Ottimo pianista e organista, apprezzato direttore d'orchestra,
stimato insegnante e compositore prolifico, oltre che polemista
vivacemente combattivo e di educazione positivista, SaintSaëns occupa
una posizione importante nella storia della musica francese del secondo
Ottocento e pre-impressionista. Conservatore illuminato, egli rimase
contagiato inizialmente dai bacilli del verbo wagneriano e subì il
fascino della personalità e dell'arte di Liszt, che gli fece
rappresentare a Weimar il 2 dicembre 1877 per la prima volta il Sansone e Dalila,
ritenuto il capolavoro di Saint-Saëns e certamente l'opera in cui si
racchiudono i frutti più succosi della versatilità del suo ingegno
musicale. Artista colto e aristocratico ("l'art pour l'art" fu uno dei
suoi motti preferiti), dotato di una vitalità eccezionale, egli fondò
con Romain Bussine la "Societé nationale de musique" alla quale
aderirono tra gli altri Lalo e Bizet, ma ciò non gli impedì di
sottrarsi al fascino della musa wagneriana e di inserire nelle sue
opere modi e forme della tradizione melodrammatica italiana (arie,
duetti e concertati), da lui spesso sottoposte a critiche ironiche.
D'altra parte sono ben note le sue incomprensioni e riserve nei
confronti di artisti del livello di Debussy, Richard Strauss,
Stravinsky, Schönberg e Puccini, colpiti a più riprese dai suoi strali
e dalle sue vivaci critiche apparse sul "Voltaire" e su altre riviste.
Secondo Norbert Dufourcq, che ne ha tracciato un profilo umano e
artistico piuttosto preciso, Saint-Saëns ha contribuito validamente «a
restaurare la musica da camera in Francia e fin dal 1867 con il suo Trio in fa offre un
esempio che è un capolavoro. Creatore del poema sinfonico nel senso
che, con il soccorso del pensiero di Liszt, organizza la materia
berlioziana, egli apre la strada a Franck e a Dukas. Fa scoprire ai
francesi il violoncello, consacrando a questo strumento una Suite e poi una Sonata in do minore,
modello del genere. Alla produzione violinistica di Mozart, Beethoven e
Schumann sovrappone le conquiste di Paganini e impone al concerto e
alla sonata per violino una forma e uno spirito francesi. Per primo
attira l'attenzione sui piccoli complessi, sugli ottoni (Septuor con tromba)
e fa rivivere l'umorismo del XVI secolo francese con Le Carnaval des animaux».
Al di là di questi meriti va riconosciuta a Saint-Saëns una chiarezza
ed eleganza di forma e una profonda conoscenza del linguaggio
strumentale, classicamente concepito e sviluppato secondo i canoni di
un nobile eclettismo.
Dodici rintocchi su un re, arpa e corno, scandiscono lo scoccare della mezzanotte. Un violino, che sembra accordarsi, schizza sinistramente un primo tema, sarcastico nella sua successione di quinte giuste e quinte diminuite. Emerge poi un altro motivo, una specie di lento valzer, dal profilo malinconico nel suo itinerario in parte segnato da cromatismi discendenti. Dottamente ricamato su un disegno imitativo, il secondo tema introdurrà a una parodia sbilenca e bizzarra del Dies irae, spunto questo che peraltro, una decina d'anni dopo e in tutt'altro uso e contesto, ispirerà a Saint-Saëns l'idea ciclica della sua Sinfonia con organo. L'uso virtuosistico dello strumentale - ingrediente importante di questa breve pagina - lascerà spazio anche a un celebre assolo di xilofono che, sul pizzicato degli archi riproduce lo scricchiolio delle ossa degli scheletri danzanti. È lo staccato dell'oboe che, alla fine, imitando il canto del gallo ristabilisce la quiete, con il sorgere del di. E la musica si placa, lasciandoci i fumi ambigui di un'ironia raffinata e burlesca.
Pare che alla prima esecuzione, nel 1875, la Danza macabra fosse accolta da fischi. Se è vero, la nemesi storica è stata fulminea, perché da sempre questa scena di sabba notturno ha incontrato i più divertiti favori: a cominciare da Liszt, che ne ha subito realizzato una trascrizione pianistica. Per la verità, questa musica Saint-Saëns l'aveva composta dapprima per canto e pianoforte - su un buffo, onomatopeico testo di Jean Lahor, pseudonimo di Henri Cazalis - e poi, nel 1874, volta in veste di poema sinfonico.
Anzi proprio in questo campo, del poema sinfonico, Saint-Saëns si può considerare il primo seguace di Liszt, ammiratissimo dall'autore francese; il quale, come discepolo, non punterà alle stesse ambizioni filosofico-metafisiche del suo modello. Infatti i quattro poemi sinfonici, scritti in tutto da Saint-Saëns in una manciata d'anni, sono piuttosto delle pitture musicali, dei brillanti affreschi descrittivi che si ispirano, tre su quattro, a soggetti mitologici. Tutti però si segnalano per l'assoluta limpidezza della forma e per la riuscita degli effetti strumentali.