Quartetto per archi n. 1 in re minore, op. 7


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Allegro, nicht zu rasch
  2. Scherzo
  3. Adagio
  4. Rondò
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 26 settembre 1905
Prima esecuzione: Vienna, Bösendorfer-Saal, 5 febbraio 1907
Edizione: Dreililien-Verlag, Belino, 1907

Guida all'ascolto (nota 1)

«Era così affascinante volarsene via verso tonalità sempre più lontane e poi infilarsi nel caldo nido della tonalità da cui si era partiti! E tutto ad un tratto non si era fatto più ritorno - vai a fidarti d'una carogna d'accordo», disse Anton Webern il 3 aprile 1933, a quasi trent'anni di distanza dall'epoca in cui Schoenberg aveva composto il primo Quartetto op. 7 in re minore opera in cui non ancora si avvertono le sospensioni della tonalità se non allo stato «documentario», secondo Boulez, di tensioni estreme nell'ambito Wagner-Brahms, con il quale «il cordone ombelicale non era stato ancora reciso»; «del resto non sarà mai reciso del tutto» aggiunge Boulez, con la tagliente osservazione: «una oscillazione lenta dal primo al secondo di questi predecessori sarà anzi la caratteristica più notevole di questa lunga carriera». Dove è avvertibile la polemica della generazione postbellica contro la sopravvivenza, nella musica di Schoenberg, delle forme preclassiche e classiche che esprimono «il controsenso più perfetto che si possa scoprire nella musica contemporanea, controsenso che ci pare annulli la portata dell'opera di Schoenberg in generale - opera tirata e a destra e a sinistra da due concezioni antinomiche: il risultato si rivelerà qualche volta catastrofico».

Con Verklärte Nachtt con i Gurre-Lieder, con Pelleas und Mélisande, il Quartetto (1904-1905) appartiene al gruppo di composizioni in cui è toccato il punto d'arrivo del linguaggio tonale di Schoenberg, e contemporaneamente, insieme con il Quartetto in fa diesis minore op. 10 del 1907-1908 il momento in cui l'ingresso della musica da camera schoenberghiana nelle sale di concerto suscitò lo scandalo per antonomasia, provocato dalla duplice fedeltà al pantematismo brahmsiano e alle tensioni armoniche di discendenza wagneriana, per cui gli argini dei predecessori venivano rispettivamente abbattuti: «l'armonia si fece più aspra in quanto anche le dissonanze più dure si giustificavano con la condotta delle parti è con l'autonoma elaborazione motivico-tematica, mentre quest'ultima aveva la possibilità di muoversi nell'ambito tonale allargato in modo incomparabilmente più libero rispetto a quanto era concesso all'armonia conservatrice di Brahms» (Adorno).

Ma, questa la premonizione più importante contenuta nel Quartetto op. 7, fondamentale è il richiamo di Schoenberg alla tradizione nell'adattare il linguaggio, con la formazione archetipica delle parti reali nel quartetto d'archi, all'itinerario di tesi ed antitesi proprio del tempo di sonata beethoveniano (modello: il primo movimento dell'Eroica) e della sonata ciclica, secondo il principio dialettico di una struttura complessiva in sei parti che corrisponde all'uso di altrettanti temi esposti a coppia, e sviluppati applicando il criterio della concrezione a coppia, a quattro e quindi a sei temi: nella forma seguente, secondo l'analisi di Dieter Schnebel

  1. Esposizione: temi A e B (tesi ed antitesi)
  2. Sviluppo I di temi A e B (sintesi, che rispetto a quanto segue, diventa una nuova antitesi)
  3. Scherzo: temi C e D (nuova tesi)
  4. Sviluppo II (nuova sintesi di 2 e 3, e nuova antitesi rispetto a quanto segue)
  5. Tempo lento: temi E ed F (nuova tesi)
  6. Sviluppo III, che è insieme Finale e Coda (sintesi di 4 e 5, quindi anche di 2 e 3, e di 1 e 2).

Claudio Casini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 1 dicembre 1972


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Ultimo aggiornamento 28 novembre 2014