La fiamma, P 175

Melodramma in 3 atti

Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)
Libretto: Claudio Guastalla (da The Witch di G. Wiers Jenssen)

Ruoli: Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, grancassa, tam-tam, arpa, archi
Composizione: 1933
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Reale dell'Opera, 23 gennaio 1934
Edizione: Milano, Ricordi

Luogo dell'Azione: Ravenna bizantina alla fine del VII° secolo
Sinossi (nota 1)

La trama si basa sulla vicenda di Anne Pedersdotter, una donna norvegese che fu accusata di stregoneria e bruciata sul rogo nel 1590, soggetto di un dramma di Hans Wiers-Jenssen, ma l'ambientazione è trasposta nella Ravenna bizantina.

Atto I

La giovane Silvana è infelicemente sposata con l'esarca Basilio, un matrimonio inviso alla madre dell'uomo, Eudossia. Quest'ultima esercita un'opprimente autorità nella dimora, e non perde occasione per mostrare la propria durezza nei confronti di Silvana. In un primo intervento la protagonista esprime "l'aspro tormento" per la sua giovinezza costretta fra le mura. Successivamente un'anziana donna in fuga dagli inquisitori, Agnese, cerca riparo nella dimora dell'esarca chiedendo riparo a Silvana. Agnese rivela di essere ricercata come strega, e fa appello all'antica amicizia che la legava alla madre di Silvana, che l'anziana donna indica come strega. Dopo le prime reticenze Silvana acconsente. Nel frattempo il figlio di prime nozze di Basilio, il giovane Donello, torna dopo un lungo viaggio e incontra la sua matrigna per la prima volta. I due scoprono con meraviglia di essersi già conosciuti da fanciulli. Nel frattempo la turba alla ricerca d'Agnese irrompe nella scena. Dopo aver acconsentito a far perlustrare la casa, la strega viene scoperta fra lancinanti grida. Agnese chiede di essere salvata ad Eudossia e Silvana, ma sentendosi abbandonata maledice la giovane donna profetizzando per lei la "stessa sua sorte": il rogo.

Atto II

In una prima parte Donello mostra di corteggiare una delle ancelle della dimora di Basilio, Monica. Successivamente Silvana, lasciando presagire un interesse nei confronti del figliastro, cerca di dissuadere Monica dalle false lusinghe del giovane Donello. Fa il suo primo ingresso in scena Basilio, che viene informato del rogo di Agnese e delle sue grida sul rogo. In quegli ultimi attimi di vita la strega aveva urlato che la madre di Silvana aveva legato a sé l'esarca con l'uso delle arti magiche. Basilio e Silvana restano soli, e su insistenza di lei Basilio svela come sarebbe iniziato il loro amore. Confessa che le prime nozze furono senza gioia. E che, tratto con arti magiche nella casa della madre di Silvana, conobbe alla vista della giovane ragazza l'amore per la prima volta. Basilio, dunque, ammette di aver salvato dal rogo la madre di Silvana, "dalla pena giusta", per aver ceduto alle lusinghe dei piaceri terreni. Basilio, dunque, chiede perdono a Dio per la propria debolezza. Ma Silvana sembra più colpita dalla certezza di essere figlia di una strega e di poter evocare poteri sovrannaturali: "forse la fiamma che sì fiera avvampa entro di me, forse è il materno sangue". Rimasta sola nel buio della stanza tenta di invocare il nome di Donello davanti alla fiamma di un candelabro. Durante la sperimentazione di questo rito, l'uomo la sorprende alle spalle e fra i due scoppia una irrefrenabile passione.

Atto III

In uno struggente duetto d'amore, Donello e Silvana vivono una passione fatale che però si scontra con i rimorsi di Donello nei confronti di questa relazione clandestina. Eudossia irrompe nella scena ed esorta Donello a stare vicino a suo padre, la cui salute sta peggiorando e che merita tutto l'amore del figlio. Basilio, visibilmente fiaccato, impone al figlio la partenza per Bisanzio, in quanto la basilissa Irene lo reclama. Silvana guizza colpita e sospetta una trama di Eudossia per allontanare Donello da lei. Il giovane, contrariato, obbedisce e lascia la stanza. Silvana, sola con Basilio, prega il marito di trattenere il figlio a Ravenna; ma l'uomo resta inflessibile. In quel momento Silvana, sempre remissiva con Basilio, dà sfogo alla sua ira, accusando l'uomo di averle tolto tutto: la giovinezza, la libertà. E ora anche... il vero amore. Silvana confessa di aver amato Donello e di aver tante volte desiderato la morte del marito. Colpito dalle parole di Silvana, Basilio crolla e giace morto sul pavimento. Silvana dunque ricorda le parole su sua madre, la quale avrebbe potuto uccidere col solo pensiero. E, sgomenta, chiede aiuto. Eudossia, vedendo la scena, col figlio morto ai piedi, accusa Silvana di averlo ucciso con l'aiuto del Demonio.

La scena si sposta nella basilica di San Vitale, dove la fede dei cristiani viene esaltata con grandioso coro sacro. Qui avviene il processo che potrebbe portare al rogo Silvana, obbligata a discolparsi dalle accuse mosse da Eudossia.

Silvana nega l'accusa di stregoneria e dice di avere agito solo per amore. Donello cerca di attribuirsi ogni colpa e Silvana sta per essere assolta, col favore del coro dei presenti. Ma Eudossia, ricordando le accuse di Agnese dal rogo, che invocava il nome di Silvana, giura che la giovane donna è una strega e che ha ucciso suo figlio. Donello, preso dal rimorso per il torto compiuto al padre, non è più certo dell'innocenza di Silvana e le chiede di giurare sulla croce: "Dì che non è vero!". Consapevole di aver persa anche la fiducia dell'amato, Silvana perde la forza di difendersi e confessa, firmando una condanna a morte che ha lo stesso valore di un suicidio.

Guida all'ascolto (nota 2)

Tra i firmatari nel 1932 del Manifesto dei musicisti italiani più tradizionalisti, nel quale tra l'altro si propugnava il ritorno a «ogni libera espansione lirica» e a «tutte le veemenze della drammaticità», nel periodo 1931-33 Ottorino Respighi intese realizzare con La fiamma un vero e proprio 'melodramma', che desse una risposta alla crisi dell'opera innescata dallo sperimentalismo novecentesco. Una scelta di campo, quella di Respighi e del suo librettista di sempre, Claudio Guastalla, che va inserita nel clima restaurativo dell'opera italiana degli anni Trenta. A essa tengono dietro alcune opzioni obbligate, che determinano uno stacco tra La fiamma e lavori della prima produzione teatrale del musicista come Belfagor e La campana sommersa. Sul piano del libretto, con La fiamma Guastalla fornisce per la prima volta a Respighi personaggi ben delineati e non soltanto sagome simbolicamente allusive; inoltre, vi predispone un intreccio di passioni in cui, con ritmo melodrammatico, si intersecano maledizioni, invettive, morti e roghi di streghe. Un libretto in cui la spettacolarizzazione dei sentimenti adulterini della protagonista si coniuga con l'accentuazione del dannunzianesimo di seconda mano, per il quale il Guastalla non aveva mai nascosto le sue simpatie. Dal punto di vista musicale, la ritrovata via melodrammatica conduce Respighi al pieno recupero della struttura dell'opera a numeri, con arie, duetti, terzetti ed elaborati finali d'atto, nonché all'accentuazione lirica dell'elemento vocale a tutto svantaggio della scrittura sinfonica, che in alcune pagine delle opere precedenti aveva raggiunto livelli di brillantezza e di icasticità pittorica pari a quelli dei poemi sinfonici coevi. Il tutto nel contesto di un lavoro che del sincretismo stilistico, letterario e musicale, fa il punto di forza di una ricerca dell'effetto che rimane prioritaria sulla reale qualità drammatica.

«La favola della Fiamma - scrive Guastalla nelle sue memorie - non pretendeva affatto d'esser nuova e, per ogni buon conto, io m'ero fatto premura di dire a tutti che il mio libretto e il dramma da cui lo aveva rivelato e derivato ripetevano un eterno motivo quanto quello di Fedra e di Parisina, già trattato da Euripide, da Racine, da Byron, da D'Annunzio e da cento altri minori». L''eterno motivo' della Fiamma, quello dell'amore della protagonista (Silvana) per il figlio di prime nozze (Donello) di suo marito (Basilio), si inviluppa nella protagonista con il motivo della presa di coscienza della sua vera natura di strega; l'uno e l'altro alimentano quella 'fiamma' dell'inquietudine che arde dentro di lei e che la porterà al supplizio finale.

Fu Respighi a pretendere un cambiamento di ambientazione all'argomento del dramma di stampo ibseniano del norvegese Wiers Jenssen dal quale è desunto il libretto, trasportandone l'azione dalle lande cupe e sinistre del nord alle ville grandiose e solenni della Ravenna bizantina, dal XIX secolo agli ultimi anni del VII secolo. Nell'operare il cambiamento di luogo ed epoca Guastalla modificò anche gli equilibri drammatici, puntando, alla maniera melodrammatica, sull'intreccio dei drammi personali di tre figure tragiche: quella di Eudossia, la vecchia madre di Basilio, implacabile nella sua ostilità verso Silvana; quella della stessa Silvana, arsa da un'inquietudine ambigua e senza scampo; quella del vecchio esarca Basilio, prigioniero di un amore troppo tardivo, che lo espone alle malie di Silvana che lentamente lo consumano.

Nelle scelte compositive di Respighi, La fiamma si configura anche come ritorno esemplare alle fonti dell'opera, per via del calco mimetico in essa attuato di alcuni veri e propri emblemi della tradizione lirica: la quasi citazione del Combattimento di Tancredi e Clorinda monteverdiano negli accenti di dolore del lamento di Silvana ("Dolce la morte"); i toni cupi da Azucena verdiana nell'aria della maledizione della strega Agnese ("Ah, salvami! Io sono innocente"); il colore wagneriano, vagamente tristaneggiante, della scena del bacio tra Donello e Silvana e del loro duetto ("Io sono nata quella notte").

Su tutto, compresa la patina arcaicizzante, retaggio del Respighi elegante trascrittore di musiche antiche, si impone però il colore bizantino, ricostruito nella riproduzione di scale e melodie orientali. Un colore che si avverte come nota dominante di ambiente già nella scena della vecchia madre Eudossia e delle ancelle in apertura dell'opera e che si incastona come macchia preziosa nei grandi finali d'atto, nei versetti innodici dei chierici in quello del primo atto, come nei cori policromi del finale ultimo. Un colore che giustamente ha fatto intravvedere nella Fiamma un sorta di «poema sinfonico intitolato a San Vitale, con cori e solisti».

Virgilio Bernardoni


(1) Testo tratto da Wikipedia
(2) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze


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Ultimo aggiornamento 25 novembre 2022