Belfagor, P 137
Commedia lirica in un prologo, due atti e un epilogo
Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
Libretto: Claudio Guastalla (dalla commedia omonima di Ercole Luigi Morselli)
Ruoli:
- L'arcidiavolo
Belfagor (al secolo Signor Ipsilonne) (baritono)
- Maestro
Mirocleto, unguentario emerito e speziale (basso)
- Madonna
Olimpia, sua consorte (mezzosoprano)
- Candida,
Fidelia, Maddalena, loro figliole (soprani)
- Baldo,
marinaio (tenore)
- Don
Biagio, arciprete (basso)
- Menica,
sua serva (mezzosoprano)
- Un vecchio vagabondo (basso)
- Un ragazzo vagabondo (soprano)
- Il maggiordomo del signor Ipsilonne
- Gli invitati, i paesani, tre cameriere, il Barone di
Miramonti, il conte di Valfiorita, Alichino e altri servi.
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2
clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni,
basso tuba, timpani, triangolo, raganella, tamburo, gran cassa, piatti,
tam-tam, xilofono, campanelli, campane, celesta, arpa, archi
Composizione: agosto - settembre 1922
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 26 Aprile 1923
Edizione: Milano, Ricordi, 1923
Dedica: alla memoria di Ercole Luigi Morselli
Sinossi
Luogo dell'azione:
In un piccolo paese del litorale toscano.
Prologo
- Piazzetta di un piccolo paese di mare.
E' notte e Baldo, giovane marinaio, viene a prendere congedo dalla
fidanzata Candida, una delle tre figlie dello speziale Maestro
Mirocleto. Mirocleto, tornando a casa un po' brillo, cerca di aprire le
porte della Chiesa sbagliandola per quella di casa sua.
Il diavolo Belfagor gli rivolge la parola e lo mette a parte dei suoi
progetti: è venuto appositamente dall'inferno, con centomila
ducati, per sperimentare le gioie e i dolori del matrimonio. Mirocleto,
attratto dal miraggio della ricchezza, è disposto ad
offrirgli una delle sue figlie in sposa.
Belfagor accetta l'invito dello speziale per il giorno dopo e, al primo
canto del gallo, sparisce mentre Mirocleto entra in casa. Candida esce
a dare un ultimo saluto a Baldo che deve imbarcarsi all'alba. I due
giovani fanno progetti per la loro futura vita e si scambiano una
solenne promessa invocando la protezione della Vergine sul loro amore.
Atto primo
- Sala in casa di Maestro Mirocleto.
Mentre Candida mette in
ordine la stanza e sua madre Olimpia si prepara per la Messa, bussano
alla porta. E' Belfagor, sontuosamente vestito da cavaliere, che si
presenta come il Signor Ipsilonne e complimenta la Signora Olimpia per
la grazia della figlia minore.
Aspettando che Mirocleto si svegli, il Signor Ipsilonne ordina ad un
suo servo una sontuosa colazione. Le due figlie maggiori di Maestro
Mirocleto, Fidelia e Maddalena, ascoltano con interesse la ricca lista
delle vivande e, attratte dal pomposo visitatore, s'affrettano a
tornare dalla Messa con una scusa. L'abile demonio non trova
difficoltà a farsi ascoltare dalle due ragazze che si
siedono con lui sul divano, subito disposte ad accettare le sue
galanterie.
Mirocleto, trovando le figlie in familiare colloquio con il forestiero,
ha un attimo di indignazione, ma si fa subito ossequioso quando il
Signor Ipsilonne gli chiede in sposa la figlia minore e promette di
persuaderla ad accettare. Appena Candida torna con la madre, Mirocleto
fa in modo di lasciarla sola con Ipsilonne. Attratto dal candore e
dall'innocenza della fanciulla, Belfagor si fa audace. Candida lo
respinge indignata e si dispera quando sa che quell'individuo odioso le
è imposto come sposo. Fidelia e Maddalena invidiano la sorte
della sorella; Olimpia cerca di confortare la figlia.
Atto secondo
- Sala nel castello del Signor Ipsilonne.
Mirocleto,
Olimpia, Fidelia e Maddalena, vestiti con grande lusso, si preparano a
prendere parte ad un gran ricevimento che il Signor Ipsilonne offre nei
suoi saloni. Candida rifiuta di intervenire e si ritira nelle sue
stanze sbattendo la porta in faccia al marito.
Dal giorno del matrimonio essa non gli ha mai rivolto la parola.
Olimpia vorrebbe richiamare la figlia ai suoi doveri coniugali, ma
Mirocleto non trova opportuno intervenire e si consola mangiando e
bevendo. Fra gli invitati si presenta Baldo che insiste presso Olimpia
per parlare a Candida.
Il giovanotto è molto eccitato e, per timore di uno
scandalo, Olimpia promette di fargli avere un colloquio con la figlia.
Intanto il Signor Ipsilonne si lamenta con il suocero per la ritrosia
della sposa ed esprime il suo disappunto per non essere riuscito a
vincere le resistenze della fanciulla della quale ha finito per
innamorarsi sul serio. Candida è stata intanto messa al
corrente dalla madre della presenza di Baldo e, per potersi incontrare
con lui, si mostra gentile con il marito e lo persuade a precederla
nella sala da ballo.
Ipsilonne, pieno di speranza, segue le cognate alla festa, mentre
Candida convince la madre che un suo colloquio con Baldo è
perfettamente lecito, in quanto il matrimonio con Ipsilonne non
è certamente valido: vi è stata infatti costretta
con la forza e, inoltre, ne durante la cerimonia, ne mai dopo quel
giorno, è stato possibile far suonare le campane della
Chiesa. Baldo ritrova con gioia Candida pura e fedele ed i due giovani
decidono di fuggire insieme. Baldo si allontana sentendo venire gente:
è il Signor Ipsilonne che conduce gli invitati a rendere
omaggio alla sposa. Rimasto, poi, solo con lei si fa particolarmente
ardito; Candida finge di cedere e lo invita a raggiungerla nella sua
stanza a mezzanotte. Mentre egli attende impaziente, Baldo aiuta
Candida a calarsi dalla finestra.
Epilogo
- La piazzetta del paese.
Baldo bussa alla porta della Canonica e viene introdotto dalla vecchia
Menica. Un vagabondo barbuto, avvolto in un mantello dorme vicino alla
fontana dove due altri vagabondi, un vecchio ed un ragazzo, vengono a
consumare un modesto pasto. Commentano la sparizione del Signor
Ipsilonne che qualcuno in paese ritiene fosse un diavolo travestito.
Mentre Baldo esce dalla casa del Parroco, il primo Vagabondo interviene
sostenendo che il ricco mercante se n'è andato in cerca di
altre avventure dopo aver goduto le grazie della giovane sposa paesana.
A queste parole Baldo gli si avventa contro, ma gli restano in mano
solo la barba ed il mantello. Belfagor gli sfugge e scappa ghignando,
scomparendo dietro il campanile.
Baldo ora piange in preda all'angoscioso dubbio che il demonio gli ha
messo in cuore. Il Parroco crede di consolarlo assicurando che il
matrimonio di Candida sarà annullato. Ma Baldo respinge il
Sacerdote perplesso e accusa Candida di menzogna e tradimento. La
fanciulla tenta invano di riacquistare la fiducia del fidanzato;
disperata si inginocchia invocando la Vergine ed ecco che le campane
della Chiesa cominciano a suonare a distesa. Baldo è
finalmente convinto e tutti i paesani accorrono gridando al miracolo.
Quando,
nell'autunno 1919, Respighi ebbe l'incarico dalla
Casa Ricordi di comporre la sua prima vera opera (dopo i tentativi e le
acerbe prove di Re Enzo,
1905 e Semirâma,
1910),
pensò immediatamente alla collaborazione di Ercole Luigi
Morselli e all'«arcidiavoleria» comica Belfagor,
alla quale egli stava lavorando in quell'epoca, a
completamento di una sorta di trilogia, avviata con Glauco e Orione;
anche per l'aggravarsi della malattia del drammaturgo (che lo
avrebbe prematuramente tratto a morte nel marzo 1921, lasciando
incompiuto il suo ultimo lavoro), nella stesura del libretto intervenne
fin dai primi mesi del 1920 il letterato e poeta romano Claudio
Guastalla, pressoché esordiente in campo operistico. Il
soggetto della commedia di Morselli, che mette in scena la vicenda del
diavolo Belfagor, inviato in un piccolo borgo del litorale toscano a
far esperienza delle faccende umane attraverso il matrimonio, contava
su non pochi precedenti letterari e drammatici, a partire dalla novella
Il demonio che
prese moglie (Belfagor
arcidiavolo) di
Niccolò Machiavelli. Secondo tradizione, anche in
Morselli-Guastalla l'umanizzazione del diavolo si fa
tangibile nelle sue pene d'amore, rendendolo soltanto un
povero diavolo «con grandissime orecchie, con lunghissima
coda, ma senza corna», esposto allo scherno dei mortali
(«un diavolo ammogliato, innamorato e scornato»,
appunto): Belfagor, alias signor Ipsilonne, prende in moglie la scaltra
Candida, una delle figlie dello speziale Mirocleto, che lo tiene in
scacco e alla fine fugge tra le braccia del giovane marinaio Baldo,
attratta dalla sua canzone ("Han sete di rugiada"). Nel libretto si
perde un poco dell'ironia mordace nella quale Morselli cala
le invenzioni grottesche, tipicamente antieroiche, di Belfagor: ironia
e spirito giocoso che risultano stemperati nell'ispirazione
dannunziana della versificazione di Guastalla, che non disdegna neppure
l'inserto arcaicizzante col madrigale di Alfonso del Vasto
"Ancor che col partir", intonato a mo' di serenata da Baldo
nel duetto con Candida incluso nel prologo. Respighi, seguendo
più da vicino Morselli, tentò di farne una fiaba
lirica rapida e divertente, giocata sulla vena sentimentale dei due
giovani amanti, Baldo e Candida, e sulla connotazione grottesca e
scanzonata di Belfagor-Ipsilonne: quest'ultima affidata
perlopiù ai ritmi incisivi e alla ricchezza delle soluzioni
timbriche (all'epoca Respighi era celebre soprattutto per il
poema sinfonico Fontane
di Roma); tuttavia a tratti non manca una verve
comica quasi rossiniana, come nella divertente filastrocca di
presentazione di Ipsilonne a Candida ("Sono un grosso mercante
ritirato"), in cui il musicista ripercorre alcune suggestioni
rossiniane del coevo balletto La
Boutique fantasque.
Nell'insieme ne risultò un'opera
piuttosto disomogenea dal punto di vista stilistico e non
particolarmente fortunata, che visse la sua breve stagione in
palcoscenico grazie al baritono Mariano Stabile, a cui si deve
l'interpretazione del ruolo del protagonista con la medesima
ironia un poco amara per la quale fu acclamatissimo nel Falstaff
verdiano.
(1)
"Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi
Dalai editore, Firenze
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Ultimo aggiornamento 25 maggio 2011