Concerto per violino n. 3 in si minore, op. 61


Musica: Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
  1. Allegro non troppo
  2. Andantino quasi allegretto
  3. Molto moderato e maestoso
Organico: violino solista, 2 flauti (anche ottavini), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: marzo 1880
Prima esecuzione: Amburgo, 15 ottobre 1880
Edizione: Durand, Schoenewerk & Cie., Parigi, 1880
Dedica: Pablo de Sarasate
Guida all'ascolto (nota 1)

La conoscenza del celebre George Augustus Polgreen Bridgetower, violinista mulatto di chiara fama meglio noto come «il principe abissino», stimolò in Saint-Saëns un forte interesse per il violino e gli permise di sviluppare uno stile di scrittura sopraffina, legato a una notevole padronanza dei migliori dettagli tecnici. Più avanti il compositore potè beneficiare anche della collaborazione professionale con il virtuoso spagnolo Pablo de Sarasate, per il quale scrisse lavori come l'Introduzione e Rondò capriccioso op. 28, e appunto, il Concerto per violino e orchestra n. 3 in si minore op. 61 (1880).

Il Concerto n. 3 fu tagliato su misura proprio per la padronanza elegante di Sarasate, noto per il fascinoso magnetismo interpretativo e la personalità con cui sapeva incantare il pubblico dell'epoca. Il suono che ne esce è puro e brillante, ispirato, la pagina scritta ricca di soluzioni tecniche ed escamotage che ben indicano il desiderio di sfruttare in modo approfondito le risorse dello strumento, di evidenziare le funamboliche capacità del solista messo alla prova. Ma troviamo nel Concerto anche suggestioni culturali importanti: il calore esotico delle melodie gitane e andaluse, come si vede sin dall'attacco del primo movimento, Allegro non troppo, con quel tema curvo e profondo, in si minore, del violino, che disegna palpiti appassionati sul tremolo vibrante degli archi e lascia intuire, nel tono immediato, nel disegno melodico libero, così scopertamente netto, esplicito e improvvisativo, la matrice genuina e popolare, diremmo «autentica», di quella musica. Più tardi potremo vedere anche il risvolto della medaglia, quando comparirà un secondo tema di particolare intensità, diremmo di gentile tenerezza, un po' pensierosa, che nel finale, puntando verso l'alto, andrà letteralmente «perdendosi» in un canto etereo senza peso, svelando il lato lirico, espressivo, del musicista. Dal punto di vista strutturale notiamo proprio da questa irruzione d'apertura un coinvolgimento immediato del solista, tanto che non è necessario ricorrere a una doppia Esposizione (orchestrale e solistica), come imporrebbe il cliché formale. L'Esposizione è invece subito equilibrata, con un già acquisito «gioco delle parti» tra «solo» e orchestra, e pure organizzata dal punto di vista delle sequenze motiviche, con un primo gruppo tematico molto esteso e assai ricco di spunti, trovate, materiale, e il violino padrone del campo, lì a dettarne i tempi e le successioni. Lo Sviluppo ripresenta, in forma solo di parziale rielaborazione, il materiale dell'Esposizione: in questa reinterpretazione delle idee si aggiunge qualche spunto dovuto soprattutto alle frasi di interludio con compito di saldatura delle parti. Tale sezione funziona dunque come una sorta di seconda Esposizione, sia perché in sostanza è poco sviluppativa in sé nel carattere, sia perché mantiene, pur con dovuti aggiustamenti, l'intero materiale espositivo, in una parola «preservandolo» nel cambiamento. Vi sono, sì, elementi di sviluppo delle idee, ma «minimi»: ad esempio, il secondo tema è più «completo» rispetto all'Esposizione, dove era di fatto ridotto, mentre qui si presenta due volte con un peso diverso; il primo gruppo tematico mantiene il «suo» materiale, ma con qualche variante necessaria a esaltarne le plastiche qualità melodiche e valorizzare il lato tecnico della lettura solistica. Se nello Sviluppo prevalgono in definitiva caratteri espositivi, la Ripresa ha un po' il sapore di Sviluppo. Stupisce, infatti, quel ritorno del primo tema supportato da inquiete armonie di settima al basso e pure collegato alle incalzanti varianti delle volate solistiche, come era successo all'inizio dello Sviluppo. Notiamo anche che, dopo questo incipit, la Ripresa in sostanza è già esaurita, apparendo dunque per lo meno stringata e ridotta all'osso: non compare il secondo tema e subito intervengono accelerazioni che spingono in avanti il discorso conducendo all'Epilogo. Dunque la Ripresa spicca per caratteri più sintetici ed elaborativi, non certo di tipo riespositivo. A sua volta lo Sviluppo, vero punto focale di questo primo tempo, ne aveva fatto in parte, le veci, in un certo senso anticipandola. Funzionando in estrema sintesi da elemento permeabile e regolatore tra le varie sezioni della forma-sonata, aveva garantito, in un quadro di reale efficacia, un'architettura sorprendente: originale e insolita, eppure credibile.

Il tempo centrale, Andantino quasi allegretto è una nostalgica barcarola aperta da un quieto tema di pace: sostenuto dal morbido appoggio di viole e violoncelli unito alle cristalline armonie dei fiati, è esposto con grazia dal violino e richiama atmosfere incantate di calma bucolica, il vero tono di fondo di questo quadro agreste. Sono le sfumature e i colori timbrici a prevalere, con una sapiente, calibrata proposizione di entrate di violino, oboe e flauto, di commenti sonori affidati alle singole sezioni che sfruttano i chiaroscuri e cesellano le armonie, mentre il tema si dipana nella sua seconda e terza arcata fraseologica e pure si ripropone dischiudendo lentamente e in modo compiuto il suo senso. Nella parte centrale si fa avanti un secondo tema più affermativo, cesellato elegantemente dalle figurazioni in trama leggera di archi e fiati, e proseguito da un'ispirata frase di transizione del violino, che sfuma lentamente i toni e riporta il discorso allo scenario iniziale. Proprio la Ripresa non si presenta però testuale: è sintetica, con il tema agreste che ricompare nei suoi tre archi fraseologici, ma con significative modifiche, legato senza soluzione di continuità al secondo tema principale della parte centrale, che si presenta anch'esso scorciato e, alla fine, dopo una codetta di attesa, concluso da una pregnante cadenza. Da essa prende avvio un ultimo quadro di toccante levità: Saint-Saëns sposta il violino al registro sovracuto proponendo una nuova, eterea e incantata versione del primo tema e segnandone precisamente il carattere: «dolce, tranquillo e semplice»; ciò conferisce alla pagina un colore di immagini tenui, diffuse; in questo clima annuente e sospeso, che dipinge una dimensione onirica, al solista risponde il primo oboe attraverso il suo caldo respiro, sopra armonie trasparenti che paiono richiamare fantasiosi scenari da fiaba. Nella coda, sul profilo arcuato di lente figure in arpeggio, poco a poco si spegne l'intero quadro sonoro.

L'ultimo movimento rappresenta l'apoteosi della tecnica solistica. Nell'introduzione, Molto moderato e maestoso, il violino pronuncia in stile recitativo per ben tre volte un'accorata enunciazione, interludiato dagli agitati rimbrotti dell'orchestra. È la simbolica ouverture per il vibrante, turbolento Allegro non troppo, dal primo tema che subito, sin dall'Esposizione, esprime il suo piglio deciso nella tonalità di si minore. Una volta enunciato, si susseguono in modo tumultuoso una serie di spunti, idee, episodi come il motivo «appassionato» presto ripreso dall'orchestra in forma variata o il frenetico episodio virtuosistico dalle movenze tipicamente tzigane che vanno a formare un tessuto connettivo composito ma ben correlato. Il secondo tema principale dell'Esposizione, presentato nel tono di dominante (re maggiore) è un'idea carica di comunicativa vitalità. Quando si apre lo Sviluppo, è il primo tema principale a spiccare come elemento base dell'intero impianto di elaborazione, in un crescendo di scambi orchestrali che ne amplificano l'effetto. Ma la sorpresa è dietro l'angolo: un segmento ritmico del tema funziona da frase di collegamento che stempera l'irruenza di quel temporale di suoni, piegando il discorso in una sempre più rarefatta progressione discendente. Si schiude ora una melodia inedita nella forma di un corale di lirica intensità, all'inizio nella voce suadente degli archi, presto esteso anche al contributo dei fiati. Poi il corale apre il suo secondo arco fraseologico, anch'esso ripetuto, prima che una sezione di passaggio torni a ravvivare il discorso nella mossa frase del violino. La Ripresa presenta la struttura bipolare dell'Esposizione preceduta dall'introduzione, pur con alcuni cambiamenti. L'impostazione appare subito di maggiore complessità e prevale l'idea della puntuale citazione di elementi e temi precedenti, qui tratti da Esposizione e Sviluppo, che tanto richiama alla memoria il Beethoven della Nona Sinfonia. Ad esempio, quando dopo l'introduzione (qui più estesa) torna a stagliarsi il primo tema dell'Esposizione, subisce una mutazione nelle battute finali necessaria per l'inserzione di un suo ennesimo rientro, ma questa volta nei modi imperiosi dell'incipit dello Sviluppo, subito sopravanzato da una semplice ma emblematica citazione del tema «appassionato» che ora si sente nel tono garrulo dell'oboe; di nuovo i due ultimi temi si intersecano amabilmente, fa¬cendo da preambolo al secondo tema dell'Esposizione, espresso dal violino in quasi solitario isolamento, come struggente frase di commiato: tuttavia ora non si completa, ed è sopravanzato da una frase di cerniera melodica ricavata da ulteriori spezzoni del primo tema che, nella loro turbinosa ripetizione conferiscono alla pagina un senso di fervida agitazione. È l'Epilogo, che si muove sulle ali del corale che si dipanava nello Sviluppo: ma ora appare come trasfigurato, prima espresso dalla massa timbrica degli ottoni, poi, nel secondo arco melodico, «interpretato» dal canto agile del violino. Il solista disegna infine plastiche movenze che ne mettono in risalto il grado tecnico e conducono il discorso a una vibrante coda in tempo Più allegro.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 164 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 5 febbraio 2017