Suite, op. 29


Musica: Arnold Schönberg (1874 - 1951)
  1. Ouverture: Allegretto
  2. Tanzschritte: Moderato
  3. Thema mit Variationen
  4. Gigue
Organico: clarinetto piccolo, clarinetto, clarinetto basso, violino, viola, violoncello, pianoforte
Composizione: 28 ottobre 1924 - 15 aprile 1926
Prima esecuzione: Parigi, Grande Salle Pleyel, 15 dicembre 1927
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1927
Dedica: Gertrude Schönberg
Guida all'ascolto (nota 1)

La «Suite» op. 29 è la prima opera berlinese di Schoenberg, terminata il 1° maggio 1926. L'opera è scritta per due clarinetti (uno sostituibile col flauto), clarinetto basso (in alternativa fagotto), violino, viola, violoncello e pianoforte. Il titolo, indica che i quattro tempi sono modellati sulle forme strumentali barocche. Ed anche il «Tema» delle variazioni si rifà ad una melodia preclassica, precisamente alla canzone popolare «Aennchen von Tharau», composta nel primo seicento da Heinrich Albert. L'opera è rigorosamente dodecafonica, ma sia questa struttura intervallare che il modello formale preclassico raggelano soltanto a tratti la tensione espressionista. Lo si osserva soprattutto nella scelta e nell'uso dei timbri. Archi clarinetti e pianoforte (la versione con soli clarinetti è a mio parere preferibile a quella con flauto e fagotto) rimandano ad alcune individuazioni foniche del «Pierrot lunaire», e così anche il «Pierrot» è ricordato in certe parodie del cabaret, ad esempio il Läendler valzer moderato che sorge nel mezzo della «Ouverture», o nella mollezza cantabile e velenosa del clarinetto in apertura dei «Tanzschritte». Ed è ancora la memoria dell'orchestrina, il trio clarinetto pianoforte violino, a caratterizzare il «Thema», intonato dallo strumento a fiato in valori eguali sulla smorfia dei partners. Se da un lato infatti le scelte nobili prendono l'avvio da una analisi strutturale della musica da camera di Brahms, lo Schoenberg espressionista scorge il crollo dei valori consacrati nella musica di consumo, ed è questa doppia presa di coscienza, verso la storia e verso l'arte applicata, a far raggiungere alla scrittura schoenberghiana il fulcro della tensione. Ciò non è sempre presente nelle opere della dodecafonia trionfante, dove il processo restaurativo della grande forma può anche risultare soffocante, ma nella «Suite» questa involuzione è rara, abbastanza rilevabile soltanto nella «Giga».

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 30 gennaio 1974


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Ultimo aggiornamento 5 settembre 2015