Sonata in mi bemolle maggiore, K 474


Musica: Domenico Scarlatti (1685 - 1757)
Organico: clavicembalo
Guida all'ascolto (nota 1)

Le Sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti furono nella quasi totalità composte per l'uso privato della sua allieva Maria Barbara, figlia di Giovanni V del Portogallo e sposa di Ferdinando VI di Spagna, che amava condurre una vita ritirata, lontana dall'ufficialità della corte, e restarono quindi confinate nei suoi appartamenti privati. Ma bastò che nel 1738 ne venissero pubblicate alcune a Londra col dimesso titolo di Essercizi perché la loro fama si spargesse tra i più raffinati intenditori di musica d'Europa, che cercarono in ogni modo di procurarsene copie manoscritte: dato che tutti gli autografi conservati negli archivi portoghesi e spagnoli sono andati perduti, si deve a questi primi ammiratori di Scarlatti (tra cui il famoso sopranista Farinelli, che possedeva ben quindici volumi di Sonate) la salvezza di uno dei monumenti più straordinari di tutta la letteratura musicale.

Tuttavia è improbabile che la sterminata produzione clavicembalistica di Scarlatti, copiata in modo così casuale e asistematico, sia stata conservata integralmente, ma nonostante ciò ben cinquecentocinquantacinque sono le Sonate incluse nel catalogo redatto da Ralph Kirkpatrick. Con pochissime eccezioni, sono tutte in un unico breve movimento, diviso chiaramente in due parti simmetriche e di eguali dimensioni, entambe ripetute, e compiono tutte un simile percorso armonico: ma all'interno di questo semplice schema di base - che oltretutto non è peculiare di Scarlatti, ma è comune a molta musica strumentale e vocale dei secoli diciassettesimo e diciottesimo - si riversa una varietà imprevedibile di idee musicali, di atteggiamenti espressivi e di espedienti tecnici. Alcune Sonate sono tranquilli brani di carattere pastorale, altre sono brillanti pezzi di estrema difficoltà, alcune hanno una maniera di svolgere la melodia tipica della scuola italiana, altre contengono reminiscenze della musica popolare iberica, alcune sono animate da un incessante vitalità ritmica, altre sono eminentemente melodiche. Ma anche queste sono generalizzazioni che non colgono tutta l'originalità e la ricchezza della scrittura scarlattiana.

Avvicinando un po' più la lente d'ingrandimento si nota un'armonia personalissima e ricca di audacie, che possono essere il risultato d'un uso fuori dalle regole dello stile tradizionale (i pungenti urti dissonanti risultanti dal gioco contrappuntistico delle due voci) o d'una originale invenzione dell'autore (gli accordi ribattuti con l'aggiunta di note estranee, che non rispondono ad alcuna regola tonale ma sono ispirati alla tecnica e alla sonorità della chitarra spagnola). Quest'originalità armonica è spesso in funzione della costante ricerca di nuovi "colori" sonori: l'elemento coloristico ha un'importanza determinante in queste Sonate, in cui si possono riconoscere le imitazioni degli strumenti più disparati (non solo la già citata tecnica chitarristica, ma anche concerti di campane e figurazioni caratteristiche delle trombe o dei corni da caccia), la pienezza orchestrale, gli arabeschi di natura vocale derivati dal flamenco, i giochi d'eco, gli effetti percussivi.

Altro aspetto della genialità di Scarlatti è la tecnica esecutiva raffinatissima cui fa appello nelle sue Sonate: incroci delle mani, sovrapposizioni di ritmi diversi, ampi salti, "glissando", trilli simultanei su più note, arpeggi che si stendono su più ottave, passaggi per terze e per seste, sequenze velocissime di ottave spezzate, ribattute continue e rapide d'una stessa nota che impongono il cambio delle dita. Nessuno dei suoi contemporanei sfoggia una simile varietà virtuosistica, che va ben oltre il bagaglio tecnico dei clavicembalisti dell'epoca e anticipa modalità esecutive tipiche del pianoforte, tanto che i grandi didatti ottocenteschi, come Czerny, Moscheles e Cramer, resero lo studio di Scarlatti fondamentale per la formazione di ogni pianista. Da allora è invalso l'uso d'eseguire queste Sonate sul pianoforte e ancora oggi, in contrasto con la tendenza all'esecuzione su strumenti originali affermatasi negli ultimi vent'anni, i pianisti non rinunciano ad eseguire Scarlatti. Dunque s'impone a questo punto un accenno alla destinazione strumentale delle Sonate di Scarlatti. Gli strumenti presenti presso la corte di Madrid avevano una tastiera di cinque ottave, quindi molto ampia per l'epoca, ma due soli registri, che limitavano la varietà sonora alla contrapposizione netta di due coloriti. Roberto Pagano immagina che con tali strumenti l'esecutore fosse "costretto a realizzare, attraverso la scelta di fraseggi opportuni, una sorta di magico risultato sonoro nato dall'esaltazione stessa dei limiti dello strumento ... una sublimazione del cembalo". L'esecuzione sul pianoforte renderebbe meno utopica la realizzazione della straordinaria varietà sonora di queste Sonate. Si può lasciare l'ultima parola a Ralph Kirkpatrick, grande clavicembalista e massimo esperto di Scarlatti: «Benché Scarlatti sia per eccellenza un compositore per clavicembalo, e benché quasi tutte le sue opere per tastiera siano concepite in funzione del linguaggio clavicembalistico, le qualità musicali d'una buona esecuzione, più importanti dell'effetto sonoro, si possono ottenere su qualsiasi strumento».

Al centro della Sonata in mi bemolle maggiore K. 474, Andante e cantabile, dopo una prima parte di carattere preludiante, si distingue chiaramente l'eco trasfigurata d'un canto popolare spagnolo accompagnato dai nervosi accordi di una chitarra.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 novembre 2001


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Ultimo aggiornamento 28 febbraio 2016