Sonata in mi maggiore, K 20


Musica: Domenico Scarlatti (1685 - 1757)
Organico: clavicembalo
Composizione: prima del 1738
Edizione: in Essercizi per Gravicembalo, Fortier, Londra, 1738
Guida all'ascolto (nota 1)

Prima della vittoriosa riapparizione del clavicembalo nelle esecuzioni pubbliche, ossia fino all'apostolato condotto soprattutto da Ralph Kirkpatrick negli anni Cinquanta e Sessanta, le Sonate di Domenico Scarlatti (Napoli, 26 ottobre 1685 -Madrid, 23 luglio 1757) si eseguivano in prevalenza con il pianoforte. Oggi - parliamo sempre di esecuzioni in concerto - è possibile ascoltarle quasi con pari frequenza dal suono dell'uno o dell'altro strumento a tastiera. Non vogliamo entrare nella nota e abbastanza oziosa controversia. Si afferma, da una parte, che le pièces pour le clavecin dei due Scarlatti padre e figlio (così come ogni composizione coeva per tastiera, comprese naturalmente quelle di Johann Sebastian Bach e di Francois Couperin) possono e devono essere eseguite soltanto per lo strumento storicamente definito per il quale furono concepite, e una fazione estremistica auspica da decenni l'uso di strumenti originali, d'epoca. Vistosa sciocchezza, cui non diedero credito grandi e autentici clavicembalisti e studiosi di clavicembalo come lo stesso Kirkpatrick. Questa è una tesi che definiremmo storicistico-positivistica. Da un'altra parte si proclama, su una linea idealistica e sedicente filosofica, che i veri capolavori della musica sono indipendenti dalla loro incarnazione materiale in un timbro specifico, sicché una composizione per strumento a tastiera scritta nella prima metà del Settecento non soltanto può essere eseguita al pianoforte o persino non da una tastiera in trascrizioni varie, ma anzi deve "trascendere" per forza le coordinate storiche della sua nascita ed "aspirare" all'atemporalità. Anche questo è un errore palese.

Se il dilemma ha una risposta (posto che sia davvero un dilemma), essa non può non riferirsi al talento dell'interprete. Un esecutore di queste pagine non può essere naif, non può non essere colto al di là della dottrina filosofica e organologica, non può non possedere conoscenze storiografiche e storiche, letterarie e filosofiche. Le Sonate di Scarlatti - o "toccate", come alcuni vorrebbero in nome di una non disprezzabile esattezza nella terminologia formale, ma l'edizione Johnson (Londra 1752) e la Haffner (Norimberga 1753) le intitolano "Sonate" - nacquero in un'atmosfera "di consenso elitario", come scrive felicemente Roberto Pagano. Furono già in origine composizioni raffinatissime per pochi intenditori e per gli amanti del nuovo e dello sperimentale. La filologia merita rispetto e dev'essere una guida magistrale, e dobbiamo molta attenzione agli studiosi che con gran valore si riferiscono ad un'area "cembalo-fortepianistica" come alla destinazione strumentale delle Sonate scarlattiane, dal momento che il "cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti" non fu ignoto a Scarlatti. Nate come si vuole e secondo una concezione strumentale e timbrica in parte misteriosa, le Sonate scarlattiane introducono tali novità di scrittura, d'invenzione armonica e melodica, di originalità ritmica, da risultare indipendenti rispetto alle condizioni storiche della loro nascita: precisamente, l'ultima fase della vita di Scarlatti, cioè alle soglie del fatale 1756 che lontano dalla penisola iberica in cui il compositore napoletano operò vide nascere Mozart. Si tratta di novità e originalità che investono direttamente la storia della musica e del pensiero musicale più che non la storia degli strumenti a tastiera, e soltanto in questo significato (ma è un significato primario) riguardano l'avvenire del pianoforte, anticipando Mozart e Hummel, Schumann e Chopin.

In tutte, a piene mani, il compositore riversa estreme difficoltà esecutive, non per amor di virtuosismo ma per necessità di pensiero musicale e di mezzi espressivi. La Sonata in mi maggiore K. 20 nel catalogo Kirkpatrick muove da un Presto inaugurato da bicordi di terza con trillo e appoggiatura, poi sostituiti da bicordi di sesta, in una progressiva espansione dello spazio armonico.

Quirino Principe


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 21 maggio 1993


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Ultimo aggiornamento 4 gennaio 2016