Sonata in mi maggiore, K 381


Musica: Domenico Scarlatti (1685 - 1757)
Organico: clavicembalo
Guida all'ascolto (nota 1)

Non sono molti i casi di grandi maestri che abbiano consegnato tutto intero il loro messaggio artistico ad uno strumento e ad una forma; soprattutto nel secolo XVIII legato alla produzione su commissione e aperto all'intercambiabilità degli stili e degli organici strumentali. Che Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro e cresciuto fra i teatri di Roma e Napoli, abbia sospeso per tempo e per sempre la sua produzione operistica è già una circostanza sorprendente; ma è quasi assillante l'interrogativo che le sue oltre 550 Sonate pongono allo storico moderno per l'uniformità della cornice esterna opposta alla mutevolezza della sostanza interiore. Anche la storia s'è divertita a mescolare le carte, non lasciandoci di tale patrimonio una sola Sonata autografa, cancellando agganci a fatti della vita e dati utili ad un ordinamento cronologico sufficientemente articolato. Le Sonate di Scarlatti sono state quindi per gran tempo considerate come un grande blocco compatto, e ogni Sonata particolare come un mondo in sé concluso e risolto.

Questo stato primordiale della conoscenza scarlattiana è stato superato per merito delle ricerche di Ralph Kirkpatrick che in Domenico Scarlatti, Princeton 1953 (più volte ristampato) ha fornito una nuova catalogazione razionale delle Sonate di Scarlatti che ha sostituito quella tradizionale di Longo.

Sonata K 381. Allegro, in mi maggiore, appartiene allo schema del rapido movimento in 3/8, uno dei preferiti da Scarlatti. Non sempre la mano sinistra si accontenta di sostenere le evoluzioni della destra, ma spesso interviene imitando la parte superiore.

Solo nella sezione centrale della Sonata la mano sinistra presenta un lungo tratto di triadi «spezzate» mentre la mano destra svolge un'ampia melodia: è quindi un tipo di scrittura (noto come «basso albertino», dal nome di Domenico Alberti) che diverrà fin troppo comune nella seconda metà del Settecento. Scarlatti lo userà in modo altrettanto esplicito solo due o tre volte in tutta la sua opera: quasi per confrontarlo con la polifonia a due voci della sua scrittura più personale che riappare per concludere la Sonata.

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 3 marzo 1972


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Ultimo aggiornamento 17 luglio 2016