Bologna, di Rimskij-Korsakov nel 1900 in Russia (ebbe da quest'ultimo lezioni di composizione e di orchestrazione) e di Max Bruch nel 1902 in Germania, Respighi non si legò rigidamente ad alcuna scuola e non fu seguace di alcuna corrente; evitò atteggiamenti intellettualistici e posizioni polemiche verso questa o quella tendenza musicale e mirò ad un'arte essenzialmente descrittiva e decorativa, spiritualmente sana e senza tormenti interiori, improntata ad una visione chiara e precisa per tutto ciò che di pittoresco e di fantasioso avvolge e circonda la vita dell'uomo.

Anche se il suo teatro non rivela una forte e incisiva personificazione stilistica e drammaturgica ed è sostanzialmente statico e declamatorio (si pensi soprattutto a La Fiamma, ritenuta la sua opera più ambiziosa, condizionata dall'estetismo decadente del libretto in cui la parola risuona con enfasi dannunziana e non possiede quel "taglio scenico" prepotentemente comunicativo e necessario per il teatro musicale), bisogna riconoscere che Respighi si adoperò non solo a parole per lo svecchiamento dell'opera in musica, ponendosi in posizione polemica nei confronti dell'esperienza verista della Giovane Scuola, mascagnana o pucciniana che fosse, specie per la diversa impostazione e soluzione dei problemi della vocalità. Egli, pur essendo meno riformatore, almeno in teoria, dei suoi coetanei Pizzetti, Malipiero e Casella, mostrò un'ansia di ricerca e una curiosità culturale anche al di fuori della tematica tradizionale, percorrendo una strada non sempre facile e sul versante opposto a quello occupato dalla "quadruplice alleanza" formata da Martucci, Sgambati, Bossi e Sinigaglia, che si propose invece di favorire e rinverdire la civiltà strumentale nel nostro paese guardando principalmente ai modelli tedeschi, al quadrilatero Beethoven, Mendelssohn, Wagner, Brahms.

Comunque, oggi come ieri, è evidente che è il suono, il timbro, il colore della sua strumentazione quello che distingue e distanzia Respighi da ogni altro musicista italiano del suo tempo, oltre alla ben nota e indiscussa abilità di orchestratore (non per nulla Puccini, che fu un attentissimo osservatore del "fenomeno" orchestrale e della sua evoluzione tecnica, lo ebbe in alta considerazione). Questa intuizione e tipicizzazione del timbro strumentale, che è suo e di nessun altro, nei lavori orchestralmente ideati e realizzati, a cominciare dai migliori poemi sinfonici, pone Respighi in una posizione unica nella storia musicale del primo Novecento. Egli fece tesoro delle esperienze armoniche e strumentali più avanzate in rapporto alla tradizione nazionale, mostrando un interesse e un'apertura mentale verso certe correnti tecnicistiche europee, pur nel rispetto di un italianismo formale, ma nello stesso tempo espresse nella musica la propria personalità, assorbendo e riequilibrando le influenze specialmente russo-francesi, con Rimskij-Korsakov e Debussy in posizione di privilegio.

Per ragioni diverse e dettate o da diatribe polemiche di carattere musicale o da invidie personali, inevitabili nel mondo dell'arte in cui è facile trovarsi a fianco un personaggio di statura superiore alla propria, si è voluto etichettare la figura di Respighi con qualifiche restrittive e diminutive, specialmente negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, quando più forte e massiccio si scatenò l'assalto dei movimenti di avanguardia contro alcune prese di posizione culturali e linguistiche della musica italiana del trentennio precedente. Volta a volta Respighi venne definito "un conservatore", "un restauratore", "un dannunziano", "un crepuscolare", "un rètore", "un acquarellista di cartoline illustrate" e altre aggettivazioni del genere. Da allora molti giudizi su compositori del recente passato si sono modificati anche per merito di pubblicazioni e di convegni molto qualificati sulla musica italiana del primo Novecento da cui, tra l'altro, è scaturito un contributo positivo alla conoscenza più dettagliata e criticamente aggiornata di Respighi, un compositore che ha svolto un ruolo di primaria importanza nel rinnovamento della vita musicale nel nostro paese nel periodo che va dal 1915 al 1935 e che non è rimasto insensibile, è vero, alle sirene del mito bifronte, carducciano e dannunziano (ma seppe schivare il pericolo di musicare il libretto abbozzato su "La vergine e la città" di D'Annunzio), senza tuttavia sposarne "toto corde" la retorica nazionalistica di una romanità vista secondo aggiornati scopi politici e propagandistici. Si può essere d'accordo in misura maggiore o minore con i risultati e gli obiettivi artistici raggiunti da Respighi (il discorso vale in questo caso più sulla sua opera teatrale), ma non si possono negare al suo sinfonismo una cifra e una dimensione chiaramente definite e distinte dal sanguigno gesto sonoro straussiano e dalla sfumata mezza tinta della musica debussiana. Di questa opinione, pur con diversità di accenti e di valutazioni critiche, sono studiosi di rango, come Gavazzeni, Mila, d'Amico e Martinetti secondo quanto risulta da un libro su Respighi edito nel 1985 dalla ERI e che costituisce un valido vademecum musicale e culturale sul musicista.

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L'Adagio con variazioni per violoncello e orchestra è un pezzo giovanile di Respighi e originariamente è il tempo lento di un Concerto per violoncello in tre movimenti scritto nel 1902. L'Adagio è dedicato al violoncellista Antonio Certani, amico del compositore e bolognese anche lui. Il tema si ispira ad un canto popolare romagnolo dalla calda linea melodica e secondo una scrittura strumentale rapsodica, lontana dai virtuosismi di una certa scuola ottocentesca. La frase musicale in si maggiore si esprime in maniera affettuosamente cordiale, con i legni in controcanto come un "continuo" in pizzicato. Si passa quindi da un tempo "Poco meno adagio" ad un vigoroso e fortissimo su accordi e note doppie. Il discorso orchestrale si allarga e il violoncello sviluppa il tema su eleganti terzine arpeggiate. Nel "Quasi recitativo" il solista dialoga insieme all'orchestra con gli a solo del corno inglese sino a riproporre la tonalità principale nel "Lento a fantasia". Ritorna il tema dell'Adagio iniziale e il pezzo si conclude felicemente, tra le brillanti figurazioni dell'arpa.

Ennio Melchiorre


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 1 novembre 1992


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Ultimo aggiornamento 25 maggio 2011