Kammersymphonie in mi maggiore, op. 9

per quindici strumenti

Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
Organico: flauto, oboe, corno inglese, clarinetti piccolo, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 corni, 2 violini, viola, violoncello, contrabbasso
Composizione: Vienna, 16 - 25 luglio 1906
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereins-Saal, 8 febbraio 1907
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1913

Arrangiata nel 1935 come Kammersymphonie n. 1 op. 9b
Guida all'ascolto (nota 1)

"L'apice del mio primo periodo - confessa Schoenberg ne La mia evoluzione - fu definitivamente raggiunto con la Kammersymphonie op. 9". Se infatti il poema sinfonico Verklärkte Nacht era ancora concepibile sulla scia della grande tradizione romantica postwagneriana, la prima Kammersymphonie, ultimata nel luglio 1909, sembra voler recidere decisamente il cordone ombelicale col passato, dando avvio a quella ricerca nella terra di nessuno (la sospensione tonale) che più tardi approderà ai lidi di un nuovo metodo compositivo personalissimo (la dodecafonia) destinato a fare scuola per decenni. E' difatti questo il primo lavoro schoenberghiano che prescinda da una traccia letteraria ed abbandoni la grande orchestra per un organico essenziale cameristico: quindici strumenti (flauto, oboe, corno inglese, due clarinetti, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, due corni, due violini, viola, violoncello e contrabbasso) trattati sia solisticamente che come compagine orchestrale. Non dissimilmente da come accadrà più tardi in Strawinski ("Histoire du Soldat") e Strauss ("Metamorphosen").

Anche formalmente la Sinfonia si raggruppa in un unico movimento, distinto tuttavia in cinque diverse sezioni senza soluzione di continuità. Quasi un Allegro sonatistico, uno Scherzo con immancabile Trio, uno Sviluppo, un Adagio e una Ricapitolazione finale. Cellula germinatrice ne è l'intervallo base di quarta, che regola sia la logica orizzontale-melodica che quella verticale-armonica della composizione. Schoenberg realizza infatti, a suo stesso dire "un'azione reciproca molto stretta tra l'armonia e la melodia, in quanto entrambe provvedono a collegare i rapporti remoti della tonalità in una unità perfetta". Ed è lo stesso Schoenberg, nel suo Harmonielehre ad illuminarci ancora: "Le quarte si espandono architettonicamente sul pezzo e danno la loro impronta a tutta la musica. Ne deriva così che esse qui non compaiono in veste melodica o come effetto puramente impressionistico, ma la loro peculiarità compenetra l'intera costruzione armonica". Del resto le quarte sovrapposte, intese come unità strutturale di base, erano elemento generatore anche della Settima Sinfonia di Mahler (1905) e qualche analogia è riscontrabile anche tra il primo tema della Kammersymphonie op. 9 e quello di "Ein Heldenleben" di Strauss.

Ma gli scopi che Schoenberg intendeva raggiungere appartenevano solo a lui: "Mantenersi entro i limiti, rendere equilibrato un tema di cui il carattere, il tempo, l'espressione, la progressione armonica e il contenuto motivico mostravano una tendenza centrifuga: qui era questo il compito" (Cuore e cervello nella musica in Stile e idea).

Considerata per molto tempo la più adatta introduzione alla musica moderna (Schoenberg nel 1918 ne eseguì, per i concerti dell'Associazione viennese per esecuzioni musicali private, ben dieci prove pubbliche), la Kammersymphonie - da taluni considerata una Sinfonia in più movimenti fusi insieme, da altri invece un unico ampio movimento che ingloba uno Scherzo e un Adagio - fu trascritta da Anton Webern per pianoforte e quartetto d'archi. Un'opera che non rifiuta del tutto il passato pur guardando decisamente al futuro. E lo scandalo suscitato al suo primo apparire ne resta eloquente riprova.

Lorenzo Tozzi

Guida all'ascolto 2

La Kammersymphonie op. 9, scritta nel 1906 ed eseguita l'anno seguente per la prima volta a Vienna tra lo scandalo generale, è la prima vera opera dodecafonica di Schönberg e suscitò molto interesse non solo nei suoi discepoli, Webern e Berg, ma anche in Bartók e Hindemith. Per avere un'idea dell'effetto traumatico prodotto da questo brano di estrema difficoltà è sufficiente ricordare quanto disse Webern a suo tempo: «Nel 1906 Schönberg tornò dalle vacanze con la Sinfonia da camera. L'impressione fu colossale. Io ero allora suo allievo da tre anni ed ebbi subito l'ispirazione e dissi a me stesso: "Anche tu devi fare qualcosa di simile". Sotto l'influsso dell'opera scrissi già il giorno dopo un tempo di sonata in cui arrivavo ai confini estremi della tonalità». Gli aspetti caratterizzanti della Kammersymphonie sono molteplici. Anzitutto la scelta per un lavoro sinfonico di una veste strumentale realizzata per 15 strumenti solisti, e cioè flauto, oboe, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 corni e quintetto d'archi, come reazione al gigantismo orchestrale di Bruckner, Mahler e Richard Strauss. E poi la stretta connessione fra melodia e armonia, in una struttura di figurazioni sonore non più tradizionali, ma liberamente concepite in un discorso musicale di tipo nuovo, basato sulla tessitura e sull'uso di dodici diversi suoni, per giungere ad una introspezione analitica all'interno della psiche umana.

Formalmente l'opera è articolata in cinque parti che si snodano senza soluzioni di continuità. Berg prospettò al riguardo due possibili interpretazioni: la prima considera le cinque parti in questione come altrettanti tempi di una sinfonia: 1) esposizione di un tempo di Sonata con un primo tema, una transizione, un secondo tema e una sezione conclusiva; 2) Scherzo; 3) Sviluppo del materiale tematico esposto nel primo movimento; 4) Quasi Adagio; 5) Finale con ripresa e coda. La seconda interpretazione analitica considera l'opera come un unico tempo di Sonata con esposizione, sviluppo e ripresa e con due episodi (Scherzo e Adagio) inseriti rispettivamente tra l'esposizione e lo sviluppo e tra lo sviluppo e la ripresa. Una fitta e sottilissima rete di rapporti tematici collega le varie parti fra di loro, secondo quanto sostiene Schönberg nel suo scritto intitolato "Rueckblick" (Sguardo retrospettivo): «Esteriormente le connessioni si manifestano mediante una razionale applicazione delle parentele e somiglianze che si riscontrano nelle figure musicali. Io credo però che, quando si è compiuto il proprio dovere spirituale con dedizione e spirito di sacrificio e si è giunti, nei limiti del possibile, vicino alla perfezione, allora Iddio ci fa dono di una grazia, aggiungendo all'opera degli elementi che con il proprio talento non sarebbe mai stato possibile porre in esame».

La Kammersymphonie, eseguita per la prima volta dal Quartetto Rosé e dal gruppo degli strumenti a fiato dell'Opera imperiale di Vienna, si svolge nel seguente modo: Esposizione (Tema principale, Transizione, Tema secondario, Gruppo di cadenze, Ripresa del tema principale); Scherzo (Prima, seconda e terza parte); Sviluppo (Prima, seconda e terza parte); Adagio; Finale. Nella nota che Schönberg premette nella partitura stampata dalla Universal Edition di Vienna viene indicata anche la disposizione dell'orchestra con queste parole «Tutti gli strumenti ad arco in prima fila; i legni in seconda; i corni nel fondo; i bassi insieme. I suonatori degli strumenti a fiato non debbono essere seduti più in alto di quelli degli strumenti a corda per non coprirne il suono».

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

La prima Kammersymphonie op. 9, finita nella versione per quindici strumenti solisti il 25 luglio 1906 ed eseguita a Vienna nel 1907 dal Quartetto Rosé con altri strumentisti, è un'opera di svolta nella produzione schönberghiana, una pietra miliare sulla strada della sua evoluzione artistica. Senza voltare del tutto le spalle al passato, suo e della tradizione musicale a lui più vicina, Schönberg vi sperimentò con decisione, forse anche con intenti programmatici, nuove soluzioni espressive, estendendo la sua ricerca a tutti gli elementi del comporre: dalla elaborazione tematica al rapporto tra contrappunto e armonia, dalla configurazione formale all'assetto strumentale. E' quest'ultimo l'aspetto più caratteristico, ma anche più problematico, della prima Sinfonia da camera: titolo già ambivalente nella sua formulazione. E' chiaro che con la scelta di un organico di quindici strumenti solisti (flauto, oboe, corno inglese, clarinetto in re, clarinetto in la, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, due corni in fa, primo e secondo violino, viola, violoncello e contrabbasso) l'autore intendeva allontanarsi dal gigantismo orchestrale del sinfonismo romantico e tardo romantico, da lui già accostato in precedenti lavori, e puntare con risolutezza verso uno stile breve e conciso, estremamente concentrato, che gli consentisse di indagare, per così dire allo stato puro, complessi problemi di linguaggio rinunciando alle ripetizioni, alle progressioni e allo sviluppo tematico. E' interessante a questo proposito riportare quando Schönberg stesso ebbe a dichiarare molti anni dopo, nel 1949: "Se questa composizione è un vero punto di svolta nella mia evoluzione da questo punto di vista, esso lo è ancor più per il fatto che presenta un primo tentativo di creare un'orchestra da camera. Si poteva forse già prevedere il diffondersi della radio, e un'orchestra da camera in questo caso sarebbe stata in grado di riempire la stanza di un appartamento con una quantità sufficiente di suono. C'era forse la possibilità, in prospettiva, di poter provare con un gruppo ristretto di strumentisti a costi inferiori in modo più approfondito, evitando le spese proibitive delle nostre orchestre-mammuth. La storia mi ha deluso da questo punto di vista: la mole delle orchestre ha continuato a crescere, e nonostante il gran numero di composizioni per piccolo complesso, anch'io ho dovuto tornare a scrivere per grande orchestra".

Schönberg non si riferiva soltanto alle Variazioni per orchestra, di cui diremo tra poco, ma anche alla versione per grande orchestra della stessa Kammersymphonie op. 9, realizzata nel 1935 e frutto di un ripensamento del rapporto fra ricerca linguistica e realizzazione strumentale. Presupposto del lavoro è infatti la assoluta equiparazione tra i quindici strumenti solisti, con la parziale eccezione dei corni in numero di due e con funzione di guida. Questo equilibrio di fondo, improntato a rigorosa unitarietà nonostante le continue asprezze e deformazioni timbriche, è il tratto distintivo della nuova concezione schönberghiana: in prospettiva, superamento della poetica espressionista e punto di partenza sulla strada della dodecafonia. La tendenza alla condensazione e alla funzionalità di ogni singola unità si estende a tutti i piani della composizione: non a caso l'autore riconosceva, con evidente soddisfazione, che qui "veramente è stabilita un'intima reciprocità fra melodia e armonia in quanto ambedue riconnettono in una perfetta unità lontane relazioni di tonalità, traggono conseguenze logiche dai problemi affrontati e contemporaneamente compiono un grande progresso in direzione dell'emancipazione della dissonanza".

Non altrettanto logiche e conseguenti, e quindi soddisfacenti, dovettero sembrargli invece le ragioni, in via di principio ineccepibili, che avevano portato alla scelta della insolita strumentazione. Ancora nel 1916 il compositore notava: "Credo che in fondo questo uso solistico degli archi in rapporto a tanti fiati sia un errore. Viene infatti meno la possibilità che un solo strumento ad arco, per esempio un violino solo, possa dominare al di sopra di tutti gli altri quando questi suonano insieme". Non bisogna dimenticare che Schönberg, anche prima di affrontare alla radice il tema della comunicazione nella sua opera-testamento Moses und Aron, era ossessionato dal problema della comprensibilità e temeva che le sue novità, della cui necessità era convinto, incontrassero ostacoli non in quanto tali, ma in quanto non rese completamente percepibili all'ascolto. E per quanto per esempio si adombrasse non poco con Busoni allorché questi nel 1909 aveva pensato di trascrivere il secondo dei Drei Klavierstücke op. 11 in una "interpretazione da concerto" proprio per renderlo più pianistico e più accessibile all'ascoltatore, il dubbio che il "difetto" della sua opera giovanile, che il vecchio Mahler aveva confessato di "non capire", risiedesse nella strumentazione, lo spinse alla decisione della tarda versione orchestrale, in una fase di riordinamento delle sue stesse innovazioni.

A noi oggi, forse anche grazie ai progressi in fatto di consapevolezza e qualità esecutiva che i cinquant'anni trascorsi dalla morte dell'autore hanno assicurato, la versione originale appare non soltanto preferibile ma addirittura irrinunciabile. Essa sta all'altra posteriore un po' come un testo ostico e assai complesso ma folgorante sta al suo commento esplicativo: questo aiuta a comprendere l'altro, ma non sostituisce o modifica il testo stesso. Basta ascoltare il memorabile inizio, con l'idea armonica del pezzo (ossia la serie per quarte sovrapposte) prima distribuita in accordi ("Lento") e poi esposta melodicamente dal corno solo ("Molto presto"), per rendersi conto della necessità di una scrittura brusca e aggressiva, accumulata su superfici sonore crude. Essa, nella sua rudezza, è coerente con il processo innovativo in cui si incarna il legame tra verità interiore ed espressione esterna, rappresentata dalla stessa compresenza di un'armonia tonale (mi maggiore, perfino indicata in chiave) con un'armonia liberamente atonale. La fittissima densità della scrittura polifonica è l'esatto corrispettivo di una concentrazione formale che costringe nell'arco ininterrotto di un solo movimento frastagliato i caratteri dei quattro tempi tradizionali di una sinfonia. Non un poema sinfonico, ma un delirio incandescente e razionale nel quale una mostruosa forma-sonata pentapartita ingloba, dopo l'esposizione dell'Allegro di sonata, uno Scherzo seguito dalla Durchführung (davvero più "svolgimento" che "sviluppo") e, prima della ripresa, che funge anche da finale, un Adagio dolcissimo e bruciante. Per questa cavalcata selvaggia alle soglie di allucinate introspezioni non occorre un'intera orchestra, ma una rappresentanza scelta di apostoli.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 4 (nota 3)

Mentre ancora restava incompiuta l'orchestrazione dei «Guerrelieder», nel 1906 Schoenberg portò a termine la sua prima «Kammersymphonie» per 15 solisti: un quintetto d'archi, due corni, flauto, oboe, corno inglese, due clarinetti, clarinetto basso, fagotto e controfagotto. Schoenberg stesso poneva l'opera sopra le altre della sua prima maniera, riconoscendovi: «una completa fusione della melodia con l'armonia. Difatti tanto l'una che l'altra si amalgamano nelle più remote relazioni tonali, e traggono le conseguenze logiche dai problemi che hanno suscitato, dal che deriva un rilevante passo avanti sulla via della emancipazione della dissonanza». Anche se la «Kammersymphonie» è scritta apparentemente in mi maggiore, Schoenberg sconvolge il principio stesso della tonalità classica adottando il principio della sovrapposizione per quarte al posto di quello per terze. Nella «Harmonielehre» la «Kammersymphonie» è difatti citata quale esempio rigoroso di questo metodo. Le quarte assumono nell'opera funzione di cellula generatrice, tanto nella simultaneità armonica che quale intervallo melodico.

I fondamenti architettonici della «Kammersymphonie» sono stati messi in rilievo da un saggio di Alban Berg. L'analisi di Berg batte sui concetti di coesione e di coerenza. Qualsiasi sia l'interpretazione formale, e Berg ne suggerisce due, l'articolazione del materiale appare in ogni caso frutto di una somma intelligenza compositiva. La prima proposta è di considerare l'opera una sinfonia in cinque tempi: 1) esposizione di una forma sonata; 2) scherzo; 3) sviluppo della forma sonata; 4) quasi adagio; 5) ripresa e coda della forma sonata. Oppure l'opera può esser considerata un solo tempo di sonata con due intermezzi (scherzo e adagio).

Rispetto all'orchestra postwagneriana dei «Gurrre-Uieder», l'uso allucinato della timbrica cameristica annuncia il vicino espressionismo. Gli impasti non sono più vincolati alla preferenza per il suadente, e la polifonia turba le immagini definite della bella strumentazione.

Nel 1918 la «Kammersymphonie» fu al centro di una memorabile esperienza pedagogica. Schoenberg diresse a Vienna dieci prove pubbliche dell'opera senza concluderle con una esecuzione concertistica. Lo scopo era quello di condurre interpreti e pubblico a penetrare il rigore di un' opera che sembra rifiutare ogni concessione al principio del piacere. Come riferì il critico Heinrich von Kralik, il risultato fu positivo: «Prima ancora del giorno della decima ed ultima prova, gli strumentisti si erano inseriti nel testo e il pubblico nell'ascolto. Gli aspetti più ardui erano stati superati. I fantasmi scoraggianti parvero innocui, il loro aspetto placato, il loro modo di vivere affrontabile. Nella loro società non mancava difatti senso della convivenza e rispetto formale».

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 gennaio 1989
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Teatro Comunale di Firenze, 24 gennaio 2002
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 30 gennaio 1974


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Ultimo aggiornamento 5 settembre 2015